La dipendenza paranoica delle masse

Nell’ambito della fisica il sistema viene definito come una struttura stratificata di vincoli che crea dei campi di forza interni che governano i flussi di energia che la attraversano. Non può esistere un sistema in condizioni di omogeneità della struttura delle forze interne. In quanto sistema, la psiche è dunque una struttura stratificata di vincoli posti all’attività operativa e di pensiero, vincoli che indirizzano l’attività del sistema verso le condizioni che l’evoluzione ha mostrato essere di sopravvivenza.

Se poi spostiamo la nostra attenzione al sistema sociale anziché al singolo individuo, dovremo anche in esso rilevare una variabilità stratificata dei vincoli, sopratutto di quelli che governano le attività volte alla sopravvivenza del gruppo, vale a dire nell’ambito della intelligenza. Ciò esprime una condizione necessaria al funzionamento del sistema sociale che sarebbe distrutto da una omogeneità della capacità intellettiva, libera da vincoli, che non significa eguaglianza del pensiero prodotto che avrebbe al contrario una variabilità casuale estrema e indurrebbe per conseguenza al caos.

In questo ambito, riservato all’organizzazione del lavoro collettivo per la sopravvivenza, la massima libertà di pensiero è dunque riservata al capo che esprime il baricentro del sistema e ciò realizza l’unità di comando impedendo così la disgregazione del sistema che seguirebbe all’inesistenza di un pensiero prevalente. Al di fuori di questi ambiti i vincoli tendono a ridursi così che è possibile incontrare individui che mostrano un’acquiescenza totale ai valori e alle verità indotte dal contesto sociale ed esistenziale, ma una intelligenza elevatissima nell’ambito di attività operative.

Ciò è ancora conforme alle necessità di efficienza del sistema indotte dal processo evolutivo perché una volta stabilito il programma di azione, la sua realizzazione si frammenta in una molteplicità di azioni individuali che devono essere eseguite con la massima intelligenza. Ciò impone che il pensiero del capo sia condiviso pienamente e ciecamente dalla massa, così che una volta posta di fronte all’azione individuale non vengano a mancare le linee di guida, che devono però essere poi articolate secondo la necessità del momento con intelligenza oltre che con passione.

Noi definiamo stupidità la parziale atrofia dell’attività critica dell’intelletto, ma la definiamo paranoide quando l’accettazione supina di linee di guida del comportamento e del giudizio si manifesta esclusivamente in alcuni ambiti inerenti la relazionalità sociale e che, come la paranoia, trova la sua origine profonda in un bisogno di affermazione dell’io, affermazione che coincide con il livello di integrazione sociale. Questo bisogno è di tale entità da determinare il bloccaggio della intelligenza ed anche, con l’illusione, la modificazione dell’attività sensoria. I contenuti imposti dai vincoli prelogici non vengono allora avvertiti come imposizioni dall’esterno ma come componenti essenziali, anzi coincidenti con l’io, talché la loro negazione equivale alla distruzione dell’io, alla sua morte. L’uomo, come già avvertiva Aristotele, è un animale sociale.

Questo incorporamento dei vincoli nell’io è forse più facilmente comprensibile se si fa riferimento al meccanismo generale dei “richiami”. Noi abbiamo mostrato, nella descrizione del meccanismo dell’amore, come ad esso corrisponda il connettersi direttamente ai centri del piacere-dolore di certe rappresentazioni sensorie. Esso però appare alla coscienza come uno stato dell’io, assolutamente indipendente, originario, “libero”. La sua dipendenza da una condizione “meccanica”, quale l’apertura di un interruttore elettrico in una macchina, non appare alla coscienza.

Ciò è mostrato chiaramente da certe situazioni che mostrano la saggezza del detto “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” che, malgrado abbia assunto, per la frequenza della sua citazione, l’aspetto di un detto popolare è in realtà una frase di Seneca. E’ visibile nella parabola del figliol prodigo. Un padre, offeso dal comportamento e dall’abbandono in cui viene lasciato dal figlio, pensa di averlo scacciato dal suo cuore, ma quando il figlio ritorna sconfitto e vede il dolore nella sua espressione, avverte un dolore profondo, che niente ha a che fare con la sua volontà e la sua intelligenza, perché l’interruttore non attiva alcunché finché non lo accendi, ma quando l’accendi il suo effetto può essere dirompente. Perciò il padre del figliol prodigo ordina che si festeggi, che si uccida il vitello più grasso, perché ricompaia il sorriso del figlio e con esso scompaia il dolore del padre. .

Uocchie de suonno, nire, appassionate,
ca de lu mmele la ducezza avite ,  
pecché cu sti guardate ca facite  
vuie nu vrasiero mpietto m’appicciate? (Di Giacomo)

 

Vi sono però anche delle situazioni, in cui la valutazione sociale si può imporre non solo nei confronti di considerazioni razionali, ma anche nei confronti di impulsi di origine genetica, perché ad essa condiziona la soddisfazione dell’impulso sociale, di cui ciò dimostra la enorme forza.

Noi abbiamo già descritto, in altro lavoro, la estrema forza che può avere questo bisogno di integrazione sociale, tale che la sua frustrazione, derivante dal disprezzo del corpo sociale, può indurre alla morte, ma non abbiamo mostrato la possibile dipendenza del disprezzo dalla non condivisione dei valori sociali e per conseguenza la enorme forza inibitrice che esso esercita sul giudizio non convenzionale.

La frustrazione del bisogno sociale determina nella massa una grande paura, definita angoscia. Nel processo di inibizione dei giudizi contrari alla valutazione sociale opera un meccanismo subliminale, quindi inconscio, che abbiamo definito “la paura di provare paura”. Ciò significa che non avviene la materializzazione di un pensiero che poi venga respinto dalla paura, ma che il pensiero non venga neanche materializzato per la paura inconscia di suscitare l’angoscia.

Il corpo sociale ha dei meccanismi molto semplici per indurre questi effetti, Il giudizio positivo viene accompagnato da un grande rispetto, quasi da una sacralità così che l’individuo sente perfettamente, subliminalmente, che la sua contraddizione lo porterebbe a subire il disprezzo del corpo sociale che è qualcosa di ancora più feroce della emarginazione.

Un esempio tipico attuale è come sia stata imposta la globalizzazione, come qualcosa che trascende la volontà umana, una manifestazione incoercibile delle leggi dell’economia, laddove si tratta della manifestazione incoercibile della volontà di potenza del grande capitale, che ha avuto la conseguenza di importare molta miseria e dolore nei paesi economicamente sviluppati. Ne viene anche teorizzata la irreversibilità, che sarebbe un’altra grande baggianata a meno che tale irreversibilità non venga riferita alla invincibilità delle forze capitalistiche che hanno generato la globalizzazione. Non è mancata, in questo caso, la nascita di un movimento minoritario di opposizione, cosiddetto dei “no global” che si è sviluppato sopratutto fra i giovani studenti, meno sensibili alla stupefacente forza di convincimento del denaro, in cui oggi si concentra il potere. La sua infiltrazione da parte dei black bloc ne ha permesso la criminalizzazione e la conseguente liquidazione. .

Non mi piace il mercato globale
che è il paradiso di ogni multinazionale
e un domani state pur tranquilli
ci saranno sempre più poveri e più ricchi
ma tutti più imbecilli.(Gaber)

 

Il giudizio negativo è invece espresso mediante parole che incorporano direttamente il disprezzo e l’aggressione sociale, perché vengono adoperate come offesa, quali frocio, puttana, cornuto, ecc. Ciò comporta che il solo pensiero di potere essere omosessuale, ad esempio, susciti angoscia e venga respinto in via subliminale prima della sua formazione.

Ma il consenso delle masse non si limita all’accettazione supina dei valori del gruppo, esso può acquistare, una forma aggressiva, appassionata, che si esprime nella assunzione fanatica dei valori del gruppo. Avevo un cugino, Franco Firrao, anche lui ingegnere, che aveva iniziato una carriera di costruttore, quando scoppiò la seconda guerra mondiale. Ne ricordo le frasi fanatiche, appassionate con cui condivideva le scelte fatte dal potere. Volle fare la guerra nella maniera più pericolosa, fu direttore di macchine del sommergibile comandato da Fecia di Cossato e vi trovò la morte. E’ medaglia d’oro al valore militare. Un mio zio materno, Arturo Massara, era anche lui, durante la guerra, ufficiale di marina. La sua nave fu silurata ma mio zio si salvò riportando delle ferite e venne alla ripresa del servizio, impiegato a terra, nella base della Maddalena, ma egli chiese al comando che gli fosse restituito il suo posto in prima linea, in battaglia. Fu accontentato e venne silurato una seconda volta, questa volta vi lasciò la vita.

Mio fratello è un conquistatore
Il popolo nostro ha bisogno
di spazio. E prendersi terre su terre
da noi, è un vecchio sogno
E lo spazio che si è conquistato
è sui monti del Guadarramat.
E’ lungo un metro e ottanta
e di profondità uno e cinquanta.…(Brecht)

 

Il bisogno sociale, assume varie denominazioni, a seconda della intensità che esso raggiunge nelle differenti stratificazioni sociali, desiderio di sicurezza, di protezione, di successo, di amore, da parte della struttura protettiva sociale nelle stratificazioni deboli che costituiscono la massa e desiderio del dominio della struttura protettiva sociale, nelle stratificazioni forti che costituiscono il potere. Poiché dunque la formazione dei contenuti istintuali di formazione ontologica che vincolano l’intelligenza è dovuta al bisogno sociale, tali contenuti saranno variabili a seconda della dimensione di questo bisogno sociale ed alla angoscia che la sua frustrazione produce.

Questa conclusione potrebbe anche trasferirsi nella conseguente capacità di critica razionale che dovrebbe essere maggiormente inibita nelle stratificazioni deboli rispetto alle stratificazioni forti,  ma ciò non è vero.Al capo è richiesta una sicurezza e rapidità di risposta che sarebbero inibite dal dubbio che supporta l’attività critica.. Il capo quindi dispone solo del potere di scelta nell’ambito delle variabili che il processo evolutivo nonché il processo ontologico di adeguamento degli impulsi non ha bloccato e con la sua scelta induce un ulteriore vincolo all’attività razionale delle masse.

Vi sono tuttavia, nell’ambito della variabilità caratteriale umana anche uomini in cui il pensiero critico può sussistere, in quanto superi le barriere inibitrici sociali, ma rimanere non operativo, perché sovrastato dall’impulso. Può anche sussistere nell’ambito di certe stratificazioni del sistema sociale di media rigidità ed in presenza di modificazioni della struttura delle sollecitazioni provenienti dall’esterno. Il processo chiama in causa una certa energia che amplifica gli impulsi insoddisfatti nella rappresentazione simulata del pensiero e impone una diversa situazione di equilibrio. Anche in questo caso esso può rimanere non operativo ed essere completamente ignorato se non incontra il consenso di strutture dotate del potere “mediatico”. In questa poesia di Catullo è mostrato come la disistima razionale possa coesistere con l’impulso di amore.

Dicebas quondam solum te nosse Catullum,
Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem
Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,
sed pater ut gnatos diligit et generos.
Nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,
multo mi tamen es vilior et levior.
 Qui potis est”, inquis? Quod amantem iniuria talis
 cogit amare magis, sed bene velle minus.

 

Ora, noi abbiamo mostrato, in un post precedente, come il bisogno di amore, trovi la sua soddisfazione nel ritorno del desiderio, condizione nella quale il legame sociale raggiunge la sua massima forza. Secondo la teoria dell’organizzazione, non vi è alcun dubbio che ciò fosse realizzato nella prima organizzazione sociale umana, l’orda primigenia di Darwin e di Freud, che poté così raggiungere la massima efficienza possibile nella lotta per la sopravvivenza. La soddisfazione del bisogno sociale era realizzato per una serie di fattori concomitanti, tutti però legati alla piccola dimensione che l’orda aveva mantenuto per qualche milione di anni, simile a quella di una grande famiglia. Li elenchiamo brevemente, senza pretesa di esaustività.

Innanzi tutto la presenza di impulsi genitoriali di origine genetici ed altri impulsi empatici che si erano sviluppati rispetto alla condizione familiare, anche se la loro estensione rimase limitata alla piccola dimensione dell’orda, talché l’ampliamento di quest’ultima ne lese la funzionalità.

In secondo luogo la concentrazione della dipendenza psicologica della massa dal capo che, oltre a determinare, come abbiamo visto, l’unità del sistema e la possibilità di azione coordinata, costituiva protezione dalla possibilità di congiura da parte degli altri uomini forti del gruppo. La conseguente convenienza della protezione dei deboli da parte del capo costituiva un importante rafforzamento dell’impulso genitoriale del capo, determinando così una situazione di scambio di reciproco vantaggio, una comunanza di memorie di rassicurazione.

In terzo luogo, l’importanza obiettiva di ogni individuo per la sopravvivenza del gruppo in quanto elemento necessario al successo dell’attività di caccia in un gruppo la cui dimensione poteva spaziare entro limiti molti ristretti al di sopra o al di sotto dei quali perdeva di efficienza operativa. Ciò comportava ovviamente un corrispondente ritorno dell’apprezzamento sociale.

In quarto luogo, le condizioni che portavano alla individuazione del capo, incentrate sulla capacità di condurre l’azione di caccia e sulla evidenza del suo impulso genitoriale, di tipo empatico.

In quinto luogo il forte controllo sociale esercitato dal gruppo su ogni individuo in dipendenza del fatto che la vita del gruppo si svolgeva sempre in comune, ciascuno sempre in vista dell’altro. Per tempi molto lunghi l’allontanamento dal gruppo poteva significare una morte quasi sicura.

Infine il rapporto sinergico sviluppato con l’impulso sessuale, premio al successo nell’attività di caccia. Per il dettaglio di questi aspetti devo necessariamente rimandare al capitolo “La formazione dell’orda primigenia” di “Il potere e la paura”.

L’elemento che portò alla crisi dell’orda fu l’avanzamento tecnologico con la rivoluzione metallurgica che portò ad un grande perfezionamento delle armi e nella successiva rivoluzione agricola che permise di ottenere, con il lavoro di pochi uomini i mezzi di sostentamento di un numero assai più elevato di persone. Tutta una serie di fattori fondamentali per il successo dell’orda persero la loro forza nella nuova dimensione assunta dalla popolazione. L’elemento obiettivo di importanza di ogni individuo per la produzione del reddito scomparve per effetto della sua fungibilità e dell’esubero della quantità di manodopera disponibile. L’azione protettiva svolta dall’impulso genitoriale, di cui abbiamo già evidenziato la limitata estensione, poté ancora sussistere fintanto che la tribù, cui diede luogo la crisi dell’orda, mantenne una dimensione limitata, ma andò decrescendo sia per l’aumento della popolazione, sia per il cambiamento delle caratteristiche del capo conseguente alla variazione dei fattori che determinavano la gerarchia.

In definitiva il risultato fu lo sviluppo di un condizione di estesa frustrazione del bisogno sociale della massa degli uomini deboli esposti alla sopraffazione dei più forti, il che portò alla diffusione di una condizione di depressione e di paura, cioè una condizione di angoscia. Secondo la teoria dell’organizzazione, questa situazione ha la sua linea principale di sbocco nell’apertura ad alternative di raggruppamento che offrano una maggiore soddisfazione del bisogno sociale, operazione che ha assunto, nella sua prima evidenziazione nell’ambito della teoria psicanalitica, il nome di transfert.

Nella ipotesi che questa possibilità non sia disponibile si sviluppa una forma diversa dei rapporti di dare e avere che invece che essere costituita da dazioni vissute come gratuite, in quanto fonti di piacere anche per il donatore, (comunione delle memorie di rassicurazione) si articola in termini di scambio fra componenti sia di dolore che di piacere in ciascuno dei componenti dello scambio.

La condizione di equilibrio comporta in ciascuno dei partner lo scambio fra quantità ceduta e acquisita, quantità che devono essere equivalenti per poter dar luogo all’ equilibrio. I rapporti di equivalenza sono però determinati da condizioni soggettive, dal rapporto dei bisogni dei partner del rapporto, bisogni che sono quantità variabili fra gli individui. Al raggiungimento di tale equivalenza coopera una condizione psicologica interna, l’illusione, che abbiamo già introdotto e che, in quanto modificazione di origine interna della realtà del rapporto, ne aumenta le caratteristiche paranoiche.

Fintanto che la quantità di dolore, connesso alla sottomissione, con cui l’uomo debole paga la protezione del forte, è di piccola entità, rispetto alla gratificazione connessa alla protezione, essa non viene avvertita e si trasforma anzi in attività ludica (cedimento plastico). Il rapporto di interdipendenza si stabilisce egualmente senza molte modifiche, rispetto all’incollamento profondo, all’amore. Ma, quando il ritorno del desiderio diminuisce ulteriormente e quando si traduce addirittura in sopraffazione e sfruttamento, si verifica un fenomeno detto “estroflessione della angoscia” che implica, in misura maggiore o minore, la trasformazione dell’impulso sociale,  in impulso aggressivo. Il rapporto di interdipendenza si instaura egualmente (cedimento elastico) ma diviene allora ambiguo in quanto da una parte il soggetto continua a far parte della organizzazione sociale nell’ambito della quale la sua aggressività viene bloccata dalla paura che il gruppo sociale incute; dall’altra si determina l’accumulo di tale aggressività nella psiche come energia potenziale, che si manifesta in un inasprimento dei rapporti interpersonali. Ciò fintanto che non si verifichi una occasione di esplosione, che può essere costituita o dal ritrovarsi in un gruppo sociale che la legittima o dal confrontarsi con un individuo più debole in assenza dell’azione inibitrice del gruppo sociale. È opportuno a tal proposito ricordare il diagramma del gradiente all’avvicinamento dell’impulso di rifiuto, opera dei psicologi americani Dollard e Miller, che mostra come l’impulso cresce in maniera assai rapida all’avvicinamento dell’oggetto che determina il rifiuto ed ovviamente decresce altrettanto rapidamente all’allontanamento. Ne consegue che in un rapporto ravvicinato con l’oggetto dell’aggressività, ma distante dal controllo sociale, l’aggressività scoppia e si tratta di un fenomeno comandato assolutamente dagli impulsi, fuori da ogni razionalità, quindi ancora di tipo paranoide. Così come scoppia quando l’individuo si trova in un gruppo di individui che incorporano la stessa aggressività (Freud) che può allora essere indirizzata verso un elemento terzo, il nemico, quale viene indicato dal mediatore dell’indirizzamento, il capo (Girard).

A parte lo sbocco di trasfert, che è comune a tutte le psicologie, sia pure con variazioni nell’entità del dolore che si richiede per la sua realizzazione, tutti gli altri sbocchi della frustrazione del bisogno sociale possono raggiungere valori estremi in adatti caratteri psichici. Così vi sono individui in cui la soluzione illusoria raggiunge livelli estremi, senza alcun passaggio per fasi di cedimento plastico o elastico, (sbocco paranoico). Vi sono poi individui in cui invece è il cedimento plastico in cui la sofferenza della sottomissione viene trasformata in sensazione ludica che raggiunge valori estremi, portando così, visto che la componente di “avere” dello scambio è spesso puramente illusoria, alla semplice accettazione appassionata della schiavitù (sbocco masochistico). Vi sono infine individui in cui il cedimento elastico sbocca in un odio feroce, sadico, verso l’intero raggruppamento sociale e che può generare i più feroci serial killer. Nella media della popolazione sussistono in un certo rapporto variabile, tutti gli esiti conseguenti alla rottura del legame di simbiosi esistente nella orda primigenia che ha determinato l’ingresso di una ingente quantità di violenza nel sistema.

Da notare che il transfert non può essere la soluzione definitiva del problema. La rottura del rapporto di copertura reciproca fra la massa ed il capo, quale si verificò per effetto della rivoluzione agricola e metallurgica lasciò liberi gli uomini forti di sviluppare una competizione per il potere e di diventare nel contempo oggetti del transfert delle masse.

La presenza di alternative determinò un rapido spostamento nel nuovo gruppo comandato da un ribelle di larga parte della massa, perché sussisteva un evidente interesse del nuovo capo a dare affettività ad ogni nuovo adepto e perché molti riconoscimenti erano rimandati al futuro, a quando il potere sarebbe stato conquistato e ciò permetteva scarichi illusori dell’angoscia esistenziale (vedi il ruolo della speranza come consenso all’innamoramento, che è un transfert, nell’opera di Stendhal “Dell’Amore”). Ciò portò allo sviluppo di una conflittualità interna, che oltre ad essere una conclusione inevitabile della teoria dell’ organizzazione, è una conclusione degli studi di Freud sulle organizzazioni tribali degli aborigeni australiani, studi riportati nel volume “Totem e Tabù”. Ma il raggiungimento della vittoria fu sempre seguito subito dopo, ricostituitasi l’assenza di ostacoli all’esercizio degli impulsi dominativi dei nuovi capi, da una cocente disillusione nelle stratificazioni deboli del gruppo, cioè nelle masse, condizione che portava sistematicamente a nuovi massacri.

La presenza di un grande bisogno d’amore consente comunque l’alternarsi nelle masse di fasi di illusione e di disillusione ed il permanere di una ambiguità della figura del capo, contemporaneamente signore e nemico, come in queste parole del Petrarca:

Passa la nave mia colma d’oblio
per aspro mare, a mezza notte, il verno,
enfra Scilla e Cariddi; ed al governo
siede ‘l signore, anzi ‘l nimico mio, 
…………………………………………..
la vela rompe un vento umido, eterno
di sospir’, di speranze e di desio
pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni
bagna e rallenta le già stanche sarte
che son d’error con ignoranza attorto.

 

Secondo la teoria dell’organizzazione, una tale situazione è durata a livello ordale o tribale, molti anni, specialmente fino allo realizzazione della civiltà agricola, dove l’instaurazione di un accordo di solidarietà fra gli uomini forti del gruppo ha bloccato il processo di transfert interno al sistema e consegnate le masse al dominio dei capi, trasferendo nella guerra verso l’esterno il processo di scarico dell’aggressività accumulata, situazione che non è più cessata. La massa è stata così lasciata in preda all’angoscia, alla aggressività dei capi, all’aggressività reciproca, alle sofferenze della guerra e all’illusione, che consente alla massa di non sentire dolore, anzi di scendere nel gorgo ballando e cantando.

Il campo di forze gravitazionale determina l’attrazione fra due gravi, ma il risultato può essere di scontro o di aggregazione. Lo stesso avviene nelle relazioni interpersonali, sia individuali, come nel caso della sessualità, sia sociali, dove il potere è il centro di attrazione delle masse. Amore e odio sono le forme estreme, di aggregazione e disgregazione in cui si traduce l’attrazione fra gli uomini.

La crisi dell’orda, con il conseguente aumento dell’energia interna del sistema ha determinato una situazione in cui le due componenti si mescolano in un processo continuo di aggregazione e disgregazione. Noi diciamo che il sistema ha importato un certo quantitativo di entropia la cui dimensione è influenzata dallo spazio che la realtà esterna lascia all’illusione.

L’ illusione riveste dunque una importanza immensa nel determinare un effetto tranquillante e così ridurre le probabilità di esplosione del sistema. Ma, poiché essa costituisce una falsificazione della realtà, rende falsi ed ambigui i rapporti fra le componenti della società. Mentre le masse tendono ad identificare il potente nella figura del padre, quindi operante per effetto di amore, quasi un missionario, il potente persegue esclusivamente il suo interesse personale e il suo desiderio di potenza.

Nel periodo intercorso fra la crisi dell’orda, la formazione della tribù ed infine la nascita del villaggio agricolo si sono verificate importanti modificazioni dell’assetto istintuale, ovviamente non sul piano generico, ma sul piano degli equilibri di formazione ontologica che sotto l’effetto della paura hanno determinato la repressione di importanti istinti, cosa che ha lasciato una impronte profonda di scontento, cosciente o non cosciente, nell’animo umano. L’argomento è troppo vasto per poterne sintetizzare anche solo le linee più importanti in questa sede, cosicché mi limiterò a sottolinearne la semantica fondamentale che presiede a tutto il processo di adattamento della struttura degli equilibri istintuali alle nuove condizioni della realtà.

Si è trattato fondamentalmente del rinculo della affettività all’elemento centrale aggregativo pre-esistente alla formazione dell’orda, cioè ad un assetto familiare minuscolo nell’ambito del quale potesse essere assorbita una certa parte dell”angoscia esistenziale. Ma la fammiglia, con la nascita dei figli ha un potenziale di crescita enorme e può dar luogo per conseguenza alla ricostituzione di gruppi autonomi ribelli. Ciò è stato impedito attraverso la rottura del legame simbiotico di amore fra padre e figli, che si riflettè poi per conseguenza nella relazione fra il capo ed i membri dell’orda, rafforzando l’elemento dialettico, di dominio, nella funzione paterna e rendendo così ambivalente il fondamentale rapporto formativo dell’orda.

La condizione di scontento, sia pure vissuta spesso in termini inconsci, subliminali, viene ovviamente addebitata dalla massa al potere, da cui provengono i comandamenti repressivi e per conseguenza, nella sua illusione di affettività proveniente dal potere, si aspetta che i potenti siano soggetti anch’essi e in maniera esemplare a queste repressioni, giacché altrimenti l’inganno sarebbe troppo ovvio. Anche questa aspettativa è dunque manifestazione della stupidità della massa. Naturalmente, i potenti non hanno mai fatto gran che conto  di questa esigenza della massa, tuttavia hanno spesso nascosto gli aspetti della loro vita che la contraddicono, rendendosi conto della grande importanza demagogica che la sua soddisfazione riveste. Perché demagogia significa far leva sulla stupidità della massa.

Si richiede dunque all’uomo di potere un codice di comportamento ben più rigoroso di quello cui è vincolato l’uomo comune. Egli deve essere sempre serio e responsabile, ieratico, con una vita sessuale rigorosamente limitata alla famiglia monogamica indissolubile e svolgentesi secondo i canoni prescritti, non deve essere omosessuale, deve lasciare assai poco spazio agli aspetti ludici della vita, non deve inseguire l’interesse personale, tutta la sua energia deve essere spesa nella cura degli interessi dei cittadini

Non è da sottovalutare l’importanza della disillusione cui va incontro la massa sulla esistenza di tale comunanza con il potere dei vincoli repressivi, particolarmente se non è compensata da un reale maggior apporto di gratificazione protettiva. Essa può determinare un aumento sensibile della insoddisfazione e quindi della componente aggressiva dell’impulso sociale. In alcune tribù africane situate fra l’Egitto faraonici e lo Swaziland l’attività produttiva, anziché sul piano agricolo, si indirizzò esclusivamente sull’allevamento degli animali, quindi senza realizzare quella dimensione  della produzione e della popolazione che permise la separazione della società in classi, il patto di solidarietà nella classe dominante, la istituzione della schiavitù, mentre le condizioni ambientali rendevano anche difficile lo scarico dell’aggressività attraverso la guerra. In queste tribù veniva realizzata periodicamente l’uccisione del re, ritualizzata come atto di liberazione  dell’aggressività accumulata dal corpo sociale. Ciò è importante perché mostra che lo scarico della violenza può essere realizzato concentrandolo su un solo uomo, il capo, e ripetendo l’operazione periodicamente, se ciò può essere fatto senza dar luogo ogni volta ad un massacro. La realizzazione di tale obiettivo comporta che in realtà la figura del capo sia soltanto simbolica, non dotata di reali poteri, sia cioè la vittima sacrificale (Girard: La violenza ed il sacro), la cui uccisione permette però lo scarico dell’aggressività accumulata nel gruppo. Si trattava di una traslocazione paranoica , cioè illusoria, resa possibile dal fatto che l’obiettivo reale dell’aggressività era coperto da una grande paura, cui contribuiva l’esperienza traumatica del massacro e la cui estroversione rinforzava l’aggressività

Il punto che è per noi interessante in questo momento è che la concentrazione dell’aggressività sulla vittima sacrificale è preparata attraverso la dimostrazione della sua ricusazione dei tabù e della violazione  delle repressioni in uso nella tribù. Il re è costretto, da coloro che detengono il potere reale, a commettere un incesto effettivo o simbolico  nonché as unirsi con tutte le donne che le regole matrimoniali in uso gli proibiscono formalmente, madre, sorella, figlia, nipote, cugina. Deve rendersi colpevole di ogni trasgressione come mangiare cibi proibiti, commettere atti di violenza, . Gli si fanno fare bagni nel sangue, gli si fanno ingerire droghe. Il re in sostanza non è chiamato a trasgredire a un divieto particolare, ma a tutti i divieti possibili e immaginabili. Il re deve quindi incarnare il personaggio del trasgressore per eccellenza, dell’essere che non rispetta alcuna regola, così da attrarre a sé l’odio della massa.

Ovviamente, nella piccola dimensione della tribù queste trasgressioni devono effettivamente realizzarsi perché il controllo reciproco dovuto alla piccola dimensione del gruppo impedisce che ne venga semplicemente diffusa la notizia, come invece può avvenire nella dimensione attuale della civiltà, dove la notizia può anche essere inventata e dove esiste un sistema giudiziario che può distruggere la “reputazione” di qualsiasi uomo attraverso imputazioni su semplici sospetti.

Da quanto abbiamo fin qui esposto si ricavano anche delle ovvie conclusi in merito al sistema di governo democratico. La semantica di tale sistema non è nella restituzione al popolo della possibilità di decidere del proprio destino, perché questa possibilità l’avrebbe sempre avuta se non fosse costretto dai vincoli interni dell’incollamento indotto, in tempi lontani, dalla grande paura che lo porta ad essere oggetto di plagio che esso stesso cerca, in preda al binomio dialettico fra il disperato bisogno di amore e la grande rabbia per la sua frustrazione, che lo porta ad uccidere. E questi vincoli, che implicano una stupidità paranoide, il voto non li toglie. Ciò a parte la stupidità intrinseca nel porre quesiti complessi a gente per la massima parte non in grado di dare una risposta autonoma, che non sia il prodotto fanatico dell’intorno culturale in cui la ha portato il transfert della dipendenza paterna.

D’altra parte è anche da considerare  che le mutate condizione di interazione fra il capo e le masse hanno determinato il mutamento altresì delle caratteristiche distintive del capo. Usando i termini di Dupuy, per Freud il capo della folla costituisce un “punto fisso esogeno”, ossia produttore ed organizzatore della folla. Secondo Girard e secondo la teoria dell’organizzazione, invece, egli è un elemento endogeno “prodotto dalla folla,   pur se agisce sulla folla. Il meccanismo che è in gioco è un meccanismo dialettico di interazione reciproca, o feedback, che è tipico dei sistemi. Il capo è un catalizzatore dei bisogni della folla, nel senso che li fa emergere dallo stato potenziale indicando la direzione di sfogo e, come tale, è un prodotto dei bisogni della folla. 

Al momento in cui la folla giunge alla identificazione del capo si verifica una diminuzione della paura dovuta al senso di protezione e di maggior forza che dà la partecipazione ad un gruppo, si ha cioè un mutamento della struttura psicologica della folla in cui l’aggressività prima compressa subisce una emersione ed una amplificazione per effetto della diminuzione della paura. Il capo avverte il mutamento della folla, la sua maggiore volontà di potenza, il suo consenso e ne è eccitato, subendo a sua volta una amplificazione della propria volontà di potenza. Il capo quindi, come mediatore, deve indicare una direzione di sfogo della violenza accumulata e deve essere una direzione comune e quindi non può essere interna, deve essere necessariamente nella guerra.

A parte il contributo che la democrazia può dare all’illusione di contare qualcosa, il valore della democrazia potrebbe consistere nella articolazione complessa dei poteri (ben lontana dal simulacro fin oggi realizzato in tutte le democrazie del mondo) che potrebbe permettere  e che purtroppo la massa non può comprendere nelle sue necessità di differenziazioni e di garanzie e sopratutto di appoggio da parte della componente più libera della massa stessa che dovrebbe esprimerne la forza. Ora, noi abbiamo visto come la molteplicità delle linee di potere riduca la capacità operativa del sistema. Cionondimeno, nella attuale civiltà, in cui il potere centrale è divenuto sopraffattore ed espressione di una paranoica volontà di potenza, tale condizione, sia pure nell’ambito di una certa struttura costituzionale, si impone come necessaria per ridurre la quantità complessiva di dolore del sistema.

La massa è invece sempre alla ricerca del padre-padrone che la domini e la liberi dalla angoscia  attraverso  lo  scarico  dell’aggressività  in guerra e in questo comportamento irrazionale,   paranoico,  si  avverte  l’emergere,  a  livello  subliminale,  di  un   impulso autodistruttivo in cui si è trasformata la frustrazione del bisogno di amore.

Già Freud aveva indicato, come origine della guerra l’estroversione di un impulso autodistruttivo, fondamentale, strutturale, di origine genetica, impulso di morte, che si contrappone all’impulso di amore nel binomio Eros-Tanatos. La teoria dell’organizzazione ha criticato questa impostazione che riconduce l’aggressività intraspecifica dell’uomo ad un impulso strutturale, di origine genetica, in quanto ha mostrato come in certe fasi dello sviluppo evolutivo dell’uomo esso avrebbe impedito la sopravvivenza della specie ma, alla fine delle sue elaborazioni, ne ritrova l’esistenza, sul piano ontologico, come trasformazione dell’impulso sociale di amore in conseguenza della sua frustrazione che induce una grande paura priva di oggetto specifico, l’angoscia.

La paura è un impulso introverso, di fuga, che nelle sue fasi estreme depressive diviene fuga dalla vita, autodistruttivo. In queste condizioni l’impulso sociale, divenuto impulso di morte, si contrappone all’ impulso di conservazione individuale e l’effetto della composizione dei due impulsi è in generale, la sua estroversione cioè l’indirizzamento delle energie aggressive verso l’esterno del sistema. Si verifica cioè quella che la nostra teoria chiama estroversione della paura; essa distrugge qualsiasi vincolo empatico nell’odio più feroce che neanche la morte del nemico può eliminare.

La condizione di guerra permette però di realizzare quella condizione di comunione di memorie di rassicurazione con i commilitoni che permette di introiettare anche la condizione di sopraffazione della gerarchia, realizza cioè, di fronte al grande pericolo esterno, la condizione di integrazione che porta allo scarico l’angoscia e ciò spiega la grande forza dirompente degli eserciti nei confronti della organizzazione sociale,quando si sviluppino separatamente da essa, quale ad esempio fu mostrata dagli eserciti romani che posero fine all’organizzazione repubblicana dell’antica Roma. L’effetto, naturalmente, è provvisorio e viene distrutto da un lungo periodo di pace. Di qui la necessità,teorizzata da alcuni pensatori, di un ripetersi periodico della guerra. “Voi dovreste amare la pace come un mezzo per nuove guerre. E la pace breve più di quella lunga” (Nietzsche:F. Della Guerra e dei Guerrieri).

Ovviamente, non è di poca importanza la diversità fra la teoria freudiana e la teoria  dell’ organizzazione nella determinazione dell’origine dell’impulso di morte, ma la coincidenza del  risultato  finale  non  può  non suscitare ammirazione per le capacità intuitive di quel grande pensatore che è stato Freud.

Amore e Morte
Tu mi guardi e non mi vedi
e la mia anima muore.
Perché nei tuoi occhi
é racchiuso il mio mondo.
Perciò devo impormi
per amore o per forza
nella realtà o nel sogno
o vivrò senz’anima
nel gelo della solitudine
e, folle di paura,
bramerò l’ultima fuga.
Ma se altra paura l’impedirà
brucerò nell’odio 
e combatterò mille battaglie,
con l’enorme coraggio
in cui il desiderio di morte
può trasformare la paura.. 

 

 

Riferimenti

Firrao S.: Il potere e la paura, www.lulu.com  ISBN:  978-1-4716-1821-5, 2012  in cui è possibile trovare più ampi riferimenti bibliografici

Hall Calvin S., Lindzey G.: La teoria dello stimolo-risposta, in Teorie della personalità, Capitolo 11, Boringhieri, Torino, 1970

Stendhal:Dell’Amore, Einaudi, Torino, 1975

Freud S.: Totem e Tabù, Boringhieri, Torino 1969.- Osservazioni psicoanalitiche su di un caso di paranoia descritto autobiograficamente, in Opere, vol. 6, Boringhieri, Torino, 1974, in cui si descrive la persistenza di una elevata intelligenza in un paranoico .- Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Opere, vol.9, Boringhieri, Torino, in cui documenta  il mutamento dei vincoli sociali dovuto all’inserimento in una folla- Inibizione, Sintomo e Angoscia, in Opere, vol.10, Boringhieri, Torino, 1978 – Il disagio nella civiltà, in Opere, vol.8, Boringhieri, Torino, 1978, Al di là del principio del piacere, Opere, vol.9, Boringhieri, Torino, 1977, in cui si introduce l’impulso di morte

Girard R:: La violenza ed il sacro, Adelphi,Milano, 1980,ISBN 978-88459-0947-4

Nietzsche: Della Guerra e dei Guerrieri, in Così Parlò Zarathustra, Milano, Mondadori, 2000