L’associazione stimolo-risposta nelle reti stratificate.

Premessa

Questo lavoro illustra bene la enorme superiorità conoscitiva connessa alla riconduzione dell’universalità della conoscenza alla fisica sperimentale. Essa parte da un sistema che sia un oggetto fisico, lo smonta nei suoi componenti che possono anche essere sottosistemi, ma ben individuati nelle loro caratteristiche fisiche, e formula delle ipotesi circa le loro interazioni controllabili sperimentalmente o riconducibili a risultati ottenuti in un contesto più generale, rimontando poi l’oggetto, parzialmente o totalmente, ove ciò sia reso possibile dagli strumenti tecnologici a disposizione.

Non è sufficiente che un insieme di oggetti, sia pure numerosi, si muovano ordinatamente all’interno di un certo volume spaziale, con livello minimo di entropia, perché si possa parlare di sistema complesso. Esso deve comportarsi come una unità e a tal fine i componenti devono essere legati da una rete di interazioni, condizione che permette di assumere come paradigma del sistema complesso una rete nelle cui canalizzazioni fluiscono flussi di energia e nei cui nodi tali flussi vengono modulati secondo un certo numero di variabili.

Al fine di dimostrare questo importante concetto mostriamo come già lo studio di un tipo semplice di rete, quella telefonica, svolto al fine di migliorarne l’efficienza economica, abbia portato a definire una proprietà fondamentale delle reti, la ridondanza, che svolge la stessa importante funzione, di massimizzazione del quantitativo di informazione elaborata, cioè della capacità di commutazione, nel cervello. Mostriamo quindi come la capacità di commutazione cresca quando il sistema è costituito da una rete stratificata secondo i livelli dell’energia che vi fluisce e i nodi sono costituiti da interruttori multidirezionali, cha abbiamo chiamato interruttori stellari Con l’introduzione ulteriore dei flussi di retroazione, fondamentali per il funzionamento di qualsiasi sistema, di certe strutture reticolari che agiscono come campi di forza che indirizzano i flussi di energia che attraversano il sistema, infine della informazione elementare non riconoscitiva, è possibile delineare una struttura che ha i più importanti attributi del cervello.

Questo lavoro è la rielaborazione di una relazione tenuta al 5° meeting di neuroriabilitazione indetto dalla Clinica Neurologica della 2a facoltà di medicina di Napoli, il 6/10/1989 pubblicato su Europa medicophysica, vol. XXV, n.4, 1989

1-La teoria delle reti telematiche.

Nella forma più semplice una rete è costituita da due fasci di linee parallele che si incrociano secondo una certa angolazione, ad esempio, come è mostrato nella figura 1, ad angolo retto. In essa i punti di intersezione vengono chiamati nodi e le linee che li collegano connessioni. Tale struttura geometrica permette di collegare uno qualsiasi dei punti posti su uno dei lati della figura, che vengono chiamati di input, con uno qualsiasi dei punti posti in un altro lato, che vengono chiamati di output, attraverso una molteplicità di percorsi alternativi fra le connessioni.

Evidentemente, perché la figura geometrica abbia un significato sul piano fisico, noi supporremo che le linee siano costituite da conduttori in cui può fluire un flusso di energia ed i nodi siano degli interruttori che permettono di deviare il flusso di energia in direzioni alternative. Una simile rete viene chiamata rete di commutazione. Nell’esempio riportato in figura, in ogni nodo confluiscono quattro segmenti; uno di essi è il canale di adduzione o di input e gli altri tre sono i canali di deflusso o di output; la rete rappresentata in figura 1 è quindi una rete con interruttori tripolari o a tre vie. In essa il flusso di energia può essere deviato in ogni nodo secondo tre direzioni alternative.

Non è però difficile immaginare e rappresentare una rete ad interruttori bipolari, in cui in ogni nodo confluiscono tre linee, una di adduzione e due di deflusso, o nodi ad Y, mentre non è necessario immaginare o rappresentare una rete con interruttori con un numero qualsiasi di vie di afflusso e di deflusso, o interruttori stellari, perché Voi che mi ascoltate ne avete quotidianamente esperienza; il cervello è infatti il più perfetto esempio che si possa porre di una rete ad interruttori stellari.

 

Ora, la situazione rappresentata dalla figura 1 non implica che in ogni nodo si abbiano tre direzioni alternative di output; è possibile immaginare che le direzioni possibili di output siano solo due, mentre la terza può non esistere come possibilità o essere inibita.

Ad esempio si può immaginare che i punti indicati con la lettera x in figura rappresentino le chiamate in arrivo in una centrale telefonica, mentre i punti indicati con y rappresentino i diversi abbonati alla centrale stessa. Si può immaginare che ad ogni chiamata in arrivo venga assegnata una linea x o linea principale e che in corrispondenza di ogni interruttore la chiamata possa deviare verso sinistra, se incrocia la linea y dell’abbonato, o proseguire verso l’alto alla ricerca della linea dell’abbonato. Una simile rete viene detta ad incroci.

Consideriamo in via di esempio una simile rete con N linee principali e N abbonati. Con ogni linea si possono fare evidentemente N chiamate, cosicché con le N linee si possono fare NxN = N2 chiamate ed occorrono, altrettanto evidentemente, N2 interruttori. Se adesso raddoppiamo il numero delle chiamate smistabili dalla rete portandole a 2N, il numero di interruttori necessario diviene (2N)2= 4N2 cioè quadruplo. Il raddoppio della capacità di smistamento di una rete ad incroci porta alla quadruplicazione della dimensione della rete. Una rete ad incroci implica cioè una diseconomia di scala che porta rapidamente a valori insostenibili il costo di ogni allacciamento supplementare.

Come è evidente, il problema di progettare reti che consentissero un egual numero di chiamate con un minor numero di componenti è stato il problema principale da risolvere per le compagnie telefoniche, giacché la sua soluzione si riflette immediatamente in termini di costo di impianto e di esercizio delle reti. Il primo progresso in tal senso si è avuto intorno agli anni 50 dello scorso secolo ad opera di Charles Clos dei Bell Laboratories.

Il progetto di Clos è basato sull’idea di costruire una rete di grandi dimensioni a partire da reti minori, dette sottoreti. Secondo questo progetto gli abbonati sono suddivisi in gruppi di piccole reti anziché in una rete unica e la chiamata giunge alla sottorete di destinazione passando per altre sottoreti di smistamento, disposte secondo tre livelli. Ogni chiamata può seguire uno degli svariati percorsi alternativi tra le reti di smistamento ed è possibile che diverse linee abbiano in comune degli interruttori. Con le reti di Clos, la dimensione del numero degli interruttori aumenta con il numero delle chiamate secondo l’esponente 1,5 anziché 2; si dice cioè che nelle reti di Clos l’ordine del numero di interruttori è 1,5.

Per quanto attiene alle applicazione che potremo fare di tali concetti alla struttura del cervello, ci interessa sottolineare come le sottoreti di smistamento sono come dei grossi interruttori a più vie interposti nel flusso comunicativo. E ci interessa soprattutto sottolineare la generalizzazione che può farsi del risultato secondo cui l’aumento di efficienza di una rete, cioè della sua capacità di commutazione, (vale a dire del numero di chiamate che possono essere smistate con un certo numero di interruttori), si ottiene strutturando percorsi alternativi per la singola chiamata attraverso l’intermediazione di interruttori o sottoreti di smistamento a più vie, ossia determinando una “ridondanza” che appare, per la singola chiamata, tutto l’opposto dell’efficienza, uno spreco.

Il trasferimento di tali risultati alla specifica rete costituita dal cervello ci permette di affermare che la rete di collegamenti fra organi sensori ed organi operativi assume la capacità di convogliare un maggior numero di informazioni se la connessione è fatta tramite l’ intermediazione di gruppi di reti intermedie di smistamento, nonché di interruttori a più vie, nell’ambito delle quali siano possibili percorsi alternativi del flusso informativo. La possibilità di generalizzare tale risultato scaturisce in maniera incontrovertibile dagli ulteriori sviluppi della teoria delle reti, sia per quanto attiene ai progetti presentati o realizzati di reti economiche, tutti basati sull’ampliamento della capacità di percorsi alternativi e quindi di ridondanza del singolo processo comunicativo, sia per quanto riguarda gli sviluppi teorici veri e propri dovuti soprattutto a Shannon.

L’ordine del numero degli interruttori è stato infatti ulteriormente ridotto, rispetto a quanto ottenuto inizialmente da Clos, da David G. Cantor dell’Università della California, aumentando il numero dei livelli delle reti di smistamento e riducendo la dimensione delle reti, cioè con la tecnica detta ricorsiva, che implica quindi un aumento della ridondanza, e ciò fino ad un punto in cui il proseguimento in tale direzione non è più risultato conveniente. Il vantaggio differenziale dovuto alle alternative di percorso si riduce infatti gradualmente con l’aumento del numero delle sottoreti fino a scomparire del tutto se si utilizzano sottoreti ad incroci, quindi con interruttori binari. Il vantaggio massimo richiede che siano aumentate le alternative al livello del singolo interruttore oltre che al livello di sottoreti di smistamento, cosa realizzata nel cervello, dove gli interruttori sono”stellari”. La assoluta generalità di tale risultato può essere dimostrata utilizzando un teorema dovuto a Claude E. Shannon, lo stesso che ha introdotto, negli anni 30, la teoria dell’informazione. Esso mostra che nessun sistema di commutazione basato su interruttori binari può essere esente da diseconomie di scala.

Nell’ambito della teoria delle reti si intende per stato di una rete la configurazione degli interruttori aperti o chiusi in un determinato istante. Shannon dimostra innanzi tutto che una rete che possa trattare N chiamate deve poter assumere almeno N! stati differenti. Consideriamo la rete quando non vi sono chiamate in corso. Una chiamata in arrivo sulla prima linea principale può essere collegata a ciascuno degli N abbonati. Se arriva un ‘altra chiamata sulla seconda linea principale prima che la precedente sia terminata, essa può essere connessa a ciascuno degli N-l restanti abbonati, se arriva una terza chiamata sulla terza linea principale prima che le prime due siano terminate, essa può essere connessa a ciascuno degli N-2 restanti abbonati e così via fino a che una chiamata in arrivo sull’ultima linea principale può essere trasmessa solo all’ultimo abbonato ancora libero. Il risultato può essere generalizzato a qualsiasi tipo di rete e nelle condizioni più diverse nel senso che l’aumento del numero di terminali eccitati provoca una diminuzione del numero dei gradi di libertà di cui gode il sistema.

Il numero delle possibili sequenze di destinazioni per N chiamate è:

Nx(N-l)x … x1 = N!

Quindi ci sono N! differenti stati in cui si può trovare la rete, ovviamente con tutte le linee in funzione. Shannon dimostra poi che una rete con s interruttori non può assumere più di 2s stati.  Poiché un singolo  interruttore può essere pensato come una sottorete a due stati (aperto e chiuso), una rete con s interruttori può assumere al massimo:

2x2x2x2x2 …. = 2s stati

Quindi se una rete per N chiamate ha s interruttori avrà almeno N! e al massimo 2s stati, quindi 2s≥N! da cui, passando ai logaritmi in base 2:

s ≥ log2N!

 da cui, applicando la cosiddetta formula di De Moivre Stirling

s≥Nlog2N

Quindi il numero di interruttori in una rete deve essere Nlog2N almeno, mentre il numero di interruttori per chiamata deve essere:

Nlog2N/N = log2N

 che è crescente con N. Ciò mostra che le diseconomie di scala sono inevitabili se gli interruttori sono binari.

Applicando però la detta argomentazione ad interruttori a n vie, si ottiene, per il numero di interruttori per chiamata lognN, valore rapidamente decrescente con l’aumentare di n, il che mostra che le diseconomie possono essere drasticamente ridotte se si aumenta il numero di alternative direzionali di output nel singolo interruttore.

Tale risultato può sembrare semplicemente la teorizzazione del risultato già raggiunto in termini pratici da Clos e dai successivi ricercatori, risultato costituito dall’aumento dell’efficienza della rete attraverso l’inserimento di sottoreti di smistamento. L’inserimento di una sottorete di smistamento nel flusso comunicativo implica infatti l’aumento delle alternative direzionali, dei percorsi attraverso cui si può raggiungere un determinato terminale di output, modo similare a quanto avviene con l’inserimento di interruttori multidirezionali o “stellari”..

Tuttavia la trattazione permette di focalizzare l’attenzione sugli elementi che distinguono una sottorete di smistamento ad interruttori binari da un interruttore stellare che permette di superare i limiti cui sono sottoposte le prime. Non ci soffermiamo sulle motivazioni che portano alla crescita della capacità di commutazione connessa all’utilizzazione degli interruttori stellari, argomento complesso, legato all’infittirsi in parallelo, oltre che in serie, delle comunicazioni fra le sottoreti, ritenendo che le applicazioni al sistema cerebrale che svilupperemo di seguito siano già sufficienti a permettere la comprensione di ciò che nell’astrazione del formalismo matematico è meno evidente.

Il neurone è un interruttore a più vie costituite dalle connessioni sinaptiche; nel prosieguo dello studio noi supporremo conosciuti dall’ascoltatore i suoi fondamentali elementi strutturali, anche se daremo una spiegazione cibernetica della funzione della concentrazione dei trasmettitori nel sito sinaptico, come espressione dell’accumulo di informazione elementare non riconoscitiva, connesso alla ripetizione degli elementi di stimolazione sensoria. Esso rappresenta pertanto la approssimazione più perfetta che si possa immaginare ad un interruttore stellare nel senso precisato, di componente elementare del sistema. Se si considera che è normale ritrovare neuroni con migliaia di sinapsi e che vi sono addirittura dei neuroni con un milione di sinapsi, ci si può rendere conto di quale potenza di commutazione vi sia nel cervello umano.

2 – Le memorie percettive.

Consideriamo dunque una rete costituita da interruttori a più vie, che abbiamo denominato interruttori stellari, quale potrebbe essere costituita da strati sovrapposti di neuroni. La possibilità di collegare i neuroni che fanno parte delle varie stratificazioni con più connessioni sinaptiche, che rappresentano i componenti elementari dell’interruttore stellare ci permette di considerare l’insieme descritto come una sovrapposizione di più reti, che si distinguono per il livello di rigidità nella posizione degli interruttori elementari, vale a dire nel livello di energia, che chiameremo “tensione”, necessario a modificare la posizione di apertura o chiusura delle connessioni, cioè lo “stato degli interruttori”. Nel prosieguo indicheremo semplicemente con interruttore l’elemento di interruzione della singola connessione sinaptica, mentre parleremo di interruttore stellare riferendoci al neurone nel suo insieme.

Il livello di rigidità di una stratificazione reticolare non va considerato una caratteristica sempre costante nel tempo ma può variare, sia pure in certe condizioni speciali, quali certi processi di imprinting che si svolgono nella infanzia. Noi però trascuriamo in questa sede gli aspetti del sistema legati alla variabilità della rigidità delle stratificazioni nel tempo nonché alla variabilità nel tempo della stessa dimensione del processo di stratificazione in conseguenza della variabilità del numero di connessioni sinaptiche (Levi Montalcini).

Onde procedere in via semplificativa, come approccio graduale alla complessità della struttura reale, noi supporremo inizialmente tre livelli di rigidità nelle connessioni, di cui uno definisce una rete di fondo (o di primo livello) costituita da connessioni nodali che si limitano a trasferire il flusso in input a tutte le direzioni di output, che operano cioè con tutti gli interruttori costantemente aperti, il secondo che definisce una rete di secondo livello (più rigida della prima) e la terza che definisce una rete di terzo livello (ancora più rigida). Supporremo ciascuna rete composta da otto strati di eguale rigidità. Nelle reti di secondo e di terzo livello lo stato naturale degli interruttori comporta la chiusura di tutte le connessioni. Tale stato può essere modificato da un flusso di energia di adeguato livello tensionale e, una volta modificato, permane per un tempo più o meno lungo (a seconda della rigidità della rete).

Consideriamo innanzi tutto la determinazione delle linee di flusso che collegano i terminali sensori con i nodi di uno strato interno, che chiameremo dei terminali delle memorie percettive. Consideriamo cioè un primo livello di organizzazione, in cui l’elemento di guida è costituito dai flussi di energia che provengono dai terminali sensori. Ogni informazione sensoria, che costituisce il contenuto di una “percezione”, è costituita da una determinata combinazione di terminali eccitati. In questa prima fase dell’indagine non è di alcun rilievo la considerazione che le informazioni acquisibili con il singolo atto percettivo non sono in generale sufficienti a realizzare una definizione oggettuale che ne consenta la successiva elaborazione ma vanno integrate da informazioni accumulate nel sistema.

                                                             figura 2

Lo schema di figura 2 rappresenta una rete semplice con interruttori a due vie di input e due vie di output per ciascuna delle sottoreti di base, di secondo e di terzo livello (che vanno immaginate su piani paralleli a quello del foglio), oltre ovviamente alle vie di comunicazione con lo strato superiore e/o inferiore; ovviamente essa viene introdotta al solo fine di illustrare in un contesto semplice il processo di autodeterminazione dei percorsi, introducendo ove occorrano le considerazioni necessarie a tenere conto della più complessa situazione cui la nostra analisi si riferisce.

Nello schema di figura 2 i punti della linea A rappresentano i terminali sensori che si distinguono per avere una sola via di input e che abbiamo, per comodità, esemplificato in un numero limitato di punti, che abbiamo numerato. Le frecce incidenti su alcuni di questi terminali stanno a rappresentare il flusso energetico che, incidendo su di essi, ne determina l’eccitazione. Nello schema è cioè indicata la particolare informazione sensoria costituita dall’eccitazione dei terminali sensori 2, 5 e 9 (dovremo però in linea generale considerare la percezione come costituita sempre dalla sollecitazione di un certo numero minimo di terminali sensori, cosi che la variabilità delle percezioni sia una variabilità distribuzionale della sollecitazione, non una variabilità del numero di terminali eccitati, ma su questo punto, che si connette alla determinazione dei gradi di libertà configurale dei flussi di energia, torneremo in seguito).

Lo strato A rappresenta quindi come uno schermo in cui si proiettano, mediante una scomposizione puntuale, le informazioni sensorie. Sopra lo strato A abbiamo indicato gli strati B, C, ecc., di nodi, o neuroni che dir si vogliano. Ogni nodo dello strato A è collegato ai nodi adiacenti dello strato B, ogni nodo dello strato B è collegato ai nodi adiacenti dello strato C e così via. Il nodo 2 dello strato A è allora, nella nostra figura, collegato ai nodi 1 e 2 dello strato B; ora noi supponiamo che il flusso energetico uscente dal nodo 2 dello strato A si diriga sia verso il nodo 1 che verso il nodo 2 dello strato B, che cioè vengano attivate tutte le sinapsi di output della rete in questione (che fa quindi parte della rete di nodi di fondo, il cui stato implica l’apertura di tutte le connessioni). Ciò abbiamo indicato in figura attraverso l’uso di linee tratteggiate. Lo stesso dicasi per il flusso energetico incidente sui terminali 5 e 9 dello strato A. Il flusso energetico uscente dai nodi dello strato B si diffonde nella stessa maniera nei nodi dello strato C e così via, come indicato in figura.

Come si vede ad ogni nodo di uno strato intermedio il flusso energetico può essere trasmesso da una o da due sinapsi di input. Ora noi supporremo che ad ogni passaggio si verifichi una diminuzione dell’intensità del flusso trasmesso da ogni connessione sinaptica, cosicché, oltre un certo strato il flusso trasmesso da una sola connessione sinaptica si spegne. Oltre un’ulteriore distanza (che definisce la cosiddetta area di ridondanza) il flusso si spegne anche se è trasmesso da due connessioni sinaptiche. Tenendo conto quindi del più rapido spegnimento al contorno, il flusso energetico proveniente da un terminale sensorio si diffonde per conseguenza nel sistema di strati sovrapposti disegnando una superficie ovoidale che abbiamo per semplicità rappresentato in figura, nella sua parte inferiore, con una superficie conica.

Necessariamente in un nodo di un determinato strato, punto di intersezione del cono proveniente dal nodo 2A e del cono proveniente dal nodo 5A, confluiscono sia il flusso proveniente dal nodo 2A che il flusso proveniente dal nodo 5A. Tale confluenza determina l’innalzamento del livello della energia emessa dal nodo di confluenza (il n.3 dello strato D) e che fluisce nei percorsi che lo seguono (che fanno quindi parte di una rete più rigida, cioè della rete di secondo livello, di cui vengono per conseguenza aperte le connessioni). Abbiamo indicato con linee continue sullo schema grafico i percorsi coinvolti nelle successive confluenze che cioè collegano i nodi in cui per primi si verificano i salti di tensione.

Come si vede, con successive confluenze si arriva ad un nodo di uno strato in cui confluiscono i flussi provenienti da tutti i terminali sensori eccitati e che abbiamo chiamato terminale della memoria percettiva, cioè, nella rappresentazione figurata, il n.5 dello strato H. Si vede anche che se i nodi di eccitazione sono solo il 2A e il 5A, una volta realizzata la confluenza nel nodo 3 dello strato D, tutto il cono posto a sinistra del nodo 5 dello strato H risulta al secondo livello tensionale e quindi tutti i nodi dall’l al 5 si trovano a tale livello tensionale (a questo livello tensionale il sistema ha cioè 5 gradi di libertà nello strato H); solo attraverso l’ulteriore eccitazione del nodo 9A si determina la selezione del nodo 5 come sbocco unico del flusso di energia al terzo livello tensionale (a questo livello tensionale il sistema non ha più gradi di libertà nello strato H). Noi supporremo che solo i flussi che raggiungano lo strato H con un certo livello tensionale (e quindi nell’ambito di una determinata rete) abbiano un significato ai fini della ulteriore elaborazione dell’informazione; in tal caso per raggiungere tale livello devono verificarsi un certo numero di incrementi tensionali e noi supporremo che siano tali da azzerare i gradi di libertà del sistema nello strato H. Il sistema perde cioè gradi di libertà con l’aumento del numero di terminali eccitati a parità di stratificazioni e assume invece gradi di libertà aumentando il numero di stratificazioni, risultato già ottenuto nella trattazione matematica svolta nel precedente paragrafo. Lo strato delle memorie percettive è dunque lo strato in cui il sistema non ha gradi di libertà nei confronti dei flussi informativi complessi che costituiscono una informazione sensoria, che supporremo sempre costituita da un certo numero minimo di terminali eccitati, tale appunto da saturare i gradi di libertà del sistema nello strato H.

Considerato in se solo, avulso dalla rete dei flussi di energia provenienti dai terminali sensori e che in esso confluiscono, tale nodo finale non può essere considerato rappresentativo delle informazioni sensorie. Perché si abbia una “percezione”, infatti, occorre che ogni combinazione di informazioni provenienti dai terminali sensori sia nettamente distinguibile da qualsiasi altra e, a tal fine, abbia una propria indipendente rappresentazione nel cervello. Occorre cioè che i vari terminali sensori contemporaneamente eccitati vengano associati fra di loro in maniera unica, non ripetibile con un’altra combinazione di terminali sensori. Perché il nodo in cui confluiscono i flussi di energia provenienti dai terminali sensori possa essere considerato rappresentativo della particolare combinazione di informazioni provenienti dai terminali sensori occorrerebbe, in definitiva, che si stabilisse una corrispondenza “biunivoca” fra la combinazione di informazioni sensorie ed il nodo in cui confluiscono i flussi di energia provenienti dai terminali sensori.

Ora, lo svolgimento del processo senza gradi di libertà implica che ad ogni informazione sensoria corrisponda un solo nodo di sbocco, ma non che viceversa ad ogni nodo di sbocco corrisponda una sola informazione sensoria. La corrispondenza biunivoca cioè non sussiste se si fa astrazione dalla rete dei flussi di energia attraverso cui si realizza la confluenza: ad ogni nodo dello strato finale possono infatti confluire i flussi energetici più diversi, cioè provenienti dalle più diverse combinazioni di informazioni sensorie. Ma se supponiamo che i percorsi in cui fluisce energia di un certo livello tensionale siano fissati in linee preferenziali di flusso, sia pure in maniera labile, tale corrispondenza biunivoca può istituirsi, sia pure limitatamente al tempo di durata della fissazione delle linee di flusso. Il nodo di confluenza potrà allora essere chiamato “terminale della memoria percettiva della informazione sensoria” ed avrà una durata in questa funzione pari a quella delle linee preferenziali di flusso.

La permanenza nel tempo della memoria percettiva può essere in atto o potenziale. Nel primo caso si verifica non solo la permanenza delle linee preferenziali di flusso, ma anche l’emissione, da parte del nodo in cui si realizza la confluenza, di un flusso di energia in direzione opposta a quella dell’energia ricevuta, flusso che percorre le linee preferenziali di flusso e ricostituisce, sullo schermo A, l’informazione sensoria originale, sia pure con una intensità ridotta (il che permette di distinguere le informazioni provenienti dall’esterno da quelle ricostituite partendo dalla memoria percettiva). Nel secondo caso si verifica la sola permanenza delle linee preferenziali di flusso e l’informazione sensoria si ricostituisce sullo schermo dei terminali sensori solo in occasione di un afflusso di energia proveniente da memorie collegate alla memoria percettiva (oltre, ovviamente, alla ripetizione dell’informazione sensoria originale).

3- Le memorie di riconoscimento.

La fissazione della memoria percettiva, sia essa in atto o potenziale, è comunque molto labile. Una qualsiasi memoria percettiva può però diventare assai rigida se la sua formazione è accompagnata dallo sviluppo di energia che entra nel sistema per altra via, condizione che viene detta di sollecitazione di una memoria di azione, per procedere quindi verso i terminali operativi; ad esempio tale energia può costituire la reazione ad un danno fisico, condizione che viene detta di sollecitazione della particolare memoria di azione chiamata memoria di stato. Da notare che tale irrigidimento, avviene dopo il raggiungimento dell’obiettivo di eliminazione dello stimolo di attivazione. Di per sé l’afflusso dell’energia di attivazione determina l’apertura delle connessioni della rete di quarto livello e come, vedremo, fluidifica le connessioni del reticolo della memoria percettiva; è lo scarico tensionale finale, ove ottenuto, che determina l’irrigidimento delle connessioni in atto. Il ciclo attivazione-scarico che determina l’irrigidimento richiama in sostanza l’analogo ciclo metallurgico di riscaldamento e raffreddamento che modifica la forma degli oggetti metallici.

Le canalizzazioni di accesso alla reticolo di quarto livello di rigidità rimangono aperte anche quando l’energia di azione non è più presente: esse vengono cioè percorse come canali preferenziali di flusso, anche in assenza dell’energia di azione, dai flussi energetici che accompagnano il ripetersi dell’informazione sensoria. Tale informazione sensoria, associata alla memoria percettiva passata alla rete di quarto livello, diviene essa stessa capace di determinare, pur in assenza di alcuna sollecitazione della memoria di azione, lo sviluppo di un forte flusso di energia di attivazione del sistema, diventa cioè una “memoria di allarme”. Si possano formare connessioni fra due memorie, siano esse percettive o di allarme, per la contemporanea presenza delle informazioni sensorie relative a tali memorie e per la sovrapposizione delle aree di ridondanza. Si realizzano così connessioni fra memorie percettive e memorie di allarme che danno luogo a ulteriori memorie di allarme.

Accanto ai processi di formazione di memorie di allarme legati alla realizzazione di connessioni fra informazioni sensorie e centri di emissione di energia si strutturano anche processi di formazione di memorie di arresto legati alla formazione di connessioni fra informazioni sensorie e centri di assorbimento di energia che si attivano in via subordinata allo scarico esterno e che abbiamo chiamate “memorie di rassicurazione”. Il sistema in sostanza irrigidisce sia la conformazione iniziale della struttura percettiva che la trasforma in memoria di allarme sia la struttura finale che essa raggiunge dopo lo scarico e che la trasforma in memoria di rassicurazione. Ciò apparirà più chiaro dopo che avremo trattato, nel prossimo paragrafo, delle modifiche che la memoria percettiva subisce nell’ambito della ricerca della risposta ottimale. Le memorie di allarme e le memorie di rassicurazione sono memorie di “riconoscimento”. Le memorie di azione e quelle di allarme sono memorie di “attivazione”.

4 – Le memorie operative.

Il sistema cerebrale ha la possibilità di connettere diverse risposte alla stessa memoria di attivazione, ha cioè dei gradi di libertà nella risposta. Come sappiamo, ciò necessariamente implica che fra le memorie di attivazione e le memorie che comandano gli organi operativi siano interposte delle stratificazioni supplementari. Il sistema sceglie i terminali operativi da attivare sulla base di una retroazione negativa, cioè dallo scarico tensionale da essi indotto, condizione in pratica coincidente con la cosiddetta “ricompensa” della scuola comportamentale americana.

Quindi noi potremmo inizialmente pensare che il meccanismo sia diviso in due parti: la prima che costituisce la memoria di riconoscimento, attivazione e disattivazione, in cui il flusso energetico è guidato dagli incrementi tensionali dovuti alla sommatoria delle tensioni inerenti alle componenti dell’informazione sensoria (per dar luogo alle memorie percettive) nonché dagli incrementi e decrementi tensionali dovuti alla connessione delle memorie percettive con centri di emissione o assorbimento di energia che le trasformano in memorie di allarme e di rassicurazione, e la seconda parte che costituisce la memoria operativa, in cui il flusso energetico è guidato dai decrementi tensionali dello stimolo connessi all’attivazione di un determinato organo operativo.

In realtà l’esistenza di un meccanismo di retroazione permette di realizzare un sistema molto più economico ed efficiente in cui le due funzioni sono sovrapposte utilizzando gli stessi neuroni. Ad ogni mutamento della memoria percettiva corrisponde infatti un mutamento potenziale della realtà realizzabile attraverso un movimento degli organi operativi. È quindi ovvio modificare il flusso riflesso che dai terminali delle memorie percettive va ai terminali sensori per scoprire un percorso del flusso riflesso cui corrisponde l’eliminazione dello stimolo. Naturalmente, come è ovvio, ogni tentativo della ricerca appare su una rete parallela a quella dei terminali sensori e solo al reperimento della risposta efficace i mutamenti della memoria percettiva riflessa si traducono in movimenti degli organi operativi. Evidentemente la modifica del flusso riflesso non comporta la modifica del flusso diretto che dai sensori va al terminale della memoria percettiva e che a fine processo si cristallizza in memoria di allarme, mentre la configurazione realizzata dal flusso riflesso modificato si cristallizza in memoria di rassicurazione. Evidentemente le modifiche alla configurazione della memoria percettiva che la trasformano in memoria di rassicurazione devono rispettare il principio di continuità spazio temporale e devono quindi procedere per variazioni infinitesimali fra elementi contigui.

Noi potremmo pertanto immaginare che la scoperta della configurazione di scarico del flusso riflesso, che dà luogo alla memoria di rassicurazione, sia legata ad una variabilità casuale della risposta, permessa dalla ridondanza delle connessioni, ma gli sviluppi della matematica statistica mostrano che, data la elevatissima dimensione della variabilità del reale, l’ottenimento di una risposta efficace per questa via avrebbe una probabilità praticamente coincidente con lo zero. Occorre quindi necessariamente che il campo di variabilità sia preventivamente ridimensionato attraverso la preventiva determinazione di componenti della risposta. Infatti. ciò che non è possibile sul piano ontologico è possibile sul piano genetico, giacché l’evoluzione agisce a livello infinitesimo del gradiente di efficienza della risposta e su un numero estremamente grande di tentativi. E’ giocoforza quindi ritenere che certe stratificazioni facenti parte della memoria di scarico siano fissate geneticamente in maniera rigida, costituendo per conseguenza vincolo insuperabile alla variabilità delle stratificazioni finali.  La memoria di scarico, che possiamo anche chiamare memoria operativa centrando così l’attenzione sull’aspetto costituito dal programma operativo che rappresenta, piuttosto che sullo scenario cui da luogo e che giustifica il suo appellativo di memoria di riconoscimento, contiene anche vincoli indotti in ambito ontologico che si aggiungono ai vincoli genetici. Fra questi sono di particolare rigidità le condizioni di vincolo indotte nella infanzia attraverso un processo denominato di “imprinting”, ma sono anche importanti i vincoli indotti nell’età adulta nella forma di memorie di allarme e di rassicurazione.

Il modo di inserimento di questi vincoli risulta abbastanza ovvio dopo quanto sappiamo; ricordiamo infatti che la ridondanza dei percorsi permessa dalla molteplicità degli interruttori e delle conseguenti connessioni sinaptiche comporta che l’arrivo di una sollecitazione in uno qualsiasi degli interruttori modifica la composizione delle forze all’interno del neurone e per conseguenza determina un cambiamento di direzione del flusso di output. L’aumento della tensione del flusso riflesso, conseguenza della stimolazione di una memoria di attivazione, comporta quindi dei mutamenti nel percorso di tale flusso ma se in tal modo intercetta una memoria di allarme si attiva un ulteriore mutamento di percorso mentre quando viene intercettata una memoria di rassicurazione si ha un mutamento in senso opposto. L’insieme delle memorie di allarme e di rassicurazione esistenti nel sistema costituiscono quindi campi di forza che indirizzano il percorso del flusso riflesso. E’ chiaro che, ad ogni mutamento di direzione del flusso riflesso corrisponde un mutamento di direzione di un componente della risposta.

Nello studio dei sistemi complessi questo tipo di situazioni che considerano i percorsi realizzabili in un insieme di punti materiali dotato di una certo quantitativo di energia, si utilizza uno schema costituito dal cosiddetto “spazio delle fasi” in cui gli elementi che vanno considerati per ciascun punto ai fini della determinazione dei percorsi sono la collocazione nello spazio, l’impulso e la direzione di questo impulso (determinato dal differenziale dell’impulso in ciascuna coordinata dello spazio). Adottando lo stesso criterio, il comportamento ottenuto può essere caratterizzato dalla informazione sensoria, dalla direzione del movimento, ma anche dalla dimensione della forza con cui viene effettuato il movimento che noi poniamo in connessione con la dimensione della energia di attivazione. Avremo pertanto un movimento di avvicinamento e un movimento di allontanamento all’oggetto che è fonte della stimolazione della memoria di attivazione. Ciascuno di questi movimento potrà poi essere suddiviso a seconda della dimensione della energia di attivazione. Avremo così un avvicinamento ad alto livello dell’energia che potremo definire contrasto e un avvicinamento a basso livello che potremo definire sinergia. Analogamente anche il comportamento di allontanamento può avere una graduatoria di manifestazioni, correlate alla dimensione della energia di attivazione.

In definitiva il percorso del flusso riflesso nella sua funzione di determinazione del programma operativo è rappresentabile come l’attraversamento di strati a rigidità decrescente della memoria percettiva passando dalle stratificazioni iniziali più rigide fino alle stratificazioni finali più flessibili. Man mano che il flusso riflesso attraversa stratificazioni a rigidità decrescente le variazioni del flusso riflesso acquistano componenti casuali, ovviamente nell’ambito dei gradi di libertà, che residuano dai vincoli genetici ed ontologici indotti dalle stratificazioni più a monte. Come abbiamo già detto, si determina così, su di uno schermo parallelo a quello dei terminali sensori la simulazione di una attività operativa che passa quindi agli organi operativi al raggiungimento di un certo livello critico di una funzione dello scarico. La successione di queste attività operative sullo schermo simulativo costituisce l’attività di pensiero e può sembrare paradossale che abbia, a parte la componente predefinita, una origine puramente casuale. Il fatto è che i vincoli predefiniti comprendono dei vincoli logici che strutturano una “sintassi”, cui il ragionamento, cioè la successione simulativa delle azioni, deve sottostare. Per comprendere come esse si siano formate occorre introdurre un altro argomento, non ancora trattato, costituito dalla “informazione non riconoscitiva” che permetterà di risolvere anche molti problemi che la trattazione fatta può aver lasciato. Come ho già avuto occasione di illustrare, la esposizione di un sistema complesso richiede, ai fini della sua comprensibilità, che le variabili da cui esso dipende vengano trattate una alla volta mentre in realtà agiscono tutte insieme ed hanno interazioni reciproche che tale modo di esporre deve necessariamente inizialmente trascurare. Occorre quindi necessariamente lasciare dei fili sciolti per riallacciarli in un secondo momento, occorre pazienza.

È evidente che ove un ragionamento rientrasse in tutti i suoi componenti nell’ambito dei vincoli logici, non occorrerebbe introdurre delle componenti casuali; il processo si arresterebbe senza la necessità dell’intervento del pensiero. Infatti, se lo scarico si realizzi in un qualsiasi punto del flusso riflesso il processo si interrompe; in particolare se si realizza nel tratto iniziale in cui vengono attivati i comportamenti predeterminati, ossia istintuali, l’intero processo non viene neanche avvertito; in termini psicologici si dice che è subliminale, mentre nei termini della fisica dei sistemo complessi diciamo che il processo si svolge per infinitesimi di ordine superiore rispetto a quelli percepibili. L’intervento del pensiero è quindi strettamente legato all’inserimento di componenti casuali che rappresentano elementi ipotetici la cui validità va confermata dalla retroazione di scarico proveniente dalla realtà. Il processo si interrompe con la sola adozione dei comportamenti predefiniti anche quando la dimensione dell’energia di attivazione raggiunge valori superiori ad un certo livello critico, espressione quindi di un pericolo che richiede una risposta immediata che la ulteriore elaborazione, assai più lenta, non consentirebbe.

5 – Il vettore modificativo

Naturalmente non è detto che almeno una delle “teorie ipotetiche” trovi riscontro nelle variazioni della realtà; se ciò non avviene si può determinare un aumento della tensione che riduce la rigidità delle strutture più a monte attraversate dal flusso di energia. Si dice che si verifica un approfondimento del “vettore modificativo” il che esprime il fatto che l’azione di modificazione dei collegamenti – cioè delle alternative direzionali prese alle giunzioni – si sposta verso strati reticolari di rigidità crescente, cioè che possiedono un più alto livello di resistenza.

Nei termini di uno schema fisico generale, quando l’azione esercitata sul sistema è al di sotto di una determinata soglia la reazione prende quella che viene chiamata “direzione estroversa” che può essere riguardata inizialmente, per semplicità, come la direzione opposta a quella di azione, come nel caso dei corpi rigidi e omogenei di Newton. Al di sopra di questa soglia, nei corpi reali, che si allontanano dalla condizione di omogeneità  e rigidità assolute ipotizzate da Newton, la reazione può assumere una differente direzione, in relazione alla struttura interna del corpo. La reazione mostrerà quindi una divergenza rispetto alla direzione estroversa e tale divergenza andrà aumentando con il crescere della tensione.

La rappresentazione fisica mostra che, fintanto che la divergenza non supera l’angolo retto, si tratta della comparsa di una componente “ortogonale”, in quanto posta ad angolo retto  nei confronti dell’azione esterna. Essa comporta dei cedimenti, cioè elementi del “dare”, ma nei confronti di linee relazionali esterne, differenti da quella da cui proviene l’azione che ha attivato il sistema, linee da cui può pervenire  un aiuto nei confronti della eliminazione dello stimolo, cioè elementi dell”avere”, strutturandosi così un rapporto di “scambio”. Tale aiuto può portare ad una riduzione  della tensione indotta dall’azione esterna superiore alla tensione richiesta dal superamento  dalla rigidità delle linee aperte dalla componente ortogonale della reazione , così che il risultato finale può essere costituito da una riduzione della tensione complessiva del sistema. L”apertura delle canalizzazioni laterali in cui consiste la comparsa di una componente ortogonale rappresenta quindi in sostanza una ricerca di sinergie.

La costituzione di sinergie ottenuta  può portare non solo all’eliminazione totale dello stimolo,  ma anche al raggiungimento  di una maggiore potenza nei confronti di tutte le sollecitazioni provenienti dallo habitat dando luogo, in determinate circostanze (quali quelle dell’imprinting su cui non possiamo qui intrattenerci), ad un “incollamento” con l’elemento esterno che comporta una reciproca interdipendenza. Tale fenomeno è dovuto alla maggiore sollecitazione dei campi di forza  inizialmente agenti, nonché alla sollecitazione di altri campi di forza, per effetto della eliminazione degli ostacoli che impedivano l’accostamento degli elementi su cui  tali campi di forza agiscono. Tali ostacoli sono rappresentati, nel campo meccanico, dalla interazione cinetica e nel campo psicologico dalla paura, impulso  di rifiuto di origine genetica  che  nel caso di specie agisce  a livello subliminale, cioè non avvertita dalla coscienza, come “paura di suscitare la paura” che sarebbe indotta dall’accesso ai canali proibiti. Tale paura potrebbe essere superata, ad esempio, da una eventuale paura più grande, connessa al mancato scarico di una memoria di attivazione.

Una volta che una canalizzazione sia stata attraversata da un flusso di energia di tensione sufficiente,  e successivamente abbia avuto luogo uno scarico adeguato, le connessioni interessate rimangono aperte. La linea di flusso si trasforma cioè in un canale preferenziale di flusso per i flussi di energia di più bassa tensione: si forma cioè una memoria di rassicurazione che può però avere gradi diversi di rigidità. Il comportamento di scambio può perciò essere innescato  in vista dei benefici di riduzione della tensione  complessiva del sistema che determina,  senza che si abbia uno scarico adeguato per la formazione di una connessione rigida, nel qual caso si parla di un “cedimento elastico” mentre l’irrigidimento del sistema nella forma conseguentemente assunta dalle connessioni avviene  in corrispondenza di un livello critico dello scarico  ed è chiamato  “cedimento plastico”. L’incollamento richiede uno scarico ancora maggiore , di tutte le possibili stimolazioni cui è soggetto il sistema ed avviene quindi in condizioni particolari. E’ importante sottolineare che il comportamento identificato tramite la direzione della reazione  è lo stesso sia che il cedimento plastico – cioè l’irrigidimento del collegamento nella nuova posizione – avvenga oppure no. In entrambi i casi il rapporto discambio  implica comportamenti di cedimento (o del dare) in modo tale che dall’esterno è difficile distinguere fra le due posizioni  se il loro confronto non si estende alle modifiche che subisce il comportamento quando cambiano le condizioni di stimolo. Le due posizioni possono infatti essere distinte dai differenti valori della tensione che le accompagna (elemento che può essere giudicato soltanto dall’interno) e dall’elasticità del compoertamento che segue al cedimento elastico, cioè dal suo immediato ritorno al comportamento che precedeva il cedimento quando cessa la tensione che lo ha indotto.

Un aspetto molto importante del sistema psichico è costituito dalla variabilità  del gradiente tensionale richiesto per il passaggio del flusso di energia  da uno strato di connessioni a quello adiacente più rigido. Questo elemento chiamato “gradiente di irrigidimento delle stratificazioni” è estremamente variabile tra gli individui e costituisce il più importante elemento di derivazione genetica  che influenza la variabilità caratteriale e quindi il livello tensionale a cui si innesta la paura.

Se infatti l’approfondimento progressivo del vettore modificativo non determina alcuno scarico, la tensione raggiunge un certo livello  critico corrispondente  nella rappresentazione fisica  ad una divergenza superiore all’angolo retto, condizione in cui si verifica la scomparsa della componente estroversa e la comparsa, accanto alla componente ortogonale di una componente “introversa”. Questa componente nell’ambito psicologico corrisponde ad un impulso di rifiuto che prende il nome di paura. Da notare che in queste condizioni il processo di scambio, pur potendo determinare una riduzione  della tensione, non è in grado di eliminare completamente la tensione che, ciononostante non viene avvertita  in conseguenza di un fenomeno esclusivamente psichico costituito dall’illusione, che costituisce una soddisfazione autoctona degli impulsi, almeno fintanto che la tensione non raggiunga determinati livelli critici che però, per molte tipologie caratteriali, possono esse assai elevati. Si tratta di un argomento assai vasto e complesso a cui si accenna solo per motivi di completezza.

In sostanza, l’approfondimento del vettore modificativo induce un aumento della tensione  ed un conseguente mutamento nelle modalità comportamentali che passano  per l’induzione del processo di scambio e, oltre un certo livello della tensione, ad un incremento progressivo dell’impulso della paura. Ai più alti livelli della paura il flusso di energia di attivazione imbocca delle linee particolari che hanno una struttura stratificata, con una direzione privilegiata che è quella della “fuga”. Se il comportamento di fuga è impedito posson essere imboccate diverse linee dii comportamento alternative quali la completa immobilizzazione  o la perdita della coscienza, ma è particolarmente importante, per i suoi riflessi sociali, il fenomeno costituito dalla “estroflessione della paura” in base al quale il comportamento riassume  la direzione estroversa, ma con un altissimo livello della tensione, condizione che carica il comportamento  di un’altissima quantità di violenza.  In particolari condizioni, connesse alla frustrazione dell’impulso sociale in caratteri ad alto gradiente tensionale, il comportamento diviene autodistruttivo.

6 – L’informazione non riconoscitiva.

L’elemento che introduciamo adesso è di una importanza fondamentale per il funzionamento del nostro cervello perché permette di assumere a livello indiziario le informazioni necessarie a costituire quel bagaglio di strutture di riconoscimento e comportamentali al quale la nostra specie deve la sua sopravvivenza senza esporre i componenti ad una eccessiva azione selettiva. Si può perciò partire, per introdurre questo elemento, da una molteplicità di punti perché tutta la struttura appare come un meccanismo che nell’ambito della teoria dei sistemi potrebbe definirsi di stima statistica e di controllo statistico delle ipotesi, effettuata su una popolazione di elementi di una dimensione tale da non esporre i membri della specie a pericoli mortali nel loro rilevamento.

Abbiamo scelto fra i tanti punti di partenza possibili un problema che può porsi nell’ambito della creazione di una memoria di allarme partendo dall’attivazione della memoria di stato. L’integrazione delle sollecitazioni che giungono alle varie sinapsi serve, come abbiamo visto, per selezionare i vari percorsi utilizzando il fatto che, in corrispondenza di ogni informazione sensoria, si determina una diversa distribuzione del valore delle sollecitazioni trasmesse alle sinapsi anche per effetto dei campi di forza attraversati. Il problema però sorge quando a fronte di uno scenario informativo complesso si verifica la stimolazione di una memoria di azione senza che esistano interventi delle memorie di riconoscimento che possano indicare in quale componente dello scenario informativo risiede l’origine dello stimolo.

Nella nostra trattazione iniziale introduttiva delle memorie di riconoscimento abbiamo affermato che, in corrispondenza di una contemporaneità fra una certa informazione sensoria e la attivazione di una memoria di azione, la memoria percettiva di tale informazione sensoria diveniva memoria di allarme. Ma si tratta, ovviamente di una semplificazione descrittiva, sempre necessaria quando si tratta di fenomeni complessi in cui le variabili agenti vanno introdotte gradualmente verificando i mutamenti che esse producono nella struttura delle interazioni. Nella realtà, se lo scenario è complesso e non è possibile determinare immediatamente l’origine della stimolazione, non è possibile trasformare l’intero scenario in memoria di allarme, perché ciò potrebbe comportare una intollerabile limitazione delle condizioni di vita, quale si verifica nelle “fobie”.

Occorre quindi necessariamente determinare nell’ambito delle variabili che costituiscono lo scenario, ciascuna corrispondente alla sollecitazione di una connessione sinaptica dei neuroni che fanno parte della memoria percettiva, quale sia la variabile o le variabili responsabili della eccitazione della memoria di azione. Si tratta di un caso particolare del problema fondamentale affrontato dalla matematica statistica, che è la matematica dei sistemi complessi, quello della determinazione della dipendenza di un fenomeno dalle variabili presenti in uno scenario complesso. Non è possibile, trattandosi di una materia assai vasta e complessa, darne una sia pur breve e sintetica esposizione in questa sede Cionondimeno, seguendo il criterio di semplicità fin ora adottato nella esposizione, introdurrò alcuni elementi fondamentali che la statistica ha mostrato essere indispensabili per potere eseguire quella che viene chiamata “analisi della varianza”. Il primo è che occorre determinare la frequenza con cui la presenza di ogni variabile si verifica in coincidenza con l’attivazione della memoria di azione e il secondo che il raggiungimento di un certo valore critico di tale frequenza implica l’esistenza di una relazione di dipendenza del fenomeno dalla variabile.

Tale semplice proposizione implica una molteplicità di problemi connessi che vanno risolti perché essa sia valida, particolarmente per quanto riguarda la determinazione della frequenza critica; occorre cioè considerare che la coincidenza della presenza della variabile e della attivazione può avere anche una origine casuale che comporta una variabilità della frequenza di apparizione, che ciò rende probabilistica la sua determinazione, che tale frequenza dipende dalla dimensione del campione, che le variabili sono soggette ad una variabilità di interazione, che comporta che la dipendenza del fenomeno dal una variabile può dipendere dal valore assunto da un’altra variabile ecc.

A ciò bisogna aggiungere che nel caso specifico delle memorie di riconoscimento, la sollecitazione della memoria di azione, sopratutto se si tratta della memoria di stato, può recare un tale danno all’organismo da non consentire la ripetizione ed in tal caso non resterebbe al sistema che passare a memoria di allarme l’intero scenario. La ripetizione della memoria di azione, anche nel caso si tratti della memoria di stato, diviene possibile se tale memoria di azione può presentarsi con diversi livelli tensionali dell’energia di supporto della memoria. Ciò è quanto viene realizzato nel processo di imprinting in cui si ha la formazione di fondamentali memorie di riconoscimento. In ogni caso, però l’intensità con cui la memoria di azione si presenta limita o addirittura inibisce la sua ripetizione di cui la frequenza è la misura.

Come anticipato, noi trascureremo tutti questi aspetti limitando la nostra attenzione al fatto fondamentale che, in ogni caso, il neurone deve rilevare la frequenza di una data variabile, che è l’elemento centrale, necessario, della indagine, annotandone la comparsa senza produrre alcuna modifica nel sistema salvo che in quella che McKay chiama “conditional readiness” cioè il suo avvicinamento alla condizione in cui una ulteriore comparsa della variabile determina il raggiungimento della frequenza critica e quindi l’innesco della connessione con il neurone successivo.

L’evoluzione ha realizzato questi obiettivi in una maniera semplicissima: ad ogni comparsa della variabile sotto esame corrisponde un versamento di neuro trasmettitori nel sito sinaptico senza che ne consegua altra modifica del sistema e ciò fintanto che il numero di versamenti raggiunge il livello critico e si instaura la connessione con il neurone post-sinaptico. È così possibile trasformare in memoria di allarme solo una componente dello scenario sensorio a disposizione. Abbiamo chiamato il versamento elementare di trasmettitori nel sito sinaptico “informazione elementare non riconoscitiva”.

Ora, noi non conosciamo come il sistema cerebrale svolga la sua analisi della varianza, come effettui tutti i rilevamenti e le elaborazioni necessarie perché una certa componente sensoriale diventi una memoria di allarme anche se ci rendiamo conto che il processo avviene contemporaneamente su più sinapsi e più neuroni che si scambiano le informazioni, ivi comprese quelle di retroazione che provengono dalle memorie operative, a loro volta influenzate dalle modifiche intervenute nella realtà esterna ad ogni ripetizione dello stimolo.

Possiamo solo rilevare alcuni aspetti che ci sembrano estremamente importanti anche se non sappiamo realizzare una loro completa integrazione sistemica. Quando una sinapsi di input viene attivata si ha versamento di neurotrasmettitori in tutte le sinapsi di output, non solo in quella in cui si verifica la trasmissione del segnale, anche se ciò avviene secondo rapporti variabili in relazione alla rigidità della connessione. Un neurone posto in una stratificazione qualunque potrà allora misurare, in ogni sinapsi di output, l’entità della sollecitazione complessiva trasmessa da tutte le sinapsi di input attraverso la concentrazione dei neurotrasmettitori ed attivare il segnale quando la concentrazione raggiunge un determinato valore, caratteristico della sinapsi in questione. E’ allora possibile che la connessione si attivi per effetto della sommatoria di sollecitazioni provenienti da reti sinaptiche “deboli” in quanto provenienti da fonti eccitatorie lontane, piuttosto che da una o poche reti sinaptiche forti e vicine, chiaramente identificabili come la “causa” della attivazione il che equivale ad affermare che la connessione viene “intuita” prima che ne possa essere determinata la causa.

Possiamo anche comprendere come si formano i vincoli logici indipendentemente dalla attivazione di una memoria di azione o di riconoscimento. Se i processi di accumulo di neurotrasmettitori nelle sinapsi in cui fluiscono le informazione sulla ripetizione di due eventi raggiungono il livello critico contemporaneamente si realizzerà per entrambi lo sviluppo di energia connesso al passaggio in una stratificazione più rigida e, se le aree di ridondanza si sovrappongono, si realizzerà la connessione che potrà consistere, ad esempio, nel rapporto di causa ed effetto. Analogamente, tali connessione possono realizzarsi anche fra gruppi di neuroni che eseguono operazioni complesse, ma non ci azzardiamo ad affrontare tali situazioni. Da notare che il processo avviene automaticamente senza che se ne abbia coscienza nella sua interezza.

E’ opportuno rilevare, in questa occasione, a quali dimensioni di errore può condurre la mancata considerazione in termini cibernetici del meccanismo cerebrale. L’esistenza di versamenti nella fessura sinaptica di quantità di neurotrasmettitori insufficienti a determinare la formazione del potenziale d’azione (informazione elementare, non riconoscitiva, come è invece il bit di Shannon) è stata verificata sperimentalmente, ma è stata portata a dimostrazione dell’esistenza di elementi di casualità ed indeterminazione nel funzionamento del cervello, alla formulazione di una specie di principio di indeterminazione psicologica. Essa rappresenta invece la cosa più straordinaria ed omportante del meccanismo, ne mostra la estrema precisione e capacità di analisi.

La possibilità di immissione di neurotrasmettitori nella sinapsi, senza l’instaurazione della connessione, cioè il fenomeno del riempimento parziale, è manifestazione dell’estremo livello di sensibilità e di determinazione del funzionamento del cervello, capace di prender nota di elementi informativi a livello infinitesimo, senza trasmetterli a fasi successive di elaborazione comportamentale fintanto che, per il pervenire di altre informazioni attraverso la stessa sinapsi afferente (ripetizione delle informazioni) o attraverso un ‘altra sinapsi afferente, facente parte o meno della stessa rete, il livello della concentrazione dei neurotrasmettitori non raggiunga il valore di produzione del potenziale d’azione.

Supponiamo allora che nei neuroni interessati da una percezione, in cui sono in completa attività le sinapsi della rete secondaria, siano parzialmente eccitate le sinapsi di una rete “terziaria”, nel senso, già chiarito, di versamento nella fessura sinaptica di un quantitativo di neurotrasmettitori insufficiente a determinare la formazione del potenziale d’azione nella cellula postsinaptica. La formazione di enzimi distruttori dei neurotrasmettitori procede, nella cellula postsinaptica, secondo un determinato ritmo temporale, cosicché i neurotrasmettitori che si poggiano su di essa, che non sono capaci di attivare l’onda elettrica, vengono con il tempo anche distrutti. Supponiamo adesso che si abbia o una ripetizione delle informazioni sensorie che hanno dato luogo all’eccitazione parziale delle sinapsi della rete terziaria. Si determina allora per entrambi i motivi un aumento della formazione di neurotrasmettitori e quindi della loro concentrazione sulla membrana della cellula postsinaptica della rete terziaria che dura fin tanto che tale cellula non abbia ricostituito i necessari quantitativi di enzimi distruttori, nonché per il tempo successivo necessario ad eliminare i neurotrasmettitori, funzione della capacità di distruzione di neurotrasmettitori tipica della particolare rete sinaptica. Si è così determinata, senza che si sia mai avuta la formazione di un potenziale d’azione, solo attraverso la modifica delle concentrazioni di neurotrasmettitori, una memoria percettiva di lunga durata, un “ricordo”. Una eventuale ulteriore ripetizione delle informazioni sensorie (o di informazioni associate, cioè costituite da un reticolo con punti di connessione con il reticolo delle informazioni sensorie in essere), troverà infatti le membrane delle cellule postsinaptiche della rete terziaria già con una elevata concentrazione di neurotrasmettitori (conditional readiness di McKay); l’ulteriore incremento nel quantitativo di neuro-trasmettitori dovuto alla ripetizione è allora sufficiente a determinare il superamento del limite di depolarizzazione delle membrane in corrispondenza del quale si forma il potenziale d’azione. Si sviluppa così un flusso energetico che percorre, nei vari neuroni, tutte le sinapsi terziarie che fanno parte di quel determinato gruppo di interconnessioni: si è cioè formato un “ricordo” meno labile che nella rete secondaria, ove la capacità distruttiva dei neurotrasmettitori è più elevata.

Osserviamo adesso che la memoria percettiva è costituita dalla rete di linee preferenziali di flusso che attraversano l’intera stratificazione di neuroni che collegano la stratificazione iniziale, dei terminali sensori, con la stratificazione finale, dei centri di attivazione. La sua attivazione comporta la ricostituzione, sullo schermo dei terminali sensori o su una struttura cerebrale corrispondente, della struttura dell’informazione sensoria, realizzata dall’energia riflessa. Come abbiamo avuto occasione di mostrare, l’energia di attivazione del reticolo può penetrarvi da uno qualsiasi dei nodi che fanno parte del reticolo stesso: la distruzione di una parte elimina quindi solo un modo di sollecitazione della memoria, ma non la può escludere del tutto. L’importante è che il numero di nodi sollecitati, facenti parte del reticolo rappresentativo del ricordo, raggiunga un certo valore cosicché l’energia immessa corrisponda a quella che sarebbe immessa tramite i nodi dello strato finale.

7 – La modulazione del pensiero.

Come abbiamo avuto modo di vedere, perché si abbia la ricostituzione di una percezione sullo schermo delle memorie sensorie (o su uno schermo parallelo) occorre che un flusso energetico partente dal nodo rappresentativo di tale percezione dello strato terminale delle memorie percettive raggiunga tale schermo, seguendo a ritroso i percorsi tracciati dalla informazione sensoria. Le linee di flusso che costituiscono le memorie percettive sono cioè accompagnate da linee parallele in cui procede in senso inverso un flusso informativo di minor livello tensionale.

Abbiamo visto che lo strato dei terminali delle memorie percettive è lo strato in cui il flusso proveniente dai terminali sensori non ha gradi di libertà in conseguenza del raggiungimento di un certo numero minimo di terminali di input eccitati. Abbiamo anche visto che il flusso riflesso, partendo da un solo terminale di input, potrebbe assumere invece gradi di libertà se tale libertà non fosse impedita dall’esistenza di percorsi preferenziali indotti dal flusso diretto di formazione della memoria percettiva disposti secondo strati a rigidità crescente passando dai terminali sensori ai terminali delle memorie percettive.

È però sufficiente che il livello tensionale del flusso riflesso si rialzi lievemente, come conseguenza della sollecitazione di una memoria di attivazione o di un flusso di attenzione o concentrazione, perché esso, debordando dai canali preferenziali, assuma gradi di libertà che si manifestano particolarmente negli strati più labili di connessioni, prossimi ai terminali sensori e la sua estrinsecazione, che comporta una modifica della informazione sensoria, costituisce l’attività di pensiero. La successione di tali connessioni labilissime, che comportano la stimolazione dall’interno di strutture percettive, corrisponde alla realizzazione simulata delle modificazioni della realtà che sarebbero indotte dalle corrispondenti memorie operative.

Il pensiero, quindi, costituisce uno strumento di regolazione degli organi operativi. E’ evidente infatti che la rappresentazione preventiva degli effetti di ogni azione operativa nello schermo dei terminali sensori permette di apportare i dovuti aggiustamenti all’azione ottenendo una più rapida convergenza verso la risposta efficace. Si stabiliscono a tal fine collegamenti diretti fra componenti sensorie e componenti motorie della risposta. Nel ragionamento, inteso come la successione dei passaggi logici, è variabile il rapporto fra i passaggi in corrispondenza dei quali non si verificano abbassamenti tensionali e i passaggi in cui tali abbassamenti si verificano (per la connessione con memorie di rassicurazione, di cui fanno parte i vincoli logici); è pertanto variabile il grado di soddisfazione connesso ad ogni ragionamento, definibile come “entità di certezza” o con il concetto simmetrico di “entità di dubbio”.

Dovremo ritenere che anche le memorie più labili, soggette all’attività di pensiero, siano costituite da stratificazioni di diverso grado di rigidità e quindi che anche in tale ambito operi un vettore modificativo con una componente introversa che, operando su elementi lontani dalle memorie sensorie, si identifica con il pensiero astratto ed una componente estroversa che, operando sulle memorie sensorie, si identifica con la più semplice forma di pensiero modificativo degli aspetti concreti della realtà. Anche per queste stratificazioni si svolgono quei processi di raggruppamento, contrapposizione ed equilibrio che si svolgono in linea generale nei nodi della rete e che sono ampiamente influenzati dal processo di accumulo graduale dei neurotrasmettitori nel sito sinaptico. Noi desideriamo però qui limitare la nostra attenzione su certi tipi di trattamento dell’informazione, assai importanti, che comportano l’intervento di una speciale rete portatrice di una energia di modulazione delle attività di pensiero e che, non essendo legata ad alcuna specifica informazione sensoria, abbiamo chiamato “energia libera”. Per la illustrazione di questo argomento dovremo introdurre alcune elaborazioni matematiche che cercheremo però di mantenere nella forma più semplice possibile.

La tensione globale del sistema, T, è funzione delle tensioni dei singoli flussi di energia che chiameremo impulsi e indicheremo con (y1…yn) che a loro volta sono funzioni delle variabili che identificano il programma operativo nella rappresentazione simulata del pensiero, che indicheremo con (x1…xr).

Se le relazioni di dipendenza fra gli impulsi e le variabili operative sono esplicitabili, ossia se le relazioni:

yj = yj(x1……xr)                (j=1…….n)

sono note, sostituendole nella espressione di T si ottiene:

T = f(x1………xr)                       (1)

 Dove T è una funzione di variabili indipendenti.

Come è noto dall’analisi infinitesimale, le condizioni di minimo della funzione (1) si ottengono risolvendo il sistema di r equazioni:

dT/dxm = 0       (m = 1……r)          (2)

 Come sappiamo, il movimento del pensiero si svolge nelle direzioni cui corrispondono variazioni delle variabili che danno luogo ad una riduzione della tensione, ossia nella direzione in cui la derivata della tensione è negativa e si arresta quando la riduzione si annulla, cioè quando si verifica la (2). Il movimento del pensiero è quindi un programma di ricerca dei valori minimi di una funzione di più variabili.

Se alcune delle relazioni di dipendenza fra gli impulsi e le variabili operative non possono essere esplicitate, la funzione (1) diventa:

T = f(x1…..xr,y1…….yn)       (3)

Dove y indica gli impulsi per i quali la relazione di dipendenza dalle variabili operative non è nota. Ora, una completa assenza di informazione sui legami di dipendenza di ogni impulso dalle variabili operative non può sussistere. La variazione elementare di tensione è infatti la reazione ad una variazione elementare delle variabili operative che è sempre eseguibile, cosicché almeno sul piano delle derivate prime, della variazione elementare di tensione in corrispondenza di una variazione elementare delle variabili operative, la dipendenza di ogni impulso dalle variabili operative è nota. In analisi infinitesimale si dice che sono note le componenti lineari delle relazioni di dipendenza. Per conseguenza il movimento del pensiero, fintanto che si svolge unicamente secondo il principio del piacere (cioè verso lo scarico tensionale), equivale alla ricerca del minimo della tensione globale sulla base di una approssimazione lineare per le relazioni di dipendenza fra gli impulsi e le variabili operative e si dice che esso rappresenta un programma di ottimizzazione lineare della detta funzione.

Se i legami di dipendenza fra gli impulsi e le variabili operative sono effettivamente lineari, la cessazione della ricerca nelle direzioni individuate dalla esistenza di una derivata negativa della tensione, ossia secondo il principio del piacere, indica il raggiungimento del minimo assoluto della funzione T. Se invece i legami non sono lineari, il punto di arresto è un punto di minimo relativo della funzione T (valori più bassi della tensione globale non possono cioè sussistere in un intorno infinitesimo del punto, giacché ciò involverebbe un valore negativo della derivata prima della tensione globale e quindi uno spostamento nella direzione così individuata) ma non è un punto di minimo assoluto (valori più bassi possono cioè sussistere in un intorno non infinitesimo).

La ricerca del minimo assoluto della funzione (3) può essere eseguita nell’ambito della cosiddetta ricerca dei minimi vincolati di una funzione di più variabili. Se cioè la carenza di informazione sui legami di dipendenza fra le yi e le xm non è totale e se l’informazione disponibile è nella forma di n condizioni di vincolo da realizzarsi nel punto di minimo (che prende il nome di minimo vincolato) espresse da:

φj(x1……xr, y1……yn) = 0    (j=1……..n)       (4)

la ricerca dei minimi della funzione (3) coincide con la ricerca dei minimi liberi della funzione:

W = f(x1…..xr,y1…..yn) + jjj(x1…..xr,y1……yn)       (5)

dove le j sono costanti reali, dette moltiplicatori di Lagrange.

Individuando il minimo assoluto attraverso condizioni di vincolo, la sua ricerca può essere effettuata come un minimo vincolato. Ricerchiamo quindi quali informazioni parziali risultano disponibili sulla posizione del minimo assoluto, cosicché la loro espressione come condizioni di vincolo possa permettere la ricerca del minimo assoluto. Tali informazioni sono costituite dalla esistenza, nelle condizioni di minimo relativo della tensione globale, di un gradiente negativo della tensione di alcuni particolari flussi o impulsi per variazioni infinitesime di alcune variabili operative (impulsi insoddisfatti). Ovviamente, in presenza di impulsi che presentano un gradiente negativo della tensione pur in presenza di un gradiente nullo della tensione globale sta ad indicare che sussistono altri impulsi con gradiente positivo, che cioè l’equilibrio realizzato nel punto di minimo è un equilibrio dinamico. Le (4) devono quindi esprimere la condizione che le tensioni di questi impulsi diminuisce nel minimo assoluto e questa condizione è evidentemente verificata se poniamo la condizione che addirittura la tensione di questi impulsi si annulli nel minimo assoluto. Le (4) quindi divengono:

yj(x1…..xr) = 0     (j = 1…..n)       (6)

 e, per conseguenza, la (5) diviene:

W = f(x1 … . .xr, y1…..yn) + j jyj(x1……xr)        (7)

La ricerca del minimo assoluto della funzione (3) può essere quindi eseguita come ricerca del minimo libero della funzione (7), in cui gli impulsi insoddisfatti vengono amplificati secondo coefficienti dati dai moltiplicatori di Lagrange. Tale ricerca del minimo libero avviene come sappiamo, in conseguenza del naturale indirizzarsi dei flussi di energia verso le direzioni che implicano una riduzione della tensione fino a quando la tensione si annulla, condizione che, pur essendo un fondamentale principio fisico, ha assunto in psicologia lo speciale nome di principio del piacere.

La struttura funzionale che, nel modello psicocibernetico, svolge la funzione di amplificazione selettiva degli impulsi insoddisfatti per permettere una ottimizzazione non lineare del livello complessivo della tensione prende il nome di “memoria di amplificazione secondaria” e l’energia di amplificazione viene detta “energia libera”. Si tratta di un serbatoio di energia sollecitabile non in corrispondenza di una determinata informazione, come avviene per gli impulsi, ma da una condizione generica di “insoddisfazione”, cioè dall’esistenza di flussi impediti nel loro movimento dalla contrapposizione con altri flussi nelle condizioni di minimo relativo. Si ritiene che, mentre la condizione di insoddisfazione generica sia molto comune (noia), l’entità della energia libera sia molto variabile da individuo a individuo, così da permettere, a livello di specie, una sperimentazione di tutti i valori possibili dei moltiplicatori di Lagrange i cui valori relativi alla singola situazione non sono aprioristicamente conosciuti.

Secondo una certa ipotesi, ovviamente tutta da verificare, esiste una duplicazione dell’elaborazione delle informazioni che sono state anche localizzate nei due emisferi cerebrali, l’amplificazione secondaria, quella della fantasia, opera su una sola delle due linee e assume capacità di influenzare il comportamento solo al verificarsi di certe condizioni di coerenza con l’elaborazione svolta dall’altra linea, che porta alla individuazione del minimo relativo. Non sempre infatti l’amplificazione degli impulsi insoddisfatti conduce all’individuazione di un minimo assoluto (occorre che tale minimo esista e che sia realizzata una certa struttura dei moltiplicatori di Lagrange, condizione questa che ha delle limitazioni). La verifica di coerenza con il minimo relativo implica l’accertamento che le distorsioni indotte dalle amplificazioni lagrangiane nella struttura degli impulsi abbiano realmente condotto all’individuazione di un minimo assoluto (o quanto meno di un minimo relativo più basso) prima di essere trasferite sul piano operativo. La composizione delle elaborazioni prodotte dalle due linee elaborative del comportamento, si svolge secondo alcuni, attraverso le fibre commissurali, che collegano i due emisferi cerebrali.

Da notare la somiglianza della memoria di amplificazione secondaria con la paura. In entrambi i casi lo sviluppo dell’energia non è legato alla condizione di insoddisfazione di un particolare impulso. L’insoddisfazione di qualsiasi impulso può dar luogo alla paura come può dar luogo  alla amplificazione secondaria  (che potrebbe anche chiamarsi coraggio), impulsi entrambi variabili nell’ambito della popolazione. La differenza fra i due impulsi sta nella dimensione dell’allarme connesso  alla insoddisfazione e dal fatto che l’amplificazione secondaria non distrugge  tutto l’apparato razionale di elaborazione della risposta mentre la paura lo scavalca completamente , imponendo modalità comportamentali predefinite sulpisano genetico.

Come si vede, in definitiva, l’attività razionale del cervello appare come un metodo scientifico particolarmente raffinato in quanto ogni modifica delle variabili è testata nella realtà a livello di variazione infinitesima. Ciò che ne limita la validità scientifica è l’insieme delle stratificazioni rigide, cioè istintuali, che vincolano il pensiero in determinate direzioni e ne bloccano altre, introducendo così illusioni ed inganni. Ciò sarà stato indubbiamente estremamente utile nel corso dell’evoluzione ed avrà certamente garantito la sopravvivenza della specie, ma potrebbe oggi, in cui il contesto è mutato radicalmente, esserne all’origine della estinzione. L’inadeguatezza della struttura immodificabile creata dall’evoluzione alle mutate condizioni dello habitat è stata peraltro la causa prevalente di estinzione delle specie da quando la vita è comparsa su questo pianeta.

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