Angoscia, violenza e bisogno d’amore

La formazione dell’associazionismo fra i mammiferi, a parte quello connesso alla cura della prole, la cui origine si perde nella notte dei tempi, viene sempre ricondotta al manifestarsi, nello habitat, di graduali e crescenti difficoltà di sopravvivenza per il singolo animale. Naturalmente, per il nostro antenato da cui sarebbe partito il processo di aggregazione, si fanno delle ipotesi più concrete, legate alla trasformazione graduale del suo habitat da foresta a savana. È chiaro che un animale che assomigli all’attuale scimpanzé non avrebbe alcuna possibilità di sopravvivenza in un ambiente quale la savana africana; nessuna arma, scarsa velocità, strumenti di attacco e di difesa insignificanti nei confronti delle potenti strutture dei predatori africani.La sopravvivenza della specie in queste condizioni fu dovuta alla gradualità con cui si svolse l’azione selettiva, che fornì ancora per molto tempo negli alberi un rifugio estremo ai nostri ancestori che erano però costretti dalle necessità alimentari a scendere spesso da essi, malgrado la paura estrema che tale atto comportava, giacché si esponevano così all’attacco dei predatori.

In linea di sintesi, si può dire che il meccanismo di sopravvivenza messo in atto, costituito dalla successione discesa-paura-fuga-rifugio, aveva il suo punto più debole nella distanza di avvistamento del pericolo che, data la enorme differenza di velocità nei confronti dei predatori, non permetteva al nostro progenitore australopiteco di allontanarsi dall’albero di quanto era invece richiesto dalle necessità alimentari. Ai fini che questo lavoro si ripromette, legati alla origine e alla funzione dell’angoscia, non è necessario descrivere le trasformazioni somatiche cui lo sforzo di sopperire a tali deficienze comportò, quali l’assunzione della funzione eretta, l’aumento della rotazione della testa, la perdita della coda, nonché la trasformazione del cavo orale intervenuto contemporaneamente allo sviluppo dell’associazionismo e della intelligenza per dar luogo alla parola. Ai fini che ci ripromettiamo, legati agli aspetti psicologici, possiamo partire dalla considerazione dell’enorme progresso che l’associazionismo fra i nostri progenitori portò alla funzione di avvistamento, progresso senza il quale la specie molto difficilmente sarebbe potuta sopravvivere al progressivo ritrarsi della foresta

Lo sviluppo di una rete di comunicazione fra diversi individui permise non solo il trasporto della informazione di avvistamento ma anche di molte altre informazioni ad essa connesse e quindi infine anche lo sviluppo della funzione di mutazione delle informazioni in entrata in quelle in uscita sulla base di un processo di valutazione cioè lo sviluppo del cervello che è l’organo deputato in ogni individuo a realizzare tale “commutazione”[1].

Naturalmente lo sviluppo dell’associazionismo riguardò non solo la funzione comunicazionale ma anche altre attività altrettanto importanti quali l’organizzazione della caccia e della difesa dalle aggressioni esterne, elementi che richiesero uno sviluppo organizzativo ed un coordinamento funzionale che si estese anche a tutte le interazioni fra i componenti del gruppo. Il gruppo raggiunse alla fine del suo processo formativo un livello di organizzazione così alto da costituire uno straordinario strumento di sopravvivenza e di dominio del mondo animale.

Che le cose si siano svolte in questo modo non sussistono ormai più dubbi, dopo tutto quanto è stato scoperto da quando Darwin per la prima volta ipotizzò la nostra discendenza dalle scimmie fino alle prove del DNA che hanno mostrato come lo scimpanzé sia il nostro più vicino parente nel mondo animale. Ma ciò non toglie che non sappiamo come le trasformazioni, sopratutto quelle psicologiche, siano avvenute, conoscenza che ci permetterebbe di risolvere importanti problemi inerenti l’origine e le interazioni degli impulsi che governano il nostro comportamento.

L’origine dell’aggregazione sociale viene dunque posta nella condivisione di una grande paura che portò ad una sinergia comportamentale e successivamente ad un graduale sviluppo della struttura organizzativa a fronte di concreti vantaggi in termini di sopravvivenza. Si costituì così l’orda primigenia di DArwin e Freud che è durata un tempo lunghissimo, la cui determinazione precisa è ovviamente assai difficile; vi sono studiosi che ritengono che sia di tre milioni di anni, altri meno, ma comunque mai molto al di sotto del milione di anni.

Tutto ciò che percepiamo + frutto di un processo associativo dovuto all’azione di forze aggregative che, quando raggiungono un certo livello, danno luogo alla fusione degli elementi componenti e alla formazione conseguente di una nuova entità che presenta qualità non riscontrabili nei componenti, così che questa fusione o sintesi o incollamento, come viene chiamato questo processo nelle varie branche della scienza, è un atto creativo, la magia della natura (come lo chiama Cornig). Vi sono alcune leggi che condizionano la formazione e lo sviluppo dell’incollamento, termine che abbiamo deciso di adottare, leggi che pertanto devono valere anche per la formazione dell’orda primigenia. esse sono:
1 – La inesistenza di elementi oppositivi, condizione che viene anche detta di sinergia e che nell’ambito della meccanica si traduce nella condizione di parallelismo motorio,
2 – L’accostamento dei componenti fino al raggiungimento del livello critico delle forze aggregative che determina la fusione (ricordiamo che le forze attrattive esercitate dai campi di forza gravitazionale ed elettromagnetico sono inversamente proporzionali al quadrato della distanza).Tale condizione determina l’irrigidimento dei composti ottenuti, cioè l’aumento della capacità di resistere all’azione distruttiva degli urti,
3 – l’iterazione del processo di incollamento dà luogo a sistemi sempre più complessi che assumono così la forma di reti stratificate secondo livelli di rigidità,
4 -Ogni componente è collegato con tutti gli altri componenti della rete, cosicché ogni variazione intervenuta nella dimensione della forza prodotta da un componente si riflette negli equilibri delle forze realizzati in tutti gli altri componenti della rete. Si dà così luogo ad una variabilità configurale dell’intero sistema che implica la formazione di retroazioni sul componente da cui si è originata la variazione. E’ nell’ambito di questa variabilità che, con tutta probabilità si crea la nuova qualità,
5 -la dimensione della forza prodotta da ogni componente è legata alla sua posizione nella struttura. La forza massimasi realizza nell’elemento collocato nella posizione baricentrica.

Tornando al problema dello sviluppo dell’orda primigenia, osserviamo che il processo evolutivo procede attraverso incollamenti successivi fra le molecole portanti l’informazione genetica (DNA) che la selezione abbia posto in posizione di sinergia con riguardo ad una funzione svolta da un gene. Ciò comporta il rafforzamento delle interazioni esercitate da questo gene nonché lo svolgimento di operazioni di riequilibratura in tutti gli altri componenti che possono dar luogo alla nascita di nuove qualità nonché a retroazioni regolative sul gene da cui la variazione si è originata.
Dunque, la presenza di un elemento che premi, in termini di sopravvivenza all’azione selettiva proveniente dall’esterno, deve necessariamente esistere perché si inneschi il processo evolutivo anche qualora il vantaggio iniziale sia estremamente piccolo.
In questo senso gli elementi da cui può essere partito il processo evolutivo sono:
1 -la presenza di una grande dimensione della paura, il cui prolungamento nel tempo ha consentito di mantenere attivo il processo evolutivo,
2 – La presnza di impulsi “empatici”, cioè donatari, quali l’impulso genitoriale e l’impulso sessuale sia omo che etero. Da notare però che l’incremento della dimensione di questi impulsi trovò un limite compatibile con una dimensione assai piccola dell’orda, quale quella di una grande famiglia. In una condizione di estrema tensione della lotta della sopravvivenza la quantità di energia che poteva essere consumata dall’orda per la protezione dei più deboli, in particolare dei bambini, aveva un limite critico oltre il quale veniva compromessa la sopravvivenza dell’intera orda.
3 – la presenza di una capacità associativa del cervello. Questa facoltà permetteva di realizzare legai empatici anche sul piano ontologico, così che il suo sviluppo genetico determinò un progresso anche in tale possibilità di formazione ontologica.

Il più importante sviluppo determinato dal processo evolutivo fu come detto, la permanenza della paura che consentì per conseguenza la continuazione del processo evolutivo. L’impulso così prodotto, trovando scarico nella partecipazione sociale, si caratterizzò come bisogno sociale che assunse, con il progredire del processo evolutivo, una dimensione pari a quella dell’impulso di conservazione individuale con cui in alcuni caratteri si identificava o che addirittura sopravanzava. La permanenza ed il perfezionamento organizzativo dell’orda comportò infatti, che la sua formazione non fosse più un fatto episodico, dovuto alla presenza immanente del pericolo, ma venisse assunta a livello genetico. Nella maggior parte degli animali un tale sviluppo comporterebbe la fissazione rigida di determinati comportamenti, come avviene per le api o per le formiche, ma in alcuni animali, particolarmente nei mammiferi, viene lasciata una certa area di libertà nel comportamento, area che viene coperta dalla intelligenza che porta alla scelta del comportamento più idoneo alle circostanze. In genere negli altri animali l’elemento situazionale che richiede un intervento intellettivo è abbastanza semplice, quale, ad esempio, lo sviluppo di paura di fronte ad un determinato pericolo, che da luogo alla fuga o alla estroflessione della paura in attività aggressiva, alternative per le quali sono sufficienti pochi bit che rappresentano l’intelligenza dell’animale.  Nell’uomo invece l’area di libertà del comportamento divenne molto più estesa per effetto dello sviluppo della capacità di commutazione che offrì al gruppo sociale una molteplicità di programmi operativi alternativi e che rappresentò l’arma vincente sviluppata dall’evoluzione, una volta che il meccanismo era stato innescato dalle necessità di avvistamento e aveva cominciato a migliorare le condizioni di sopravvivenza che la progressiva riduzione della foresta rendevano sempre più critiche.

Nell’orda, in definitiva, il comportamento aveva una flessibilità che ne consentiva un esteso adeguamento alle necessità ontologiche di un animale privo di armi naturali. Tuttavia occorreva ovviamente che sussistessero comunque dei vincoli genetici che, seppure non irrigidissero in poche alternative il comportamento, ne assicurassero lo svolgersi nella semantica della sopravvivenza.  L’evoluzione ha perciò premiato quella organizzazione sociale in cui la paura, che aveva determinato l’innesco del processo aggregativo ancestrale, sussisteva anche quando il pericolo non sussisteva, così da ripetere il suo effetto aggregativo sul piano ontologico, ma dando luogo a elementi organizzativi e comportamentali che potevano variare in relazione ai valori assunti da una serie di variabili ambientali in essere nei vari momenti evolutivi. È a questa paura, che sussiste anche in assenza di alcun pericolo, quindi incomprensibile se non ci si rifà al particolare processo evolutivo umano, che viene dato il nome di angoscia esistenziale, cioè connessa al semplice fatto di esistere. Poiché essa viene portata a scarico dalla integrazione nel sistema, ne possiamo concludere che essa esprime un bisogno di protezione che trova scarico in questa integrazione, esprime cioè un bisogno sociale, la cui frustrazione dà luogo all’angoscia, che esprime quindi l’insuccesso del processo integrativo.

Naturalmente, la condizione di aggregazione è solo una prima basilare condizione organizzativa; l’elaborazione della attività comportamentale del gruppo, l’estrinsecazione di quella intelligenza che risulterà l’arma vincente implica altre ed importanti stratificazioni organizzative che danno luogo a livelli crescenti di efficienza nella attività produttiva della sopravvivenza. Alla eterogeneità distribuzionale delle forze sociali, che esprime l’organizzazione del sistema, che le convoglia verso un determinato obiettivo, deve perciò corrispondere una eterogeneità della struttura psicologica degli individui e particolarmente della dimensione assunta dal bisogno di integrazione. È difficile stabilire se questa eterogeneità preesistesse all’aggregazione o sia uno sviluppo evolutivo ad essa connesso, rimane il fatto che si tratta di una condizione fondamentale perché la semplice aggregazione evolva verso forme organizzative più complesse. Pertanto il bisogno di integrazione non ha la stessa forza in tutti gli uomini, ma sopratutto non ha la stessa caratteristica di coniugazione attiva o passiva che definisce quindi due classi fondamentali, quella maggioritaria, delle masse, in cui l’impulso si esprime in termini di bisogno di protezione da parte della potenza del gruppo e quella minoritaria del potere, in cui l’impulso si esprime in termini di acquisizione della potenza del gruppo, che definiamo impulso dominativo o volontà di potenza. Possiamo anche indicare le due tipologie psicologiche come quella dei deboli e quella dei forti oppure, con Jung, degli introversi e degli estroversi ed è inoltre indifferente in questo contesto rilevare che le modalità comportamentali di questi impulsi sono soggette ad un certo livello di relativismo, nel senso che un individuo può comportarsi da debole nei confronti del più forte e da forte nei confronti del più debole.

Ora, il bisogno di integrazione delle masse esprime un impulso fissato rigidamente in termini genetici e, se non frustrato, dà luogo ad un tipo di aggregazione di particolare forza che, in altri settori, è stato denominato “incollamento” o “sintesi” e comporta la messa in sintonia dei flussi di energia dei componenti, così da formare una unità in cui i componenti perdono la loro individualità. Tale sintonia riguarda ovviamente, nel nostro caso, l’ambito psicologico, cioè l’ambito dei rapporti interpersonali, determinando una “dipendenza psicologica” che investe gli impulsi ed in particolare l’intelligenza, che ne è la propaggine ultima. Essa comporta il bisogno di ricevere “disposizioni”, senza le quali la massa è incapace di prendere qualsiasi decisione che non sia la sottomissione o la fuga, disposizioni che non sente come costrizione ma come risposta funzionale alla domanda di protezione. Ciò ci permette di dedurne che il bisogno sociale esprime qualcosa di più di una semplice richiesta di protezione, ma sia una richiesta di identificazione totale che permette di definirlo un “bisogno di amore”.

Ciò comporta, che l’ambito operativo lasciato all’intelligenza viene, nelle masse, ridimensionato, portando ad una rigidità del pensiero e del comportamento indotti dalla società e particolarmente dal potere. L’esigenza evolutiva che ha dato luogo a questo risultato è ovvia; la necessità di una unità di comando e quindi di un pensiero prevalente, unica alternativa, in condizioni di pericolo, all’ immobilismo o al caos. Gli individui forti del gruppo, invece, non sono sottoposti ai vincoli limitativi della intelligenza che impongono, come richiedeva Mussolini, di “credere, obbedire, combattere” e ciò ha l’importante conseguenza che, se noi escludiamo la piccola minoranza di uomini dotati di impulsi empatici, il loro comportamento, guidato da impulsi esclusivamente egoistici, può avere una assai più ampia variabilità in relazione ai valori assunti dalle variabili esterne al sistema.

Si può osservare che nell’orda non sussisteva un solo uomo forte, cosicché la condizione di indecidibilità sarebbe dovuta permanere per effetto della molteplicità dei loro giudizi, ma tale eventualità era scongiurata dalla concentrazione della dipendenza psicologica della massa in un solo uomo, il capo, condizione che non è solo dell’orda, ma è tipica di tutti i branchi cacciatori. Tale concentrazione ebbe una importanza estrema come elemento organizzatore e regolatore delle interazioni fra i componenti dell’orda, e dotava il capo di un grandissimo potere anche nei confronti degli uomini forti del gruppo. Quindi anche se potevano esistere, nell’ambito delle stratificazioni caratteriali, uomini dotati di libero pensiero, il potere decisionale ultimo apparteneva esclusivamente al capo.

Tuttavia, sarebbe errato ritenere che gli uomini forti del gruppo fossero ad esso legati solo per una comunanza di utilità acquisita esclusivamente sul piano razionale, senza alcun coinvolgimento emotivo. La continua presenza di un gravissimo pericolo costrinse infatti i nostri progenitori a non sprecare le energie disponibili nelle dispute interne e a concentrarle tutte sul pericolo esterno; portò cioè di necessità ad un alleggerimento degli impulsi dominativi interni, nonché gradualmente ad un coordinamento dell’iniziale parallelismo comportamentale dovuto alla comunione del pericolo, condizioni che portarono ad una completa integrazione nel sistema e alla completa scomparsa delle manifestazioni di dominio delle strutture di comando. L’unica differenza era costituita dal fatto che nelle strutture di potere la permanenza della condizione di coordinamento era legata alla permanenza del pericolo mentre nella massa aveva una origine genetica, indifferente alla presenza o mano del pericolo esterno.

Ho mostrato, in un precedente post, come la comunanza del pericolo determini, a livello della struttura reticolare del cervello, la comunanza delle memorie di allarme e di rassicurazione e come ciò comporti la trasmissione, da un partner all’altro, di tutta la struttura dei vincoli comportamentali di formazione ontologica. In tali condizioni si sviluppa un processo di identificazione, cioè di incorporazione in un unico “soggetto” che esclude qualsiasi manifestazione di dominio che può solo svolgersi fra un soggetto ed un “oggetto”. Ciò non significa che non si sviluppi una gerarchia nell’ambito del gruppo così formato, ma l’ordine che il più forte rivolge al più debole viene vissuto da quest’ultimo come una indicazione comportamentale che risponde alla sua domanda di protezione, come un elemento funzionale che indica la via per raggiungere l’obiettivo; in sostanza come una manifestazione di amore.

Perché il processo si svolga in questo modo, dando cioè luogo ad un processo di identificazione totale, quindi ad un rapporto di amore, non è sufficiente l’esistenza del pericolo esterno; occorre l’intervento di ulteriori campi di forza che si produce nell’ambito di un processo complesso che si svolge nell’infanzia fra genitori e figli in cui gioca un ruolo fondamentale l’impulso genitoriale. Fra i figli invece, il rapporto che si creava era di incollamento parziale, il che implica che il rapporto di integrazione che ne scaturiva era di un tipo dialettico, che implicava un equilibrio dei rapporti fra il dare e l’avere, cioè dei rapporti di scambio, dovuto alla comunanza del pericolo e all’azione regolatoria svolta dal padre. Ad eccezione quindi di particolari rapporti di amicizia che potevano essere mediati dall’impulso sessuale, sia etero che omo, essi non raggiungevano quella profondità di identificazione che costituisce il rapporto di amore, nell’ambito del quale il dolore dell’uno è il dolore dell’altro, il piacere dell’uno è il piacere dell’altro e non esiste competitività, non esiste confronto. Questa condizione di amore veniva invece realizzata da tutti nei confronti del capo, del grande padre, come aveva per primo intuito Freud.

Cionondimeno, la competitività fra i membri del gruppo, non costituì per l’orda un fardello che ne minasse l’efficienza, tutt’altro, in quanto veniva mediata dai risultati ottenuti nella guerra esterna per la sopravvivenza, di cui quindi costituiva elemento di incremento della produttività. Alla abilità mostrata nella caccia doveva quindi corrispondere un aumento di importanza che si manifestava con l’acquisizione del premio più ambito, la soddisfazione sessuale. Il desiderio sessuale doveva pertanto essere necessariamente e continuamente stimolato da nuovi oggetti, specialmente se essi erano desiderati dagli altri (terzismo sociale del desiderio). Ciò per determinare la sua strutturale perenne insoddisfazione che preservava la funzione di stimolare l’attività produttiva. Corrispondentemente la forma assunta dall’impulso sessuale femminile doveva concorrere a realizzare questi obiettivi. Nelle femmine infatti l’impulso sessuale confluì integralmente in quello sociale, così che l’uomo di successo nella caccia divenne l’oggetto privilegiato del desiderio femminile.

Quindi nell’ambito dell’orda doveva sussistere una estrema mobilità dei rapporti sessuali che manteneva viva una intensa competitività, condizione che, pur realizzando l’obiettivo della massima efficienza produttiva del branco, non doveva portare a modificazioni del livello di importanza, vale a dire del livello di integrazione, tale da ledere la condizione di incollamento dei soccombenti. Occorreva perciò che, pur essendo sentite appassionatamente dai membri dell’orda, le variazioni dei livelli di importanza conseguenti alla competitività mediata non potessero risvegliare l’angoscia esistenziale che trovava sfogo nel rapporto sociale. In definitiva, lo scarico dell’ansia esistenziale non era messo in gioco, se non marginalmente, dagli accadimenti sessuali, come invece accade oggi in cui l’angoscia esistenziale trova il suo scarico in un rapporto individuale e rinasce quindi violentemente alla sua rottura.

Da quanto abbiamo fin qui illustrato, emerge l’importanza centrale della figura del padre e del rapporto di amore che lo legava all’insieme dei figli, cioè dei membri dell’orda, conseguenza della presenza dell’impulso genitoriale. A differenza di quanto avveniva fra i figli, la comunanza di un oggetto del desiderio non comportava la competizione nella soddisfazione, ma la comunanza anche in quest’ultima. Quindi, pur nell’ambito di una indubbia prevalenza possessoria di tutte le femmine dell’orda, era assente nel capo la richiesta di esclusività e la gelosia per la formazione di legami delle femmine con altri membri del gruppo, ma anzi il governo di tali rapporti rappresentava un esercizio di potere da cui traeva soddisfazione e che poteva venire esercitato in termini di stimolo dell’impegno di tutti i componenti dell’orda nella attività di caccia.

L’introiezione dell’impulso sociale era influenzato dal fatto che l’esercizio del potere comportava non solo la protezione nei confronti del pericolo esterno, ma anche contro la sopraffazione interna. Tale azione regolatoria si manifestava anche nell’ambito sessuale in virtù del fatto che il capo era la fonte di attrazione massima non solo per le femmine, ma anche per i maschi, anche se, ovviamente, sul piano dominante dell’incollamento sociale. Egli era perciò, con i termini di Girard, il mediatore ultimo del desiderio.

Niccolò Machiavelli, commentando le ricostruzioni storiche di Tito Livio ed in particolare gli avvenimenti che diedero luogo in Roma alla nascita del tribunale del popolo, faceva risalire all’ accordo di solidarietà fra il potere e la massa con esso raggiunto, unico esempio nella storia, l’origine della potenza di Roma. Si trattava comunque dell’instaurazione di un rapporto di integrazione di tipo dialettico, poca cosa rispetto alle conseguenze della connessione psicologica di identificazione con il capo. È qui il segreto della enorme potenza infine raggiunta dall’orda. Immaginate quest’orda che agisce mobilitando tutte le sue forze come fosse un solo animale dotato di centinaia di mani, ognuno sapendo con precisione cosa doveva fare, con una sicura linea di comando, organizzazione che più perfetta non poteva essere, perché è in questo incollamento profondo, in cui tutti i flussi di energia sono sintonizzati pur essendo gerarchizzati che l’organizzazione assume la sua massima potenza.

Ho già avuto modo di mostrare, in altro post, come questa stupenda struttura si sia sfaldata in seguito allo sviluppo della tecnologia che ha comportato la fine del pericolo esterno, facendo mancare l’azione selettiva e arrestando quindi il processo evolutivo. Tale condizione liberò innanzi tutto gli uomini “liberi”, cioè già per natura esenti dai vincoli genetici del bisogno d’amore, anche dai vincoli ontologici imposti dal pericolo esterno e successivamente determinò anche, in seguito all’aumento della popolazione conseguente alla disponibilità del cibo, la sterilizzazione della possibilità di regolazione svolta dal capo, di cui conosciamo la estensione limitata.

La rottura del rapporto padre-figlio rappresentò un vulnus irrimediabile al sistema innescando una condizione perenne di angoscia e quindi di dolore nella massa. La contemporanea sostituzione dell’elemento costrittivo a quello funzionale nell’ambito dei rapporti fra le stratificazioni gerarchiche, dovuto alla liberazione dai vincoli ontologici della volontà di potenza, rese difficile la formazione di gruppi ribelli che non fossero espressione della competitività interna al potere,perché l’organizzazione richiede la presenza del forte, senza di esso la massa rappresenta una materia amorfa in preda alla paura, incapace di una azione unitaria. La massa ha bisogno del suo nemico, come meravigliosamente espresse Petrarca:

Passa la nave mia, colma d’oblio/ per aspro mare, a mezza notte, il verno/ enfra Scilla e Cariddi; ed al governo/ siede il signore, anzi il nemico mio./ La vela rompe un vento umido, eterno,/ di sospir, di speranze e di desio,/ pioggia di lacrimar, nebbia di sdegni/ bagna e rallenta le già stanche sarte/ che son d’error, con ignoranza attorto.

In tale contesto fu di particolare interesse del potere non consentire, la ricostituzione del rapporto genitoriale e degli altri rapporti empatici di amicizia, nella forma assunta nell’orda, nell’ambito dei piccoli nuclei familiari che costituirono le cellule elementari della struttura sociale che sostituì l’orda. Ciò per la loro grande capacità di superare qualsiasi ostacolo all’aggregazione e quindi di ricostituire gruppi oppositivi al potere sopraffattore, cioè per la loro enorme potenzialità rivoluzionaria. L’operazione fu facilitata dal fatto che in tali piccoli nuclei familiari il padre naturale era con la massima frequenza un uomo debole, quindi succube dei comandi del potere e che poteva trovare soddisfazione dalla piccola sfera di dominio che gli era riservata in tali piccoli nuclei familiari, condizione inesistente nel capo dell’orda che si trovava in una condizione aprioristica di superiorità.

L’approfondimento di questo argomento, assai complesso e che coinvolge importanti mutamenti degli equilibri istintuali, non è possibile in questa panoramica complessiva del rapporto fra l’esplosione della violenza e la frustrazione del bisogno di amore [2]. Particolarmente complesso e costituente il nucleo centrale della struttura repressiva quindi indotta fu l’inserimento di una componente dominativa nel rapporto fra il padre e il figlio. L’impulso genitoriale nasce infatti già con una aprioristica condizione di identificazione nel figlio ed ha già in se stesso gli elementi regolatori del rapporto che impediscono che sia produttivo di qualsiasi danno. Fu pertanto necessario trasformare in nocivi al figlio certi elementi di contatto invece necessari al perfezionamento del rapporto, indurre la necessità di imposizioni limitative della libertà per proteggerlo dalla violenza determinatasi al di fuori della famiglia, investire il padre della caratteristica di educatore che in sostanza comportava l’induzione all’ ubbidienza alle regole indotte dal potere, per raggiungere l’obiettivo dell’inserimento della componente dominativa anche nel rapporto genitoriale, condizione che indusse una lesione nel rapporto e ne distrusse la capacità rivoluzionaria.

Dunque, come conseguenza della crisi dell’orda, il potere venne assunto dagli uomini liberi dai condizionamenti identificativi da cui nascono le istanze empatiche o etiche, uomini dunque per i quali quindi l’altro è un oggetto. Essi esibiscono un comportamento egoistico non piegato, come nelle masse, dalla paura e dal bisogno di protezione ed incarnano la figura di Zarathustra che così si autodescriverebbe: Ignoro quanto atroci siano i battiti cupi della paura. E quanto spossante possa essere la tenerezza e lo stringersi smarrito del cuore nel momento della pietà. Momenti inutili, contorti dell’uomo che piange.

La volontà di potenza di questi uomini è stimolata da qualsiasi oggetto esterno che solleciti un campo di forze costituito dal riconoscimento di specie, quindi da qualsiasi uomo che si frapponga alla loro smania dominativa allo stesso modo in cui un grave non può evitare di essere attratto da un altro grave e di precipitarvisi contro se non esiste un terzo grave che devi la traiettoria e che nel caso dell’impulso dominativo è costituito dal pericolo esterno. La volontà di potenza quindi non ha limiti, tende al potere assoluto su tutti i suoi oggetti.

Secondo  certi  pensatori,  è  il  capitalismo  che  realizza   questa condizione. Dovendo infatti l’impresa realizzare il  massimo profitto in condizioni di competitività estrema, suoi eventuali comportamenti etici  equivarrebbero   alla   sua  fine,  così  che essa è in un certo senso obbligata ad adottare un comportamento   egoistico. Da qui alcuni  pensatori  (Marx, Engels)  hanno  tratto la conseguenza che l’abolizione  del  capitalismo  e della proprietà privata che ne è alla base indurrebbe ad un mondo più pacifico e giusto. Si tratta di una visione assai errata, come è stato mostrato  dalla storia, visto che la guerra intraspecifica affligge l’umanità dai più antichi tempi assai prima della nascita del capitalismo. È il potere in qualsiasi forma che ricerca il suo massimo profitto e in condizioni  di  competitività estrema,  così che  chi  si  pone  dei  limiti  è  esposto ad essere eliminato.  Certamente  il  potere  economico  ne rappresenta una forma  nuova, più subdola, perché la individuazione  dei  centri  di potere  è  evanescente  e perché  assume, attraverso la moneta,  una  forma  liquida  e  frammentabile, che le permette di infiltrarsi dovunque,  con  una conseguente capacità di corruzione che la fa assomigliare ad una droga dalla cui dipendenza non può sottrarsi né  la  massa  che  vi  trova elementi di sicurezza, di sostituto del padre, né  gli  uomini  di  potere che ne valutano la potenza che è capace di attribuire ai suoi possessori.

Consideriamo adesso il destino della massa dei deboli, della stirpe serva  di  Abele.  Anche nella  massa  l’impulso   fondamentale   è egoistico, ma si manifesta  in  una  forma  passiva, di bisogno dell’ altro.  E’ un impulso fortissimo, senza  la  cui  soddisfazione l’uomo non  può  vivere,  come  non  può vivere  senza  respirare.   E  si concentra  sull’ uomo  forte  che  non può essere sostituito, se non debolmente, da un   debole.   Naturalmente,   in   condizioni   di frustrazione   del   bisogno   d’ amore,  i singoli  individui  possono cercare  di  ottenere  la soddisfazione del loro bisogno da parte di un   altro   uomo,  trasferimento  della   dipendenza  che  in  effetti costituisce, come ben rilevò Jung,  l’elemento  più importante della cura psicanalitica, ove assunse la denominazione di  transfert.  Ma quando  ci  si  riferisce all’intera massa, la soluzione in  realtà non esiste se non in via provvisoria, per chi si lascia sedurre dal canto delle sirene sostituite, nella fattispecie, dagli uomini forti in cerca di seguaci per le loro battaglie, cui seguirà poi la disillusione,  perché il  distacco   fra   il  potere  e  la  massa  è   la   conseguenza  del mutamento strutturale del sistema che ha comportato la rottura del legame di solidarietà che li univa.

Ovviamente, la indipendenza del potere dalla massa è conseguenza del fatto che la produzione dei beni poté essere realizzata da una quota assai piccola di lavoratori estratti dalla massa e che ciò malgrado, per lo sviluppo della popolazione, la quantità dei beni risultò insufficiente a coprirne i bisogni. Ciò determinò una condizione di concorrenza per l’acquisizione del posto di lavoro, concorrenza che ne abbassò il tasso di remunerazione lasciando così agli uomini forti il potere di distribuire le risorse lungo una scala gerarchica (in primis nella forza militare) che divenne così una gerarchia di incollamento al potere, struttura portante della loro potenza. E’ però evidente che in ambiti di popolazione limitati, quali certi paesi in cui lo sviluppo economico ha portato ad un certo livello di reddito tutta la popolazione, l’ulteriore aumento della produzione dei beni deve essere necessariamente assorbito dai lavoratori, non sussistendo la concorrenza della massa dei disoccupati e ne consegue un ridimensionamento del potere distribuzionale del capitale. E’ per questo motivo che il capitalismo richiede gli ampi spazi, la globalizzazione, cioè la liberalizzazione dei movimenti di capitali e materiali per tutto il mondo, che permette di fare entrare nel gioco centinaia di milioni di disoccupati e sottoccupati che rappresentano per le masse dei paesi sviluppati uno tsunami devastante l’industria ivi localizzata, fonte della loro ricchezza.

Tornando a considerare gli effetti nella massa della rottura del rapporto simbiotico con il potere, occorre innanzi tutto rilevare che, data la complessità della struttura stratificata del sistema, a sua volta connessa alla variabilità caratteriale estrema degli individui, gli effetti furono molteplici ed interagenti, dotati cioè essi stessi di una notevole complessità. Il ripetersi della frustrazione nei confronti del potere, dovuto al fallimento ripetuto del transfert, portò allo sviluppo di un transfert metafisico, cioè alla identificazione del capo in una entità posta al di là del mondo fisico, in Dio, concetto la cui nascita era certamente pre-esistente alla crisi dell’orda, ma che in quella occasione assunse un rilievo ed una importanza del tutto particolare. Questo transfert ha caratteristiche particolari di resistenza, in vista della proiezione metafisica anche della gratificazione promessa, ma non escludeva la presenza di un mediatore umano che trasmettesse i comandamenti del Dio condizionanti il premio, giacché è in questa funzione che si sostanzia la necessità del capo. Senza ordini la massa è come l’equipaggio di una nave senza nocchiero, incapace di definire la rotta; la figura del Dio, padre e capo, priva di qualsiasi elemento di comunicazione, sarebbe priva di senso e di conseguenze. Ma la mediazione era ancora una condizione di potere che poté utilizzare la maggior forza connessa al supporto metafisico per indurre una rivoluzione nella struttura degli impulsi, realizzando, come già accennato, la proibizione di quegli elementi di comunicazione che permettevano l’estrinsecarsi degli impulsi empatici, così inibendo la loro capacità di dar luogo a raggruppamenti alternativi, quindi rivoluzionari, in quanto coinvolgenti anche uomini forti, dotati della capacità di comando, su cui poteva convergere il transfert.

La struttura degli impulsi che fu così ottenuta rese più difficile la realizzazione del transfert della dipendenza di parte della massa da un uomo forte all’altro e consentì quindi una diminuzione dei conseguenti conflitti interni che dovettero rendere ben triste la vita dell’orda nei tempi immediatamente successivi alla sua crisi, così che la condizione raggiunta dovette sembrare una liberazione anche se implicava un rafforzamento ed uno stabilizzarsi della sopraffazione esercitata dal potere.

L’inserimento di una componente di dominio nel rapporto padre-figlio all’interno della famiglia cellula, a cui abbiamo già accennato, costituisce un caso particolare di un processo più generale, dove la particolarità è dovuta alle caratteristiche empatiche genetiche dell’impulso genitoriale che sono donatarie. escludono cioè la componente dominativa. In questo caso, come abbiamo già visto, si richiese un mutamento della struttura dei valori attraverso cui l’azione dominativa risultasse necessaria per l’integrazione dei figli. Ho anche già accennato a tale processo più generale in cui l’inserimento avviene nell’ambito di tutti i rapporti sociali e adesso desidero riprenderlo dal punto di vista della componente sociale soccombente, cioè della massa e sopratutto nei confronti del rapporto che la massa instaura con il capo.

La crisi dell’orda comportò la sostituzione, ad un processo di unificazione consistente nel coordinamento, cioè nell’assegnazione di una eguale direzione di movimento a tutti i flussi di energia, un processo dialettico, in cui esistono, in ciascun compnente el gruppo, due flussi di energia agenti in direzioni contrastanti che possono essere rappresentati in termini di dare/avere, dove per l’individuo debole il dare è costituito dall’accettazione del dominio mentre l’avere è costituito dalla ricezione della protezione. Il processo dialettico consiste in una attività di scambio resa possibile dal fatto che entrambi i flussi agiscono su uno stesso capo di forza dolore-piacere in cui gli effetti delle due forze sono sommabili algebricamente. Tale processo è influenzato dall’esistenza dell’illusione cioè dalla modificazione della percezione della realtà nonché dalla speranza che è una modificazione della probabilità di un evento futuro. Si tratta di soddisfazioni autoctone dell’impulso di amore che danno luogo ad un aumento della soddisfazione connessa al flusso protettivo. Fintanto quindi che quest’ultimo, sia pure sopravalutato per effetto dell’illusione, non viene azzerato, il suo effetto di riduzione dell’angoscia risulta superiore alla sofferenza indotta dalla sottomissione al dominio, così da dare un risultato complessivo di piacere e quindi permettere la associazione. Se la differenza supera una certa dimensione critica, si verifica il fenomeno detto del cedimento plastico secondo cui il dominio non viene semplicemente sopportato in virtù del beneficio protettivo (come invece avviene nel cedimento elastico) ma, in quanto strumento di raggiungimento del piacere, diviene esso stesso produttore di piacere.

Diciamo che la sottomissione è introiettata nell’impulso sociale e che le manifestazioni di questo impulso non differiscono dalla condizione di sottomissione che si sviluppa nei confronti del padre nella condizione di incollamento profondo. Tuttavia, una differenza sussiste in quanto, malgrado la sottomissione sia vissuta come una produzione psicologica propria, nell’impulso creato dal processo dialettico è incorporata anche la paura della disobbedienza che farebbe perdere la protezione, condizione che invece non sussiste  nell’impulso che dà luogo alla identificazione dove il figlio si sente accettato per quello che è, senza condizioni. Ciò è sufficiente per indurre un timore del padre che, seppure vissuto sul piano subliminale, rompe l’unità simbiotica del rapporto fra genitori e figli.

Dunque, fintanto che da parte del potere sussisté un interesse al rapporto con la massa, sia pure non così estremo come nelle fasi più delicate della vita dell’orda, il bisogno sociale delle masse poté trovare soddisfazione, sia pure con il contributo dell’illusione e del cedimento plastico che permisero di non avvertire la componente costrittiva del rapporto, ma con la formazione di una condizione di timore che, pur manifestandosi suun piano subliminale, distrusse l’unità granitica dell’orda.

Ritengo che una condizione del genere si sia verificata già nella vita dell’orda per la necessità, in cui può essersi trovata, di aumentare la sua dimensione ben oltre la dimensione sostenibile dall’impulso genitoriale, cosicché nell’ambito della affettività rivolta a tutti i componenti dell’orda, abbia giocato un suo ruolo l’illusione. Una condizione del genere si è poi certamente verificata nell’ambito della organizzazione tribale che fece seguito alla rivoluzione metallurgica che, con il perfezionamento estremo delle armi, rese la caccia assai più agevole che nell’orda. Tuttavia, nella condizione pre-agricola la caccia costituiva ancora una rappresentazione corale del gruppo, in cui la gerarchia coincideva con la bravura nella produzione dei beni e, data la dimensione ancora contenuta, potevano svolgere un ruolo importante gli impulsi empatici. Infine, una condizione del genere si verifica ancora oggi, nell’ambito delle stratificazioni sociali più prossime al potere centrale, ove l’interesse di quest’ultimo è legato al fatto che queste strutture, in particolare l’apparato militare, sono un indispensabile strumento per il mantenimento del dominio.

Consideriamo adesso cosa succede se l’interesse del potere al mantenimento del rapporto di solidarietà con la massa cessa del tutto. Un esempio che illustra bene tale condizione è quello di una multinazionale  che, inseguendo il suo massimo profitto sposta la produzione nei paesi a basso costo della manodopera lasciando privi di reddito i lavoratori della fabbrica che viene chiusa. Onde valutarne le conseguenze occorre fare una premessa. Ogni membro della massa non è ovviamente in grado di comprendere quanta parte della sua struttura istintuale, dei suoi valori, dei suoi convincimenti, sia in lui travasata dal suo intorno sociale, in cui è nato o in cui si è posto per effetto di transfert. E non può neanche ovviamente avvertire quanta parte del suo sentire sia dovuto all’illusione o al cedimento plastico. Questa impossibilità è stata sostenuta da molti pensatori ed è addirittura contenuta nelle prime scritture che si conoscano, nei versi dei Veda, libri sacri dell’induismo, che risalgono a diverse migliaia di anni prima di Cristo. E anche Cristo riteneva che fosse più facile discernere il fuscello nell’occhio altrui che la trave nel proprio. Oggi questa impossibilità costituisce un principio fisico fondamentale, il principio di relatività che esclude la possibilità di una autoreferenzialità, cioè della percezione della propria condizione di stato. Tuttavia ciò che un uomo non può vedere in se stesso, può vederlo in un altro uomo se quest’ultimo lo possiede in più alto grado.

Vi sono individui che, in risposta all’aumento della sopraffazione giungono alla negazione completa della realtà, in una condizione che viene considerata una malattia mentale, la paranoia. L’individuo appartenente alla massa identifica questa condizione estrema perché assume aspetti diversi dalla sua condizione, senza rendersi conto che tutta la sua vita è imbrigliata in una fitta rete di illusioni e di inganni. Allo stesso modo vi sono individui che, all’aumentare della sopraffazione, parossisticamente continuano a trovare godimento nella sottomissione, condizioni che la massa identifica in coloro che superano determinati livelli di cedimento come una perversione, il “masochismo” ma che non avverte in se stessa anche se tutta la vita sociale odierna è basata sulla diseguaglianza del dare-avere nei rapporti di scambio. In realtà, illusione e cedimento sono aspetti di uno stesso fenomeno; nel rapporto di scambio l’illusione amplifica la sensazione di protezione  e giustifica quindi soggettivamente una contropartita di sottomissione di un livello che ad uno osservatore esterno appare sproporzionata, cioè masochistica.

Paradossalmente, l’ambito sessuale, dove con più evidenza viene riconosciuto il masochismo, è quello in cui questo può effettivamente raggiungere l’obiettivo di creazione di un legame perché in tale ambito esiste certamente, se il rapporto si innesca, un interesse del dominante a che in dominio sia desiderato dal dominato, perché in tal modo fornisce alla parte sadica quel ritorno del desiderio che in altra occasione ho mostrato essere fondamentale per determinare lo scarico nel rapporto di amore. Purtroppo l’attrazione sessuale è soggetta a decadimento e ciò può spingere i partner ad innalzare il livello della violenza per cercare di ritrovare il piacere perduto. Il gioco diviene allora estremamente pericoloso.

In linea generale agli alti livelli di frustrazione del bisogno sociale si determina l’emergenza della grande paura, dell’angoscia, che ne è il motore, il che porterebbe allo sviluppo di una condizione depressiva, espressione dell’opzione di default della paura, la fuga che in questo caso è fuga dalla vita, se non si verificasse lo scontro con l’impulso di conservazione individuale. In ogni modo, che in casi estremi tale condizione porti alla morte, sia direttamente, come suicidio che indirettamente, tramite le innervazioni psicosomatiche, particolarmente attraverso la depressione del sistema immunitario, non sembra che si possa oggi mettere in dubbio. Il mantenimento dell’angoscia non è però sopportabile da una molteplicità di caratteri che imboccano la strada  della distorsione dei termini dello scambio attraverso le manifestazioni paranoidi dell’illusione e del masochismo. In questi casi il passaggio per la fase depressiva è addirittura virtuale perché esiste una “paura di provare paura” che agisce a livello subliminale, quindi non avvertibile a livello di coscienza.

La esaltazione della illusione e del masochismo per dar luogo allo scarico dell’angoscia esistenziale, che può giungere fino all’esaltazione appassionata della schiavitù, è però tipica delle stratificazioni più deboli della massa ed è quindi particolarmente sviluppata nella componente femminile. Nella maggior parte degli uomini, oltre un certo livello di frustrazione del bisogno di amore, si realizza una condizione di “cedimento elastico” in cui al cedimento, che comporta l’accettazione della sottomissione, si accompagna la formazione di energia reattiva nei confronti del mondo esterno e particolarmente del padre-capo. Come sappiamo, la frustrazione del bisogno di amore si traduce nella formazione di una grande paura, che abbiamo definito angoscia e la paura ha come comportamento di default la fuga che, se impedita, si trasforma in aggressività, processo che vine definito “estroflessione della paura”. Tale energia reattiva viene mantenuta a livello potenziale dalla paura che il gruppo comunque esercita.

Questa violenza nei confronti dell’intero sistema, mantenuta a livello potenziale dalla paura, si manifesta però nell’ambito dei singoli rapporti interpersonali ogniqualvolta la condizione di superiorità libera dalla paura, inasprendo la competitività. L’esercizio di questa violenza richiede inoltre che l’azione violenta si manifesti fuori del controllo del gruppo che, sviluppando la paura, bloccherebbe l’aggressività. A questo proposito occorre però ricordare cosa comporta il diagramma del gradiente all’avvicinamento dell’impulso di rifiuto, quindi della paura, ottenuto dagli studiosi americani Dollard e Miller.[3]. All’allontanarsi della fonte della paura, questa diminuisce con grande rapidità e questo, ricordiamo è qualcosa che agisce sull’impulso non sull’intelligenza. Se un individuo si astenesse dal commettere un reato per la considerazione della punizione cui va incontro, se ne asterrebbe in ogni caso se fosse sicuro della scoperta, ma se ciò che lo ferma è un fatto istintuale, non razionale, quale la paura, una volta che il controllo del gruppo è fisicamente lontano, diminuisce la paura e con essa il freno inibitore. È questo il motivo per cui la frequenza di certi delitti “passionali” è indifferente alla dimensione della pena. Vi sono anche individui in cui l’aggressività potenziale in cui si trasforma l’angoscia esistenziale esplode eludendo o superando la paura del gruppo, ma si tratta di casi rari che la massa fa rientrare nella follia, come avviene per l’eccesso di illusione nella paranoia e l’eccesso della componente del dare nel masochismo. Ma quando la frustrazione del bisogno sociale raggiunge valori estremi, l’aggressività accumulata può esplodere. Occorre a tal fine che la massa ottenga quello che strutturalmente le manca, cioè un capo che rappresenti l’acciarino che innesca l’esplosione. In questo caso trova facilmente ciò che cerca perché il suo bisogno di scarico del rancore può coincidere con la volontà di potenza di un uomo forte.

La reazione è quindi sempre soggetta ad una operazione di transfert ad un nuovo capo. Questi dovrà mediare la rabbia della massa e indicare la direzione di sfogo. Questa non può essere, ovviamente, quella del suicidio, anche se ciò in qualche caso è avvenuto (vedi il caso del predicatore americano Jim Jones, fondatore della comunità religiosa “Tempio del Popolo”), ma che richiede una pre-selezione di individui caratterialmente predisposti a questa soluzione.

Il capo può indicare un individuo o una minoranza estratti dalla popolazione, ma la soluzione che più si attaglia a soddisfare la volontà di potenza del capo è quella di indicare un nemico esterno, di non facile eliminazione. Tale soluzione ha anche il vantaggio di ricreare una sinergia comportamentale che ricrea il patto di solidarietà interno ed elimina, sia pure con la collaborazione dell’illusione nel ricevere e del masochismo nel dare, almeno parzialmente la frustrazione del bisogno di integrazione.

Ma la situazione in un certo senso più interessante ai fini analitici si verifica quando viene indicato un individuo “estratto” dalla popolazione, la cosiddetta “vittima sacrificale” come l’oggetto dello scarico della violenza, sopratutto quando viene associato più strettamente alla figura del padre, punto centrale, baricentrico, di tutto il processo connesso alla frustrazione del bisogno d’amore che viene, sia pure in via subliminale, inconscia, vissuta come l’abbandono da parte del padre, oggetto centrale di tale bisogno.

Ricordo, infatti, che il bisogno sociale non costituisce una semplice richiesta di protezione, ma vi è associato un bisogno di amore che solo dal genitore può provenire. Pertanto, anche se la rabbia associata alla frustrazione del bisogno sociale può superare la componente affettiva di tale bisogno e portare all’uccisione del padre o della vittima sacrificale che ne è l’avatar, una volta che questo viene distrutto (ma secondo Freud è anche sufficiente che il padre muoia per cause naturali) si fa risentire il vuoto affettivo e con esso la nostalgia ed il rimpianto.

In alcune tribù africane situate fra l’Egitto faraonico e lo Swaziland, studiate da René Girard, l’attività produttiva, anziché sul piano agricolo, si indirizzò sull’allevamento degli animali, quindi senza realizzare quella dimensione della produzione e della popolazione che permise la separazione della società in classi, il patto di solidarietà nella classe dominante, la istituzione della schiavitù, condizioni tipiche del villaggio agricolo, mentre la condizione di isolamento impediva anche la possibilità di scarico nella guerra alle tribù vicine della violenza accumulata nel sistema.

In queste tribù l’uccisione del re veniva realizzata periodicamente, ritualizzata come atto di liberazione dell’aggressività accumulata dall’intero corpo sociale.Ciò evidentemente comportava che la figura del re fosse soltanto simbolica, non dotata di reali poteri, fosse cioè la vittima sacrificale, la cui uccisione fosse la ripetizione rituale di più antichi avvenimenti, una traslocazione paranoica, cioè illusoria resa possibile dal fatto che l’obiettivo reale della aggressività era coperto da una grande paura cui contribuiva l’esperienza traumatica del massacro.

È assai interessante considerare il fatto, su cui si sofferma Girard, che la vittima oggetto della aggressione è anche sacra, il che mostra che il sacrificio estrinseca l’ambiguità della figura dell’autorità, contemporaneamente oggetto di amore e di odio, anche se ciò viene mascherato nell’impulso di sintesi. È come se il sacrificio del padre, scaricando il rancore per l’amore negato, riaprisse le porte a questo amore, svelandone il feroce desiderio. È pure interessante rilevare che anche il Cristianesimo ha il suo nucleo centrale in un sacrificio, quello del figlio di Dio, ripetuto ritualmente nella più importante cerimonia religiosa, su cui poggia paradossalmente il messaggio di amore che porta alla riappacificazione, alla ricucitura di una immaginaria ferita dovuta ad un originario peccato. La soddisfazione connessa al sacrificio è quindi complessa, perché in esso vengono soddisfatti, come nel mito di Edipo, impulsi fortissimi e contrastanti che solo la particolare condizione del sacrificio rende sinergici, impulsi centrali nella formazione della nostra cultura.

Dunque, vi sono nel mondo uomini che giocano fra di loro una partita competitiva e che usano a tal fine le masse come i bambini giocano con i soldatini di piombo; le portano al massacro allo stesso modo di come gli allevatori portano le mandrie al mattatoio, ma con la differenza che le masse vi si recano cantando e ballando come i topi seguirono nel fiume il pifferaio magico. Perché la massa non lo avverte, ma è schiava di questa razza padrona che ne possiede anche l’anima; la sua libertà, come già ha osservato Marcuse,[4] è solo quella di potere cambiare padrone. Perché l’appartenente alla massa riceve sempre dal suo contesto sociale, quello del sottogruppo in cui sia più alto, sia pure su un piano illusorio, il livello di gratificazione, la struttura della sua cultura, le cose cui deve credere, i comandi cui deve obbedire. Vi sono molte fedi, fra le più importanti, che non richiedono alcuna giustificazione; sono quelle indotte nella fase infantile di imprinting. Di altre si dà una pseudo-giustificazione (quella che Freud chiama razionalizzazione secondaria) che ha la sola funzione di inquadramento della fede o del comando in un ambito psicologico in cui l’uomo deve sentire come produzione del suo cervello ciò che invece gli proviene dagli impulsi e dall’interazione con la struttura sociale. Ma la capacità critica è interamente bloccata; qualsiasi baggianata può giustificare qualsiasi comando. Ad esempio si può dire che la differenza nel costo dei fattori della produzione fra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, può essere compensata da una maggiore produttività. Chi se intende di queste cose si rende conto in primo luogo che l’ordine di grandezza delle due cose non è confrontabile, in secondo luogo che non c’è alcun motivo perché la produttività debba essere una proprietà esclusiva dei paesi sviluppati. E gli operai si renderanno conto che, quando la produzione dei beni sarà stata trasferita in altri paesi, non vi saranno più i beni per pagare i loro stipendi e non rimarrà che elemosinarli dai nuovi padroni.

La repressione di un impulso comporta l’impedimento allo stimolo di raggiungere la coscienza e per tal via il centro di scarico, operazione che Freud denominò “censura” e che la teoria dell’organizzazione riconduce ad una “paura di risvegliare la grande paura”, agente a livello subliminale. In tali condizioni l’impulso è come inesistente e la reale condizione di stato è inavvertibile per il principio di relatività. Ma l’arte è in grado di ingannare la censura mediante delle immagini così mascherate da sfuggire alla possibilità di intercettazione della censura, ma non a quella del centro di scarico ove la connessione con il lato mascherato è inscritta indelebilmente nel gene. Il piacere provocato dall’arte, non è aperto a tutti gli uomini, occorre che la censura abbia qualche falla ed è possibile che l’origine del piacere indotto ricada sotto gli effetti della censura e non arrivi alla coscienza. Ma per chi sa gustare l’arte il piacere vi arriva certamente anche se la causa resta ignota ed ha un sapore, un profumo speciale. Vorrei perciò, a chiusura di questo mio scritto, farvi vedere un filmato di grande bellezza, perché sono sicuro che esso parlerà a molti più di qualsiasi argomentazione scientifica.

Si tratta della scena finale del film “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?” di Ettore Scola, film tutto sommato non eccezionale, malgrado i bellissimi panorami che mostra e la partecipazione di quel mostro di bravura che fu Alberto Sordi; film inoltre banale nel suo principale obiettivo, di irridere al provincialismo arrogante di certi italiani danarosi. Ma è nel finale, che vede l’intervento di Nino Manfredi, che il film, per così dire, cambia registro. In questo finale l’amico ritrovato, divenuto stregone di una tribù, malgrado il desiderio di ritornare in patria, non riesce ad abbandonare la sua tribù, superando l’amore che ormai lo lega ad essa. Nella immagine della tribù che, schierata sul bordo della spiaggia del lago, vede allontanarsi il barcone che porta via il suo stregone e in coro invoca di non essere abbandonata, che sembra che dica : “Titti non ci lasciare”, vi è tutto quanto si possa dire sul bisogno d’amore, ma è la interpretazione di Manfredi, da grandissimo attore, che aggiunge a questa scena profondità e bellezza. Si vede sorgere lentamente la commozione, la tenerezza, il dolore del distacco nello sguardo nostalgico e intenso rivolto alla riva e che infine determina l’esplosione dell’amore, il salto con cui si butta in acqua e ritorna a nuoto verso coloro che ormai possiamo chiamare i suoi figli.

Tutti noi uomini, forti o deboli, parte del potere o della massa, siamo schiavi dei nostri impulsi e delle forme che essi assumono nella realtà sociale, delle fedi e dei pre-giudizi, infine delle illusioni e delle speranze che ci impongono. E per primo fu un poeta a comprendere che per molti uomini un attimo solo di felicità è concesso, l’attimo in cui dura l’illusione d’amore. E ad esso si rivolse implorando: “attimo fermati! Sei bello! [5]. Perciò, malgrado la scienza ci avverta della piccolezza del cuore dell’uomo, non possiamo non sognare che vi siano uomini che sentano come proprio il dolore degli altri, che si buttino a nuoto nel mare della vita per raggiungerli.

 

 

Riferimenti

[1]-Firrao S. Il processo di associazione stimolo-risposta nelle reti stratificate. Relazione tenuta al 5° meeting sulla neuroriabilitazione, Clinica Neurologica della 2a facoltà di medicina, Napoli, 6 ottobre 1989
[2]-Firrao S. La repressione degli impulsi in Il potere e la paura, ISBN 978-1-4716-1821-5
[3]-Hall Calvin S.Lindzey G.La teoria dello stimolo-risposta, in Teorie della personalità, Cap.11, Boringhieri, Torino, 1970
[4]-Marcuse H. L’uomo ad una dimensione, Einaudi, Torino, 1968
[5]-Goethe J.W. Faust. Feltrinelli. Milano, 2005.

Il ritorno del desiderio

Questo articolo fa seguito alla mia precedente memoria che ha come titolo “La fisica dell’amore” ed ha lo scopo di approfondire alcuni aspetti fondamentali dello sviluppo di questo sentimento che nel lavoro precedente sono rimasti alquanto in ombra, per la necessità di graduare l’impatto conoscitivo, che ne sarebbe reso altrimenti di assai più difficile acquisizione. Nella esposizione dei sistemi complessi occorre infatti seguire la struttura stratificata del sistema, passando da un livello di base della massima semplicità a livelli che divengono sempre più complessi per effetto dell’aggiunta di nuove variabili.
E’ evidente che, dal punto di vista della rappresentazione della realtà, i modelli intermedi sono facilmente falsificabili, perchè comportano l’azzeramento di variabili che sono invece indispensabili per il funzionamento del sistema o addirittura l’introduzione, sia pure provvisoria, di entità inesistenti commettendo così un fondamentale errore epistemologico, la disobbedienza al precetto “entia non sunt multiplicanda preater necessitatem”.
Il passaggio per il sistema semplificato, oltre ad essere di per sé di più facile acquisizione, offre inoltre l’opportunità che sia lo stesso discente ad individuare le carenze del sistema semplice, rendendosi così direttamente conto della necessità di introdurre nuove variabili o della necessità di modificare quelle già introdotte, condizione questa importantissima ai fini della appropriazione profonda della conoscenza, che diviene una creazione propria del discente. Ciò apparve già necessario a Platone, la cui opera filosofica è rappresentata da dialoghi che egli immaginava avvenissero fra il suo maestro, Socrate, e diversi interlocutori. In uno di questi dialoghi egli paragona questa maniera di insegnare all’opera della levatrice che aiuta un processo che deve svolgersi al di fuori di lei. Questo processo di falsificazione delle teorie, applicato non già ai modelli intermedi dell’attività didattica, ma alle teorie scientifiche, costituisce una parte centrale del pensiero di Karl Popper, secondo cui questo sviluppo della critica è fondamentale per l’avanzamento della scienza.
Questa condizione dialettica Platone dovette fingerla, nella considerazione che anche l’ascolto delle opposte linee di pensiero sia di aiuto per l’ascoltatore; non esisteva allora il blog, in cui la condizione dialettica può invece essere effettivamente realizzata; cionondimeno fintanto che le posizioni dialettiche non mi vengono presentate nei commenti, dovrò procedere anch’io senza il ritorno, ma comunque con una introduzione graduale della complessità che consente, in teoria, lo sviluppo della condizione dialettica.
Come già avvertito nell’articolo precedente, questo lavoro si rivolge particolarmente ad una mia amica che lamentava l’emarginazione dalla conoscenza di importanti avanzamenti del pensiero scientifico cui è soggetto chi non ha svolto determinati studi specialistici. Ove l’ignoranza riguardi il bosone di Higgs, pazienza, ma ove si tratti di chiarire l’azione delle forze che governano i rapporti interpersonali, si tocca il cuore dei nostri interessi affettivi e l’ignoranza diviene intollerabile.

                                  *                              *                           *

Nel precedente articolo abbiamo avuto modo di rilevare come la comunione delle memorie di riconoscimento possa essere legata al verificarsi di una certa situazione particolare di sinergia a cui rimanga quindi limitata. La connessione in tal caso nasce con carattere di labilità, cosicché può rapidamente cessare al mutare anche di aspetti marginali. Perché la connessione interpersonale assuma un aspetto più generalizzato, cosicché la connessione istintuale fra due individui involva l’intera struttura delle memorie riconoscitive, occorre che il processo implichi condizioni di grande livello tensionale e si verifichi nella fase infantile di imprinting, così da divenire un impulso notevolmente rigido e costituire un canale preferenziale di flusso così profondo da rappresentare elemento di indirizzamento in tutte le condizioni di sollecitazione del sistema. Ciò quindi comporta che la figura umana non assuma particolare rilievo solo in determinate circostanze casuali, ma abbia un contenuto emozionale strutturale e quindi un area di ridondanza così grande da interagire in maniera importante con gli impulsi fondamentali. Abbiamo già accennato, nel precedente post, come ciò imponga di necessità l’esistenza di un altro impulso di origine genetica che si caratterizza come bisogno sociale e la cui frustrazione induce un allarme così alto da superare il livello che definisce la paura che nel caso specifico viene indicata come angoscia.
Come avviene anche per l’impulso della fame esso si manifesta inizialmente come sviluppo di una condizione tensionale indeterminata che viene guidata verso l’oggetto mediatore dello scarico da particolari richiami, cioè combinazione di elementi sensori che guidano il comportamento perché direttamente legati ai centri di produzione di dolore-piacere. Ciò che provoca lo scarico della condizione tensionale del bisogno sociale una volta determinato l’elemento mediatore nella figura umana è il “ritorno del desiderio” costituito dal riconoscimento della condivisione con il mediatore di una memoria di rassicurazione.

Nella primissima fase infantile di imprinting, quella legata al rapporto con la madre, esso è costituito dal riconoscimento della condivisione della memoria di rassicurazione fondamentale per la sopravvivenza, quella legata all’impulso della fame. Conviene che esaminiamo più in dettaglio tale processo perché si manifesta in questo caso in una forma più semplice e quindi più facilmente comprensibile. Si svolge infatti in una certa condizione di “anestesia” delle funzioni psichiche che equivale ad escludere dal quadro tutta una serie di variabili che lo complicherebbero e renderebbero più difficile il rintracciare il bandolo di questa intricatissima matassa che alloggia nel nostro cervello.
L’esigenza di semplificazione del quadro delle interazioni si è posto infatti anche in fase evolutiva; l’importanza di questo fondamentale rapporto interpersonale per la sopravvivenza della specie ha infatti richiesto che la sua formazione sia esente da errori e pertanto sia accompagnata da vincoli che limitino i gradi di libertà del processo dovute ad altre cause di variabilità a livelli trascurabili, almeno a livello di specie. Questa condizione è raggiunta fissando le informazioni sensorie contemporanee allo stato tensionale indotto dalla fame in assenza di rumore e così esenti da distorsioni. L’assenza di rumore è ottenuta dalla limitazione della attività psichica alla sola funzione nutrizionale e dalla presenza di un solo mezzo di soddisfazione delle necessità nutrizionali, mezzo che involve necessariamente l’immagine umana.
La stimolazione dell’impulso della fame, come sappiamo, è di origine interna e non può quindi essere soddisfatto dall’ allontanamento, ma richiede l’avvicinamento ed un comportamento con caratteristiche aggressive. Naturalmente, essendo il bambino privo di qualsiasi potere, l’espressione “comportamento aggressivo” va inteso come l’attivazione disordinata e caotica degli organi operativi, ivi compresi quelli che danno luogo al pianto, a cui il termine aggressivo sembrerebbe, di primo acchito, non confacente. Tale comportamento viene definito comunque aggressivo in quanto diretto verso l’oggetto individuato come fonte della sofferenza, perché unica rappresentazione sensoriale con essa concomitante per effetto della limitazione esistente nella attività psichica e quindi naturalmente diretto alla sua eliminazione, Ma tale comportamento viene rapidamente modificato in un comportamento che ha caratteristiche di svuotamento o di sfruttamento, caratterizzandosi quindi come impulso dominativo, con caratteristiche conservative anziché distruttive. Tale modificazione è così immediata da rendere la divisione nelle due fasi del comportamento quasi solo un esercizio analitico; essa è il risultato dell’azione orientativa svolta dalla sensibilizzazione labiale, che crea l’impulso orale di suzione che è quindi la prima manifestazione di richiamo che in questa prima fase di sviluppo del sistema assume prevalentemente la forma di una sensibilizzazione tattile.

La piena disponibilità della madre a soddisfare la fame e quindi l’impulso dominativo del bambino costituisce un comportamento donatario che è l’opposto del comportamento aggressivo e ciò comporta che non compaia nel bambino la paura che è, come sappiamo, reazione repulsiva all’aggressività del partner, modo con cui il bambino potrebbe vivere la comparsa, parallela a quella della figura materna, della fame lasciata priva di soddisfazione. Per conseguenza la madre diviene l’oggetto dell’ulteriore bisogno di sicurezza espresso dall’angoscia esistenziale, che costituisce una domanda supplementare a quella di soddisfazione della fame. E’ come se il bambino volesse essere rassicurato che la soddisfazione della fame non costituisce un fatto casuale, episodico, ma che effettivamente egli ne abbia il dominio, perché a sua volta oggetto del desiderio materno. Di qui l’estrema sensibilità alle modificazioni del rapporto con la madre dovute al fatto che non sempre la fame del bambino coincide con la disponibilità della madre e ciò rafforza il dubbio sulla solidità del suo dominio e lo sviluppo conseguente di una attività volta a prevenire la paura rafforzando quella che appare la fonte della rassicurazione, cioè la condizione di soddisfazione della madre. L’impulso dominativo si trasforma così in un impulso attrattivo privo di aggressività, volto all’aggregazione.
Tale trasformazione implica una interazione bilaterale, un colloquio che valorizza la volontà dell’oggetto e comporta un processo di scambio, quindi un “dare” oltre che un “avere”. Questo obiettivo, di possedere la volontà del partner, di essere cioè nell’anima, di essere amato, può trovare infatti soddisfazione in un certo colloquio che può stabilirsi, e in genere si stabilisce, fra il bambino e la madre. Tale particolare rapporto si basa ancora su un richiamo che, invece che sul bambino agisce sulla madre, costituito dal fatto che al piacere del bambino nella suzione corrisponde un piacere della mamma nell’allattare, piacere che può essere di notevole entità e determinare una dipendenza dal bambino, rendendo così quasi automatici processi di identificazione ed attaccamento.
Ma anche il bambino “sente” il piacere della madre attraverso opportuni segnali che avverte subliminalmente. E’ assai interessante, in questo senso, rilevare come anche Jung, che di sistemi complessi non aveva conoscenza (né poteva averne, perché i più importanti sviluppi dello studio dei sistemi complessi sono a lui successivi) sostiene, come sua semplice constatazione, senza darne la spiegazione strutturale, riduzionistica, l’esistenza di comunicazioni inconsce, subliminali, fra l’inconscio della madre e quello del bambino.
Si realizza così in definitiva la coincidenza nella stessa azione del piacere di entrambi i partner, cioè la comunanza della memoria di rassicurazione, e quindi il “ritorno del desiderio”, il che vuol dire che al desiderio del bambino corrisponde il desiderio della madre. Si instaura così in definitiva il rapporto di amore di cui quindi il ritorno del desiderio è una condizione necessaria, vincolante, per la sua formazione..
Come sappiamo, le informazioni sensorie contigue ad una condizione di piacere assumono la capacità autonoma di dare piacere, e quindi, in virtù della comune dipendenza dalla stessa memoria di rassicurazione, quelle che danno piacere al figlio inducono piacere anche alla madre e viceversa quelle che danno piacere alla madre inducono piacere anche al figlio. Si verifica così, ovviamente in fasi più avanzate dello sviluppo psichico, terminata la limitazione iniziali delle funzioni psichiche, una “copiatura” della struttura degli impulsi dall’ uno all’altro partner, che trova riscontro nella “teoria mimetica del desiderio” di René Girard.

Naturalmente, nelle fasi successive dello sviluppo psichico, quando la dipendenza psicologica si trasferisce dalla madre al padre, la funzione di guida è svolta da richiami differenti coerenti alla nuova situazione esistenziale determinatasi. La comunione delle memorie di carico e scarico dei partner è realizzata mediante un gioco reso possibile dalla sensibilizzazione di certe aree del corpo che Freud denominò “zone erogene”, nome quanto mai indovinato, giacché eros in greco vuol dire amore e quindi erogene vuol dire generatrici di amore. In realtà però egli le considerò come strutture di formazione dell’impulso sessuale ed in ciò il quadro formato mediante la teoria dell’organizzazione dei sistemi complessi dissente. In realtà anche l’impulso sessuale si avvale della sensibilizzazione di certe zone del corpo per indurre comportamenti coerenti con l’obiettivo copulativo, ma ciò non significa che tutte le sensibilizzazioni abbiano questo obiettivo; abbiamo visto che la sensibilizzazione labiale, ad esempio, ha la sua funzione fondamentale nel deviare l’aggressività del bambino dalla forma incorporativa a quella di suzione anche se poi tale sensibilizzazione svolge una importante funzione anche nel processo di accostamento sessuale.
Nel processo di formazione del collegamento con il padre, per esempio, la funzione che nel rapporto con la madre è esercitata dalla sensibilizzazione del seno è svolta da richiami “infantili” (che sussistono anche nella madre che, per brevità, abbiamo omesso di trattare). Tali richiami hanno un contenuto visivo prevalente e sono di enorme potenza talché agiscono anche in campo intraspecifico, nel senso di bellezza e di tenerezza cui danno luogo i cuccioli anche di altri animali. E’ stato mostrato che in certi casi operano anche sui più crudeli criminali. Un bambino sopravvissuto allo stermimio effettuato in Norvegia da Breivik ha raccontato che il carnefice lo aveva sotto tiro ed ha evitato, dopo un tentennamento, di ucciderlo.
Nel processo di trasferimento dell’informazione, permesso dalla comunione delle memorie riconoscitive, che costituisce una struttura di decodificazione sulla base della comunanza che così si stabilisce del significato di ogni struttura sensoria in termini di piacere-dolore, il rapporto fra i partner non è egualitario sul piano quantitativo; vi è trasferimento prevalente dal genitore al figlio. Tuttavia, il rapporto gerarchico, di ubbidienza che così si costituisce, non è avvertito dal figlio, perché è la conseguenza di un desiderio intenso del figlio di intervento rassicurativo del genitore a cui esso risponde in fase formativa strutturando così un impulso rigido che permane anche nell’età adulta. Esso nasce, in sostanza, come necessità funzionale del sistema. Girard direbbe che opera una funzione “mimetica”, che il partner è il “mediatore mimetico del desiderio”.

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Cara amica, è difficilissimo dare una rappresentazione descrittiva del sistema complesso. perché è sufficiente trascurare o semplicemente sottovalutare nella sua importanza una variabile perché il quadro che si presenta si ribalti e muti completamente la sua forma. Ciò accade per tutte la forme che la struttura delle interazioni umane assume per effetto della variabilità delle condizioni esterne e interne al sistema psichico.
Il proseguire seguendo tutti i percorsi alternativi che i flussi di interazione possono seguire nel sistema, a parte la dimensione che una tale descrizione, sia pure in termini semplificativi ed ovviamente limitatamente a quello che sulle basi delle attuali conoscenze noi possiamo dire, comporterebbe un lavoro troppo oneroso per le mie attuali, modeste forze. Poiché però è mio desiderio agganciare il discorso al significato che in questo contesto ha l’arte, ed in particolare la poesia e poiché ciò non è possibile senza introdurre alcune forme assunte dalla struttura delle interazioni, vorrei chiederti di seguirmi nello sviluppo di alcuni di questi aspetti senza richiedermi descrizioni dettagliate o addirittura lo sviluppo di tutte le connessioni logiche che hanno portato a questi risultati.
Il desiderio di amore è tipico di questa mutabilità degli assetti psichici, di cui è elemento centrale. Intanto ha una struttura stratificata, nel senso che varia enormemente nell’ambito della popolazione; vi è una minoranza di uomini in cui l’impulso si ferma all’assetto dominativo, ma la grande maggioranza degli uomini è affetta da questo bisogno, più che desiderio, di scarico dell’angoscia esistenziale attraverso il ritorno del desiderio, cioè attraverso l’amore. Esso subisce una successione di operazioni di transfert, attestandosi in definitiva nella forma di richiesta al corpo sociale che ha il suo punto focale, il suo baricentro nel leader, che assume nelle primigenie organizzazioni sociali, come già aveva intuito Freud, la funzione del padre. La sua frustrazione (anzi il comparire della sopraffazione anziché dell’amore), quale si verifica ormai fin dalle rivoluzioni tecnologiche metallurgica ed agricola, ha avuto importantissime conseguenze.
La prima conseguenza è il porsi dell’impulso di amore in contraddizione con l’impulso di conservazione individuale, cioè in quella struttura che Freud denominò l’io. L’impulso sociale si è sviluppato infatti evolutivamente in una condizione ambientale in cui l’appartenenza al gruppo era condizione necessaria di sopravvivenza non solo dell’individuo, ma anche del gruppo che aveva bisogno della partecipazione di tutti i componenti, in un numero che poteva spaziare entro limiti molto ristretti. L’avanzamento tecnologico con la facilità di approvigionamento del cibo che ne è conseguita, ha distrutto questa condizione di affettività forzata (che agiva anche sugli individui in cui il bisogno dell’altro si manifestava solo in termini dominativi) ed ha portato all’importazione di aggressività e violenza all’interno del gruppo. Ciò ha portato ad una rimozione parziale, al disconoscimento del bisogno di amore, il che ha reso ancora più misteriosa l’angoscia che appare priva di qualsiasi elemento mediatore, oltre che priva di qualsiasi motivo. L’uomo in sostanza si “vergogna” di questa sua debolezza e la rimuove e la trasforma in bisogno di integrazione, bisogno di importanza o bisogno di successo e di potere, a seconda della sua struttura caratteriale. Se ne sottovaluta così l’importanza che è enorme potendo sopraffare l’impulso di conservazione individuale portando alla depressione, alla follia e al suicidio.
L’arte è costituita dalla realizzazione di rappresentazioni che attivano certe memorie direttamente collegate con i centri del piacere e quando si tratta di opere letterarie questi impulsi possono essere accettati o rifiutati dalla coscienza, nel senso che nel primo caso costituiscono una amplificazione “romantica” dei contenuti gratificanti (la menzogna romantica di Girard) mentre nel secondo caso sollecitano impulsi che sono oggetto di rimozione (la verità romanzesca di Girard) ed è assai importante rilevare che sono questi ultimi che danno agli autori la fama di grandi. Essi provocano un piacere sentito subliminalmente, un vibrare profondo dell’anima, di cui però non si riconosce l’origine perché il suo accesso alla coscienza è sottoposto a rimozione, ma se ne gusta il sapore nuovo, se ne avverte la profondità. Il linguaggio poetico può raggiungere una estrema sinteticità dovuta al fatto che scavalca la necessità della giustificazione razionale, facendo invece appello alla “risonanza” che certe connessioni suscitano nell’anima. Restando sempre nell’ambito del ritorno del desiderio, il massimo della sinteticità è raggiungo da Dante “amor che a nullo amato amar perdona“. Ma io mi permetto di rilevare che quel “nullo amato” è troppo categorico e che l’apparente neutralità può nascondere una rimozione, può essere solo una preventiva difesa.

Ecco come io rappresenterei il ritorno del desiderio nel linguaggio sintetico della poesia:

IL RITORNO DEL DESIDERIO
Ho racchiuso la mia anima
come una larva
entro una fitta rete
di illusioni e di inganni.
Dall’interno di questo bozzolo
che mi protegge
come una corazza
io posso anche sorridere
del mio desiderio di te.

Ma se i tuoi occhi
mi guardano
se la tua bocca
mi dice che mi ami
se sento proteso a me
il tuo desiderio,
oh, allora
come per un’arma misteriosa
un tremendo raggio di luce
crolla la mia fortezza
e tu vi penetri nel cuore
ove,
se il tuo fu solo un inganno
come l’ape nel cuore del fiore
puoi suggere il miele
della mia vita

ma guarda in che maniera stupenda sa dirlo Pablo Neruda, in questa poesia, letta in maniera superba da Ferruccio Amendola

E non è la bellezza anch’essa manifestazione di un desiderio d’amore, una richiesta di ritorno dell’affettività rivolta al mondo? Te lo dico ancora in versi

LA BELLEZZA
La bellezza non esiste
nelle cose del mondo.
E’ una fragile creazione dell’anima
é la misura,
nata dal dolore
dell’amabilità delle cose che permisero
in un tempo lontano
il fluire della vita

E’ il desiderio che le cose si muovano
verso la lontana spiaggia
di una irraggiungibile sicurezza
dove, come salmone alla fonte,
l’anima possa riposarsi
e morire.

E’ il desiderio che le cose ci amino,
una fame antica
che non può essere saziata
dalle cose immobili
nè dagli uomini fermi
tutti in attesa dell’amore altrui.

Tributo di morte
alla vita della nostra specie.
Gran fuoco di mezza estate
ove la bellezza è nella fiamma ardente
e noi siamo i tizzoni
e veniamo consunti
da quest’ansia assurda
che ci alberga nel cuore.

Adesso mi sovvengono i versi di una poesia molto bella, che così dice :

Al quarto pioppo il sentiero svolta
all’aia, sotto il fico
i vecchi si raccontano ieri
coi gomiti sul tavolo e il tresette.
Tra il fumo del toscano e la cima
dell’albero c’è un’innocenza primitiva
stanca di giorni e d’imbrogli.

Così, a dirla col vino, la vita sembra
meno dura. Tra un sorso e l’altro
si scordano torti e rimorsi
l’inutile noia della vecchiezza
e si nasconde la paura dietro alle foglie
quando un bicchiere si rovescia
e una sedia resta vuota.

La vita è quest’antico silenzio d’api
che ronzano il frutto,
è attesa immobile del rosso spaccato della polpa.
Ogni tanto, dal bosco, si sentono spari
il fagiano non sa che ogni volo è un addio.

Ecco, io ho 82 anni ed i miei voli sono queste esternazioni dei miei pensieri con cui combatto l’inutile noia della vecchiezza. Ma io lo so che ogni volo può essere un addio.

La fisica dell’amore

Una mia cara amica, che è fortemente interessata ai sentimenti umani ed in particolare all’amore, che ama la poesia, collegamento diretto con le profondità dell’anima, mi ha osservato, tempo fa, che il suo intenso desiderio di conoscere tutto ciò che di nuovo si scopre intorno a questi aspetti fondamentali della nostra vita, in particolare a mezzo delle nuove scienze cognitive, veniva frustrato dal richiedere tale lettura una preparazione specialistica, un tipo di cultura di cui Ella non dispone.

Non è certamente una situazione che involva solo la mia amica; è una condizione di settorialità della cultura e di assenza di adeguate comunicazioni intersettoriali che si aggiunge alla generale carenza culturale delle masse, determinando un danno sociale assai grave, se dobbiamo condividere la speranza di pensatori assai lontani nel tempo, come Platone e Madison, che è solo da un avanzamento culturale generalizzato, dall’allentamento dei vincoli che bloccano il pensiero, che può scaturire un miglioramento della nostra convivenza.

Mi sono perciò assunto il compito di cercare di spiegare, senza pretesa di rigore e al solo fine di renderlo di facile comprensione, il meccanismo di interazione che sottende ai rapporti di amore, certamente fondamentali per una specie animale che deve la sua sopravvivenza alla sua struttura associata. E lo farò come se parlassi solamente con te, mia cara amica, perché è la tua ansia, che traspare a volte improvvisa e tagliente nei tuoi componimenti, che trova un’eco dolorosa nella mia anima.

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Il cervello può essere rappresentato come l’intreccio di una molteplicità di reti di connessione correnti fra i neuroni, reti percorse da flussi di energia la cui natura non è al momento necessario precisare, bastando tener conto della sola caratteristica costituita dal “livello” di energia, livello che caratterizza anche le reti, ciascuna delle quali può convogliare solo l’energia di un determinato livello. Per semplicità chiameremo tensione questo livello quando si riferisce al flusso di energia e rigidità quando si riferisce alla rete che lo può accogliere. I neuroni sono nodi comuni ad una molteplicità di reti e in essi il flusso di energia può passare da un nodo all’altro della stessa rete o da una rete all’altra, sono cioè degli interruttori che in virtù della molteplicità delle direzioni alternative che possono indurre possiamo anche chiamare “interruttori stellari”.

Il numero di neuroni ed il numero delle connessioni sono tali da determinare un groviglio apparentemente inestricabile, si pensi che vi sono anche neuroni in cui il numero delle sinapsi (che sono l’elemento di connessione), e quindi il numero delle direzioni alternative che essi possono indurre al flusso informativo, si misura in termini di centinaia di migliaia. Ciò non toglie che noi possiamo immaginare uno schema semplificato sia per quanto riguarda il numero degli interruttori e delle stratificazioni di rigidità sia per quanto riguarda la disposizione di questi elementi nello spazio, schema nell’ambito del quale il processo di trattamento dell’ informazione proveniente da determinati sensori diviene di più facile comprensione e valutare poi le problematiche che possono sorgere nell’estensione del quadro così fornito delle interazioni ad una situazione più complessa.

Come approccio graduale alla complessità della struttura reale, noi supporremo dunque inizialmente tre livelli di rigidità nelle connessioni, di cui uno definisce una rete di fondo (o di primo livello) costituita da connessioni nodali che si limitano a trasferire il flusso in input a tutte le direzioni di output, che operano cioè con tutti gli interruttori costantemente aperti, il secondo che definisce una rete di secondo livello (più rigida della prima) e la terza che definisce una rete di terzo livello (ancora più rigida). Ciascuna rete è composta da otto strati di eguale rigidità. Nelle reti di secondo e di terzo livello lo stato naturale degli interruttori comporta la chiusura di tutte le connessioni. Tale stato può essere modificato da un flusso di energia di adeguato livello tensionale e, una volta modificato, permane per un tempo più o meno lungo (dipendente della rigidità della rete).

Consideriamo innanzi tutto la determinazione delle linee di flusso che collegano i terminali sensori con i nodi di uno strato interno, linee che definiscono reticoli che chiameremo memorie percettive. Consideriamo cioè un primo livello di organizzazione, in cui l’elemento di guida nella formazione dei percorsi è costituito dai soli flussi di energia che provengono dai terminali sensori. Ogni informazione sensoria, che costituisce il contenuto di una “percezione”, è costituita da una determinata combinazione di terminali eccitati. Lo schema della figura rappresenta dunque una rete semplice con interruttori a due vie di input e due vie di output per ciascuna delle sottoreti di base, di secondo e di terzo livello, più due interruttori per la comunicazioni con le reti contigue di differente livello (i vari livelli vanno immaginati paralleli al piano del foglio).

Nello schema della figura i punti della linea A rappresentano i terminali sensori che si distinguono per avere una sola via di input e che ho, per comodità, esemplificato in un numero limitato di punti, che ho numerato. Le frecce incidenti su alcuni di questi terminali stanno a rappresentare il flusso energetico che, incidendo su di essi, ne determina l’eccitazione. Nello schema è cioè indicata la particolare informazione sensoria costituita dall’ eccitazione dei terminali sensori 2, 5 e 9 (dovremo però in linea generale considerare la percezione come costituita sempre dalla sollecitazione di un certo numero minimo di terminali sensori, cosi che la variabilità delle percezioni sia una variabilità distribuzionale della sollecitazione, non una variabilità del numero di terminali eccitati.

Schema di rete

Schema di memoria percettiva

Lo strato A rappresenta quindi come uno schermo in cui si proiettano, mediante una scomposizione puntuale, le informazioni sensorie. Sopra lo strato A abbiamo indicato gli strati B, C, ecc., di interruttori, o nodi, o neuroni che dir si vogliano. Ogni nodo dello strato A è collegato ai nodi adiacenti dello strato B, ogni nodo dello strato B è collegato ai nodi adiacenti dello strato C e così via. Il nodo 2 dello strato A è allora, nella nostra figura, collegato ai nodi 1 e 2 dello strato B; ora noi supponiamo che il flusso energetico uscente dal nodo 2 dello strato A si diriga sia verso il nodo 1 che verso il nodo 2 dello strato B, che cioè vengano attivate tutte le sinapsi di output della rete in questione (che fa quindi parte della rete di nodi di fondo, il cui stato implica l’apertura di tutte le connessioni). Ciò abbiamo indicato in figura attraverso l’uso di linee tratteggiate. Lo stesso dicasi per il flusso energetico incidente sui terminali 5 e 9 dello strato A. Il flusso energetico uscente dai nodi dello strato B si diffonde nella stessa maniera nei nodi dello strato C e così via, come indicato in figura.

Come si vede, ad ogni nodo di uno strato intermedio il flusso energetico può essere trasmesso da una o da due sinapsi di input. Ora noi supporremo che ad ogni passaggio si verifichi una diminuzione dell’intensità del flusso trasmesso da ogni connessione sinaptica, cosicché, oltre un certo strato il flusso trasmesso da una sola connessione sinaptica si spegne. Oltre un’ulteriore distanza (che definisce la cosiddetta area di ridondanza) il flusso si spegne anche se è trasmesso da due connessioni sinaptiche.

Tenendo conto quindi del più rapido spegnimento al contorno, il flusso energetico proveniente da un terminale sensorio si diffonde per conseguenza nel sistema di strati sovrapposti disegnando una superficie ovoidale che abbiamo per semplicità rappresentato in figura, nella sua parte inferiore, con una superficie conica.

Necessariamente, a partire da una certa stratificazione, i coni provenienti dai vari sensori si sovrapporranno e i nodi compresi nell’area di sovrapposizione saranno quindi sollecitati da una energia di livello superiore, il che porterà il flusso energetico ad imboccare la rete di secondo livello di cui vengono per conseguenza aperte le connessioni. Nello schema di figura ho indicato con linee continue i percorsi in cui fluisce l’energia a più alto livello tensionale, assumendo come paradigmatico il punto di intersezione dei coni partenti dai sensori eccitati. Il processo è iterativo nel senso che anche i coni che si formano nella rete di secondo livello si sovrapporranno in un certo strato e daranno così luogo a flussi energetici che correranno in una rete di terzo livello.

Per una esatta comprensione della figura occorre fare due precisazioni. Innanzi tutto, nella figura sono indicati a linea continua anche i percorsi della rete di base che inducono ai punti di intersezione. Ciò non significa che essi passano nella rete di secondo livello, ma solo che essi assumono una maggiore pervietà ai flussi di retroazione rispetto a percorsi alternativi. Al momento non serve che tu comprenda cosa sia la pervietà o cosa siano i flussi di retroazione. Al momento mi interessa solo che tu sappia che la linea continua in questi percorsi assume un significato diverso. In secondo luogo, appare dalla figura che mentre i flussi provenienti dai punti di ingresso 2 e 5 si estinguono al quarto strato (salvo ovviamente nel punto di intersezione), cosa indicata dall’arresto del tratteggio, il flusso proveniente dal punto 9 raggiunge l’ottavo strato. Ciò significa che certe informazioni sensorie hanno fin dall’inizio una maggiore area di ridondanza di altre e quindi un certo livello intermedio di tensione (ricordiamo che la semplificazione descrittiva ha solo tre livelli di rigidità, ma che nella realtà cerebrale il numero delle stratificazioni di rigidità è assai più elevato). Anche questo è un punto molto importante chesarà chiarito in seguito.

Ora, supponiamo che lo strato H dello schema in figura sia l’ultimo. Come si vede, il cono proveniente dalla porta di ingresso n.5, operando senza sovrapposizioni e nell’ipotesi che l’area di ridondanza lo permetta, andrebbe a sollecitare tutte le porte di uscita dalla 1 alla 8, il che viene espresso nel senso che il sistema disporrebbe di 9 gradi di libertà nello strato H. Considerando però che le linee di flusso della prima rete non abbiano un’area di ridondanza tale da permette la sollecitazione delle porte di uscita, queste ultime potrebbero essere sollecitate dal cono di secondo livello tensionale partente dal punto 3 dello strato D, (vertice dell’intersezione dei coni), dal n. 1 al n. 5. Il sistema perde cioè gradi di libertà con l’aumento del numero di terminali eccitati, che determina il numero di intersezioni e quindi di salti tensionali, a parità di stratificazioni e assume invece gradi di libertà aumentando il numero di stratificazioni.

Noi supporremo che solo i flussi che raggiungano lo strato finale delle memorie percettive con un certo livello tensionale (e quindi nell’ambito di una determinata rete) abbiano un significato ai fini della ulteriore elaborazione dell’informazione; in tal caso per raggiungere tale livello devono verificarsi un certo numero di incrementi tensionali e deve quindi sussistere l’eccitazione di un certo numero di sensori. Supporremo che siano tali da azzerare i gradi di libertà del sistema nello strato finale delle memorie percettive.

Dunque, abbiamo visto che, partendo da una determinata informazione sensoria, si determina automaticamente, in un sistema stratificato con interruttori a più vie, la formazione di linee di flusso, che portano, supponendo un determinato rapporto fra gli elementi costituenti l’informazione sensoria e gli strati di filtro, ad un determinato sbocco nodale, di un certo livello tensionale, in una certa stratificazione di nodi.

Considerato in se solo, avulso dalla rete dei flussi di energia provenienti dai terminali sensori e che in esso confluiscono, tale nodo finale non può essere considerato rappresentativo delle informazioni sensorie. Perché si abbia una “percezione”, infatti, occorre che ogni combinazione di informazioni proveniente dai terminali sensori sia nettamente distinguibile da qualsiasi altra e, a tal fine, abbia una propria indipendente rappresentazione nel cervello. Occorre cioè che i vari terminali sensori contemporaneamente eccitati vengano associati fra di loro in maniera unica, non ripetibile con un’altra combinazione di terminali sensori.

Ora, lo svolgimento del processo senza gradi di libertà implica che ad ogni informazione sensoria corrisponda un solo nodo di sbocco, ma non che viceversa ad ogni nodo di sbocco corrisponda una sola informazione sensoria. La corrispondenza biunivoca cioè non sussiste se si fa astrazione dalla rete dei flussi di energia attraverso cui si realizza la confluenza; ad ogni nodo dello strato finale possono infatti confluire i flussi energetici più diversi, cioè provenienti dalle più diverse combinazioni di informazioni sensorie. Ma se supponiamo che i percorsi in cui fluisce energia di un certo livello tensionale siano fissati in linee preferenziali di flusso, (condizione che abbiamo denominato pervietà) tale corrispondenza biunivoca può istituirsi, sia pure limitatamente al tempo di durata della fissazione delle linee di flusso. Il reticolo così strutturato potrà allora essere chiamato “memoria percettiva” della informazione sensoria ed avrà una durata pari a quella delle linee preferenziali di flusso.

La permanenza nel tempo della memoria percettiva può essere in atto o potenziale. Nel primo caso si verifica non solo la permanenza delle linee preferenziali di flusso, ma anche l’emissione, da parte del nodo in cui si realizza la confluenza, di un flusso di energia in direzione opposta a quella dell’energia ricevuta, flusso che percorre le linee preferenziali di flusso e ricostituisce, sullo schermo A, l’informazione sensoria originale. E’ questo il flusso che abbiamo chiamato di retroazione. L’immagine si ricostituisce sullo schermo A con una intensità ridotta (il che permette di distinguere le informazioni provenienti dall’esterno da quelle ricostituite partendo dalla memoria). Anche la struttura di quello che è a tutti gli effetti un ricordo differisce dalla percezione originaria nel senso che tutte le componenti che non passano ad una rete di un certo livello svaniscono nel ricordo, nel mentre le altre sbiadiscono in maniera inversamente proporzionale alla rigidità della rete. Rimangono, ovviamente, certi elementi di inquadramento generale della percezione che sono di origine genetica. Nel secondo caso, di permanenza potenziale, si verifica la sola permanenza delle linee preferenziali di flusso e l’informazione sensoria si ricostituisce sullo schermo dei terminali sensori solo in occasione di un afflusso di energia proveniente da memorie collegate alla memoria percettiva in uno o più dei suoi nodi costituenti.

E’ estremamente importante sottolineare che il reticolo del ricordo essendo costituito da linee dotate di una certa condizione di pervietà, cioè di preferenzialità rispetto a percorsi alternativi, si attiva all’ingresso di energia, quale che sia il nodo del reticolo in cui entra l’energia. Ciò è implicito nel fatto che la fusione degli elementi sensoriali per formare una unica memoria percettiva si realizza per sovrapposizione delle aree di ridondanza e ciò comporta che come possono fondersi i singoli elementi sensoriali, possono fondersi intere memorie percettive.

La fissazione della memoria percettiva, sia essa in atto o potenziale, è comunque molto labile, salvo condizioni particolari, di estrema importanza costituite dalla ripetizione della informazione sensoria, su cui avrò modo di intrattenermi in seguito. Una qualsiasi memoria percettiva può però diventare assai rigida se la sua formazione è accompagnata dall’ingresso nel sistema reticolare di una energia proveniente dall’esterno che ne rialza il livello tensionale. L’ingresso di questa energia che pervade tutte le canalizzazioni aperte fa passare la memoria percettiva in una rete più rigida cioè, nella nostra semplificazione descrittiva, in una rete di quarto livello. Le canalizzazioni di accesso alla rete di quarto livello di rigidità rimangono aperte anche quando l’energia proveniente dall’esterno non è più presente: esse vengono cioè percorse come canali preferenziali di flusso, anche in assenza dell’energia proveniente dall’esterno, dai flussi energetici che accompagnano il ripetersi dell’informazione sensoria. Tale informazione sensoria, associata alla memoria percettiva passata alla rete di quarto livello, diviene essa stessa capace di determinare, pur in assenza di alcuna sollecitazione della memoria esterna, lo sviluppo di un forte flusso di energia di attivazione del sistema (mediante il collegamento della rete al serbatoio di energia di attivazione, sui particolari del quale non è necessario soffermarci)

Pertanto, se tale energia è sviluppata da uno dei sensori che individuano le pulsioni genetiche, l’informazione sensoria contemporaneamente presente si associa stabilmente a tale pulsione e sostituisce il sensore interno nel determinare l’eccitazione (estroversione delle fonti di eccitazione). Se l’energia che entra nel sistema è sviluppata come reazione ad un danno fisico, condizione che viene detta di sollecitazione di un sensore genetico di stato (rete di sensibilità dell’organismo) l’informazione sensoria contemporaneamente presente, capace di sollecitare la reazione anche in assenza del danno fisico, viene chiamata “memoria di allarme”.

La capacità di fusione delle memorie percettive, cui abbiamo già accennato, sussiste ovviamente anche quando una delle memorie che si fondono è una memoria di allarme. Dunque, si possono formare connessioni fra memorie percettive e memorie di allarme che danno luogo a ulteriori memorie di allarme. Ovviamente, non tutte le strutture percettive contigue spazialmente o anche temporalmente (data la permanenza del ricordo) ad una memoria di allarme divengono memorie di allarme; occorre che la memoria percettiva abbia una adeguata area di ridondanza, e pertanto appartenga ad una stratificazione di rigidità contigua. Tornerò su questo argomento relativo alla selettività delle memorie percettive che si associano alle memorie di attivazione (sia pure, ben inteso, in modo non esaustivo). Accanto ai processi di formazione di memorie di attivazione legati alla formazione di connessioni fra informazioni sensorie e centri di emissione di energia si strutturano anche processi di formazione di memorie di arresto legati alla formazione di connessioni fra informazioni sensorie e centri di assorbimento di energia che si attivano inizialmente in via subordinata allo scarico esterno (cioè di quelle che vengono anche chiamate memorie di rassicurazione). Le memorie di attivazione e di arresto costituiscono le memorie di riconoscimento.

Il sistema psichico ha la possibilità di connettere diverse risposte alla stessa memoria di attivazione, ha cioè dei gradi di libertà nella risposta. Come sappiamo, ciò necessariamente implica che fra le memorie di attivazione e gli organi operativi siano interposte delle stratificazioni supplementari. Il sistema sceglie i terminali operativi da attivare sulla base di un riconoscimento determinato dallo scarico da essi indotto, condizione in pratica coincidente con la cosiddetta “ricompensa” della scuola comportamentale americana e che dà luogo ad una sensazione di piacere.

Quindi, nel nostro schema semplificato, il meccanismo è diviso in due parti: la prima che costituisce la memoria di riconoscimento, attivazione e disattivazione, in cui il flusso energetico è guidato dagli incrementi tensionali dovuti alla sommatoria delle tensioni inerenti alle componenti dell’informazione sensoria (per dar luogo alle memorie percettive) nonché dagli incrementi e decrementi tensionali dovuti alla connessione delle memorie percettive con centri di emissione o assorbimento di energia (per dar luogo alle memorie di allarme e di rassicurazione) e la seconda che costituisce la memoria comportamentale, in cui il flusso energetico è guidato dai decrementi tensionali connessi all’attivazione di un determinato organo operativo.

Essendo la memoria percettiva una rappresentazione della realtà, possiamo simulare le azioni da indurre sulla realtà attraverso corrispondenti modificazione della rappresentazione percettiva. Ciò è quanto avviene nel cervello ed io penso che tu possa accettare l’esistenza di questi legami fra le due strutture funzionali del cervello senza necessità che io approfondisca questo argomento, cosa che ci porterebbe, senza necessità, troppo lontano dal filo del nostro discorso.

Come abbiamo avuto modo di vedere, perché si abbia la ricostituzione di una percezione sullo schermo delle memorie sensorie (o su uno schermo parallelo) occorre che un flusso energetico partente dal nodo rappresentativo di tale percezione dello strato terminale delle memorie percettive raggiunga tale schermo, seguendo a ritroso i percorsi tracciati dalla informazione sensoria (cfr. i neuroni specchio). Le linee di flusso che costituiscono le memorie percettive sono cioè accompagnate da linee parallele in cui procede in senso inverso un flusso informativo di minor livello tensionale.

Abbiamo visto che lo strato dei terminali delle memorie percettive è lo strato in cui il flusso proveniente dai terminali sensori non ha gradi di libertà in conseguenza del raggiungimento di un certo numero minimo di terminali di input eccitati. Abbiamo anche visto che il flusso riflesso, partendo da un solo terminale di input, potrebbe assumere invece gradi di libertà se tale libertà non fosse impedita dall’esistenza di percorsi preferenziali indotti dal flusso diretto di formazione della memoria percettiva, disposti secondo strati a rigidità crescente passando dai terminali sensori ai terminali delle memorie percettive. E’ però sufficiente che il livello tensionale del flusso riflesso si rialzi perché il flusso, debordando dai canali preferenziali, assuma gradi di libertà che si manifestano quindi particolarmente negli strati più labili di connessioni, prossimi ai terminali sensori, che vengono chiamate “connessioni logiche” e la sua estrinsecazione, che comporta una modifica della informazione sensoria, costituisce l’attività di pensiero. La successione di tali connessioni labilissime, che comportano la stimolazione dall’interno di strutture percettive, corrisponde alla realizzazione simulata di una successione di informazioni sensorie.

Ora, sono costretto a complicare un pò il quadro espositivo. Nello schema semplificato adottato ai fini di rendere semplice il quadro di fondo delle interazioni, vedi figura, i nodi hanno cinque possibili porte, due di ingresso, due di uscita nell’ambito di una stratificazione di rigidità ed due di passaggio alle stratificazioni di rigidità contigue. In realtà i neuroni sono interruttori stellari, in cui confluiscono flussi energetici provenienti da una miriade di reti e che si traducono in forze che tendono a fare imboccare al flusso riflesso un determinato percorso reticolare. All’interno del neurone si svolgono processi di equilibratura alquanto complessi, anche per l’intervento di funzioni non ancora raggiunte anche nelle più avanzate realizzazioni cibernetiche dell’uomo, processi da cui emerge la direzione indotta nel flusso riflesso. Ciò non significa affatto che il pensiero sia completamente guidato dalle variazioni di percorso indotte dai nodi incontrate nel suo percorso; sussistono gradi di libertà residui in cui la variazione è casuale, fintanto che non venga sollecitata una risposta cui nell’attività operativa è associato uno scarico tensionale.

Ma, a questo punto, dobbiamo apportare delle modifiche anche al processo di acquisizione della informazione sensoria ed al suo ingabbiamento nella memoria. Anche in questo caso il flusso entrante viene deviato dall’intersezione con reti neurali che costituiscono campi di attrazione – rifiuto verso posizioni della stratificazione finale delle memorie percettive contigue a determinate modalità di attivazione degli organi operativi. È questo passaggio che può anche determinare l’amplificazione dell’area di ridondanza di certi elementi sensori, prodroma alla successiva fusione con una memoria di riconoscimento.

Occorre dunque ricordare che gli impulsi fondamentali di origine genetica, cioè i flussi di energia di attivazione del sistema, connessi alla conservazione individuale e della specie, cioè le memorie di stato, nutrizionale e sessuale, che si manifestano attraverso sensori interni, si associano a determinate rappresentazioni sensorie contigue (spazialmente o temporalmente), che assumono conseguentemente la capacità di sollecitare autonomamente gli impulsi (estroversione delle fonti di eccitazione) dando luogo a memorie fondamentali di allarme e rassicurazione. Le rappresentazione sensorie contigue a queste memorie fondamentali danno luogo ad ulteriori memorie di allarme e rassicurazione, cioè ad impulsi derivati per la fusione dei relativi circuiti o reticoli e per il fatto che la memoria complessiva così ottenuta può essere attivata da uno qualsiasi dei nodi che la costituiscono.

Quando due individui hanno le stesse memorie di allarme e rassicurazione, cioè memorie di riconoscimento attivate dalle stesse informazioni sensorie, si può realizzare una condizione comunicazionale, per cui l’allarme dell’uno dà luogo all’allarme dell’altro, la rassicurazione dell’uno dà luogo alla rassicurazione dell’altro indipendentemente da quali siano i contenuti sensoriali delle memorie sollecitate. Per conseguenza tutto ciò che darà dolore nell’uno lo darà anche nell’altro e tutto ciò che darà piacere nell’uno lo darà anche nell’altro. Ed il dolore o il piacere saranno avvertiti come propri perché, come abbiamo già detto, non sussiste differenza fra le memorie di riconoscimento determinate direttamente per associazione con gli impulsi fondamentali e le memorie di riconoscimento derivate dall’associazione con altre memorie di riconoscimento. Ovviamente ciò non riguarda il piacere-dolore prodotto direttamente dai sensori interni che danno luogo agli impulsi di conservazione, vale a dire lesioni fisiche e fame. Quando si realizza questa situazione fra due partner, ciascuno assume così la capacità di trasferire i propri sentimenti nell’animo dell’altro e se la cosa si verifica per ogni situazione emotiva. si ha la condizione di amore che andrebbe, in linguaggio psicologico chiamata condizione di identificazione totale, mentre nella più generale teoria dell’organizzazione prende il nome di incollamento profondo, privo di componenti dialettiche.

Ovviamente, come preannunciato, la necessità di semplificazione espositiva mi ha costretto a trascurare un gran numero di variabili, alcune delle quali assai importanti e su alcune di esse vorrei adesso soffermarmi brevemente. Innanzi tutto occorre rilevare che la condizione di comunanza del riconoscimento fra gli amanti, sia esso di allarme o di rassicurazione, può essere strettamente legata ad una certa situazione particolare di sinergia e, seppure è ovvio che si allarghi a tutte le situazioni ad essa collegate, può rimanere comunque in un ambito limitato. Perché la connessione interpersonale assuma un aspetto più generalizzato, cosicché la comunione istintuale fra due individui involva l’intera struttura delle memorie riconoscitive occorre che il processo implichi condizioni di grande livello tensionale, così da costituire un canale preferenziale di flusso così profondo da costituire elemento di indirizzamento in tutte le condizioni di sollecitazione del sistema.

Abbiamo già avuto occasione di accennare come l’aumento dell’area di ridondanza di una informazione sensoria, così da permetterne la fusione successiva con una memoria di allarme o di rassicurazione può essere dovuto all’intersezione con altre reti che, pur non determinando lo sviluppo della energia di attivazione inducono la variazione della stratificazione di rigidità. Ciò non solo per effetto della sovrapposizione dell’energia direttamente connessa alla informazione sensoria, come abbiamo mostrato nella figura semplificativa, quanto in un ambito più vasto ove la variazione delle condizioni di rigidità avviene a livelli “quasi infinitesimi” per l’apporto energetico indotto da altre reti, che sono quindi assimilabili a campi di forza attrazione rifiuto ovvero a memorie di riconoscimento che operano ad un livello energetico inferiore al livello critico che induce all’attivazione operativa. L’approfondimento di questo aspetto aprirebbe un campo di indagine vastissimo che ci porterebbe troppo lontano ma, per fortuna, tale approfondimento non è necessario ai fini che qui ci ripromettiamo.

Un ruolo estremamente importante ai fini dello sviluppo della condizione di amore è esercitato da una rete connessa ad un impulso di origine genetica che si aggiunge ai tre impulsi fondamentali di conservazione, costituito da una grande paura che costituisce amplificazione del contenuto emozionale e quindi della ridondanza connessa ad ogni rapporto interpersonale. Tale paura della solitudine si caratterizza operativamente come bisogno sociale e opera particolarmente nella fase infantile di “imprinting”, in cui si formano le più importanti connessioni di riconoscimento in una condizione di plasticità provvisoria. E’ anche importante rilevare che si tratta di una caratteristica estremamente variabile nella popolazione umana.

Un ruolo ancora estremamente importante è esercitato dalla ripetizione delle informazioni sensorie che permette di caricare di importanza (ingrandendo quindi l’area di ridondanza) le componenti sensoriali che si ripetono in concomitanza con la situazione di carico o scarico del sistema (non tutte le componenti del quadro sensoriale contigue ad una condizione di pericolo sono connesse in termini deterministici, connessione che è invece giustificata dalla ripetitività della concomitanza). Si tratta di una condizione più generalizzata che opera anche al di fuori del rapporto interpersonale, nella formazione delle memorie di riconoscimento che operano nel contesto del rapporto col mondo esterno all’individuo.

La ripetitività, come elemento determinante la associazione, comporta ovviamente che il sistema sia esposto più volte a condizioni di possibile pericolo, privo delle connessioni di difesa, proprio per valutarne l’opportunità. Considerazioni matematiche mostrano che il numero di prove necessario sarebbe così vasto da assumere caratteristiche suicide. Ciò è quindi possibile in termini evolutivi, dove il progresso evolutivo può agire per elementi infinitesimi in una condizione di protezione provvisoria gradualmente calante, dove cioè la nuova struttura protettiva si sviluppa gradualmente in sincronia con la riduzione della vecchia struttura protettiva. Nelle condizioni di formazione ontologica della struttura protettiva costituita dalla comunione delle memorie di riconoscimento occorre che le canalizzazioni preferenziali si formino in condizioni protette, di basso livello tensionale, attraverso un gioco infantile, quindi nella fase di imprinting come accade per i condizionamenti da realizzare sul piano ontologico in tempi brevi in tutti i mammiferi. Nel caso di specie le condizioni che portano a realizzare la comunione delle condizioni di carico e scarico tensionale sono realizzate mediante un gioco reso possibile da una certa sensibilizzazione, sussistente nell’infanzia, di certe aree del corpo, definite zone erotiche e individuate inizialmente da Freud. L’argomento è così vasto da non potere essere trattato qui; ne ho accennato per completezza del piano espositivo.

La condizione di identificazione che potremmo definire completa, comporta che non sussistano fra gli individui condizioni oppositive, cioè condizioni sia pure limitate di diffidenza e che non vi sia una struttura dei componenti ontologici degli impulsi, cioè delle memorie di allarme e di rassicurazione, e di tutta la cultura che ad esse si aggancia, già ben strutturata e diversificata. Ciò può realizzarsi nel bambino che può per conseguenza raggiungere una identificazione totale che permette l’assorbimento della struttura dei valori della società e una dipendenza psicologica per tutta la vita, avvertita come funzionale, non impositiva, in quanto proveniente dal suo interno, in maniera non distinguibile dall’azione di impulsi genetici. In tal caso, secondo la dicitura di Girard i due individui sarebbero l’uno per l’altro “mediatori” delle componenti ontologiche degli impulsi, quali sono appunto le memorie di allarme e di rassicurazione.

Quando invece sussistano condizioni oppositive o divergenti, la coincidenza delle rappresentazioni di carico e scarico del sistema può avvenire solo relativamente ad alcune componenti del rapporto interpersonale. Ad esempio nel rapporto sessuale vi può essere scarico di entrambi i partner nella stessa azione, ma una volta cessata l’attrazione sessuale, possono emergere divergenze che rendono intollerabile la convivenza. Oppure possono realizzarsi altri modi, estremamente importanti, di realizzazione delle relazioni interpersonali, quali i processi di equilibrio dinamico e di scambio.

A questo punto non posso che fermarmi, rimandando gli approfondimenti al mio saggio, “il potere e la paura”, acquistabile on line presso lulu.com. Non so se sono riuscito a rendere meno ostiche le modalità di avvicinamento alla fondazione fisica di certe relazioni interpersonali che sono le più importanti della nostra esistenza. Ho messo buona volontà e impegno per il raggiungimento di questo obiettivo, ma mi accorgo che la esposizione rimane ancora alquanto complessa. In ogni caso sono pronto a cercare di rispondere alle tue ulteriori domande.

Ma tutte queste cose il poeta già le sa  le racchiude in poche parole che ti parlano al cuore, perché tu lo sai che il cuore ha una connessione segreta con la parte più profonda di questo groviglio che è dunque l’anima.

Quanno schiuppa o vulio d’ammore

M’è schiuppato  mpietto nu dispiacere,
accussì all’intrasatta, pe na cosa e niente,
ma era na vita ca o tenevo in cuorpo,
pecché basta na goccia pe fa traboccare o vaso
e n’importa si o contenuto è shampagna
o merda.
Sto dispiacere è accussì strano
ca nun sape manco che vò
è comme a nu pianto che nun vò ascì.
Vurria ca quaccheruno mi vulesse bene,
ma comme dich’io, no comme dici tu,
o tu o tu o tu o tu.
Nu bene che nun vulesse dì spartenza
e nemmanco dicere sempe e no
comme quanno ero into a la panza tua, mamma.
Nu bene che mi facesse chiagnere
e accussì sciogliere stu dispiacere
e cu isso sta vita mia. sta vita mia.