Sull’impossibilità di autorganizzazione dei sistemi isolati non macroscopici

Nel risveglio culturale del rinascimento e particolarmente nel secolo dei lumi, i successi riportati con il metodo scientifico avevano fatto nascere l’illusione che la forza della ragione avrebbe portato all’avvento di una civiltà più giusta, in cui tutti gli uomini sarebbero vissuti in condizioni di libertà, eguaglianza e fratellanza, nonché ovviamente di benessere economico. Questa fede sulla potenza della ragione e sul suo contenuto etico, cioè del suo indirizzarsi verso il bene comune, poggiava pur sempre su considerazioni filosofiche, giacché la scienza non era ancora in grado di aggredire lo studio dei sistemi complessi, nel cui ambito rientra la struttura delle interazioni umane.

Potevano pertanto permanere in tale ambito concetti ormai affermati da una lunga tradizione culturale secondo cui il pensiero apparterrebbe ad una sostanza spirituale, metafisica, ben distinta dalla sostanza fisica alle cui leggi non sarebbe quindi legata. Ancora Cartesio, l’inventore delle coordinate, riteneva esistesse una “res cogitans” accanto ad una “res extensa” ed ancora Leibnitz, secondo cui gli elementi fondamentali della materie erano le monadi, ne riconosceva l’esistenza di speciali, responsabili delle attività di pensiero ed infine persino Kant, nato 128 anni dopo Cartesio, pur riconoscendo l’impossibilità della conoscenza del noumeno, cioè della metafisica, faceva dipendere direttamente da essa certe componenti psicologiche, ad esempio la legge morale che riconosceva in se stesso. Su questi presupposti non diveniva irragionevole il ritenere che la ragione fosse in grado di coartare la struttura degli impulsi dell’uomo e di avere un fine etico, imposto dalla sua appartenenza ad una struttura spirituale, quale l’anima.

L’avanzamento della scienza e particolarmente il suo recente sviluppo nell’ambito dei sistemi complessi ha distrutto questo insieme di eredità culturali riportando innanzi tutto attraverso la cibernetica il pensiero all’interno del sistema fisico e ponendolo al servizio degli impulsi. Esso appare infatti come un flusso di energia che determina la variazione della rappresentazione simulativa della realtà in un certo ambito determinato da una serie di vincoli limitativi, dati dagli impulsi, senza i quali essa rappresenterebbe una variazione puramente casuale. Si tratta di una rivoluzione culturale di enorme importanza, una rivoluzione copernicana in campo psicologico. I vincoli che indirizzano il pensiero comprendono anche le connessioni logiche, acquisite come vincolo esterno sul piano genetico, ma ciò condiziona le strade da percorrere, non modifica l’indirizzo finale. Questo risultato è stato raggiunto anche sul piano della logica matematica con quello che è ormai il famoso teorema di Gödel, dal quale segue che la logica non può essere produttiva di valori, che gli debbono essere presupposti dall’esterno; si dice che essa esprime la sintassi, mentre la fissazione aprioristica dei valori, la semantica, nel nostro caso è data dalla struttura degli impulsi.

Trattandosi quindi di uno strumento che opera a livello individuale, l’intelligenza potrebbe tendere al bene comune solo se a tale obiettivo tendesse la struttura degli impulsi di tutti o di una parte prevalente della popolazione. Ma gli impulsi che soddisfano a questa condizione altruistica, definiti “empatici”, sussistono invece in una parte assai limitata della popolazione, con estensione dell’oggetto dell’impulso ad una altrettanto limitata dimensione di popolazione e con una intensità, cioè capacità di sopraffare l’impulso egoistico, altrettanto limitata. Non esiste, in definitiva, una intelligenza collettiva di tipo empatico, quale veniva presupposta dagli illuministi.

La scienza dei sistemi complessi ha poi mostrato che un sistema isolato, cioè che non scambi né materia né energia con l’esterno, non è in grado di auto-organizzarsi, cioè di modificare la struttura delle forze che agiscono nel suo interno. L’autorganizzazione può solo realizzarsi nell’ambito di sistemi isolati macroscopici, a livello astronomico [1], [2], [3], e da essa può successivamente estendersi ai sottosistemi.

Ciò dunque comporta che il progresso organizzativo di un sistema richiede una interazione con l’esterno, come in effetti aveva già intuito Darwin. Ciò non significa, ovviamente, che l’evoluzione del sistema sia un processo puramente passivo di adeguamento alle condizioni imposte dall’esterno. L’evoluzione non è costituita dal semplice sviluppo selettivo del più adatto, nel qual caso si avrebbe la proliferazione di quest’ultimo, ma non la creazione di una nuova struttura. L’azione esterna invece modifica gli equilibri interni ed innesca un processo di riequilibratura, o riorganizzazione, interno da cui fuoriesce la nuova struttura.

Tuttavia, per innescare il processo organizzativo l’azione esterna deve avere certe caratteristiche di direzionalità, dimensione, capacità di penetrazione, persistenza nel tempo e tali caratteristiche variano in relazione ad altre caratteristiche corrispondenti del sistema ricevente che, nei casi più complessi, esprime, oltre alla reazione interna organizzativa, anche una reazione esterna (strutture dissipative). Tale reazione non ha la sola funzione di dissipare parte dell’energia entrante per evitare l’innalzamento dell’energia interna che è distruttiva dell’ordine, ma anche quello di interagire con la forza esterna, con ciò trasformando il processo in un continuo colloquio fra il sistema ed il resto del mondo [4].

Al raggiungimento di un certo livello di organizzazione, questa permane anche al cessare della forza esterna (legge di organizzazione dei sistemi aperti di Prigogine) ed il sistema si pone in una condizione che viene definita di massima entropia compatibile con i vincoli interni [5]. Se si tratta di una struttura dissipativa, la permanenza dell’ordine implica che le variazioni dei flussi in entrata e in uscita non diano luogo ad un aumento dell’energia interna. Supponiamo invece che la modifica degli equilibri fra le due forze implichi un certo aumento della energia interna (ad esempio per una riduzione del flusso dissipativo) e si abbia, per conseguenza un degrado, sia pure parziale, dell’ordine raggiunto nella precedente condizione di equilibrio. In virtù della struttura stratificata, cioè della sua composizione a strati di differente rigidità, del sistema complesso, il degrado coinvolge la parte più debole della struttura, arrestandosi ad una certa stratificazione di rigidità, in funzione della dimensione raggiunta dall’energia interna. Ovviamente, vi è un certo livello dell’energia interna, una temperatura, a cui nessun sistema complesso può resistere.

L’assunzione della caratteristica di rigidità, cioè di resistenza anche al cessare dell’azione esterna, da parte delle strutture ordinate prodotte sotto l’azione esterna è dovuta alla presenza di componenti del sistema passibili del cosiddetto “incollamento”, cioè di sviluppare forze di aggregazione di particolare forza se sussistono determinate condizioni indotte dall’azione esterna, dette di parallelismo o anche di “sinergia”. Lo sviluppo di tali forze aggregative viene ricondotto alla sovrapposizione di campi di forza che tale condizione di parallelismo permette nei componenti passibili di incollamento. Ad esempio, nel caso di un sistema gravitazionale composto da molecole di cui una parte sotto forma di ioni, il parallelismo motorio indotto dall’azione esterna comporta una riduzione della interazione cinetica fra componenti in moto parallelo e permette quindi l’accostamento e per conseguenza non solo il rafforzamento dell’attrazione gravitazionale, ma anche lo sviluppo di una ulteriore forte azione attrattiva da parte del campo elettromagnetico degli ioni.

E’ evidente per conseguenza che la presenza di questi componenti passibili di incollamento, se l’ordine residuo permette dei vincoli direzionali che rendano più frequenti condizioni di parallelismo motorio, determina un processo continuo di distruzioni e ricostruzioni di aggregati e quindi della struttura dei vincoli del sistema. Le dimensioni di questi aggregati in condizioni di moto disordinato saranno determinate dalla frequenza dei componenti che sviluppano le forze di incollamento, nonché dal fatto che, con l’aumentare della dimensione e quindi della massa anche la forza di attrazione gravitazionale cresce e ciò favorisce lo sviluppo di una maggiore dimensione degli aggregati. Il surplus di energia interna sarà allora in parte assorbito come energia potenziale disgregativa nell’ambito delle giunzioni di questi più grandi aggregati, ma il vantaggio viene in parte perduto perché gli aggregati così formati saranno più fragili degli aggregati che si formavano precedentemente all’aumento dell’energia interna e gli scontri saranno più violenti. A questo punto, se al cessare dell’azione esterna il sistema diviene isolato, cioè privo di scambi di energia e materia con l’esterno, il sistema permane al livello di entropia in cui lo ha portato l’aumento dell’energia interna, mentre il processo organizzativo non può più essere ripreso.

Sulla base del principio fondamentale che tutto quanto esiste è governato dalle stesse leggi organizzative, per trasferire questi risultati sul piano sociologico dobbiamo innanzi tutto tradurre i termini fisici in termini sociologici. Entropia allora vuol dire disordine e poiché l’ordine è caratterizzato dall’assenza di scontri, la dimensione dell’ entropia misura la frequenza di scontri che convogliano una certa quantità di energia interna ossia di violenza. La quantità di violenza trasmessa con gli scontri può assumere diversi livelli di intensità o di temperatura a seconda della quantità di violenza trasmessa in ogni singolo scontro. Al parallelismo motorio del sistema meccanico corrisponde il parallelismo comportamentale dovuto alla comunanza dell’obiettivo del comportamento.

Le forze di interazione intraspecifica  che il processo evolutivo ha indotto nell’uomo assumono più forme che agiscono su frazioni differenti della popolazione. Suddividendole in modo assai grossolano per esigenza di semplicità espositiva, diremo che la più importante frazione è quella delle masse che sono animate da un impulso, che denominiamo sociale, che assume la forma di un bisogno e conseguente richiesta di protezione volta al gruppo sociale; essa è rivolta quindi particolarmente agli uomini che governano la potenza del gruppo, che dispongono del potere, concentrandosi in termini particolari sul capo. In termini fisici tale impulso produce  le forze di incollamento Nel linguaggio corrente esistono una molteplicità di termini che stanno ad indicare le varie gradazioni di intensità in cui si articola questo impulso, quali bisogno di integrazione, di importanza, di affetto, di amore, ecc. Una seconda frazione è costituita dagli uomini che ambiscono a governare direttamente la struttura di potere, piuttosto che essere protetti da quelli che la governano, sono cioè animati dalla volontà di potenza. La frequenza di questa frazione è assai minore di quella delle masse.  In entrambe queste frazioni può sussistere un sottogruppo, estremamente minoritario, di uomini spinti da impulsi altruistici, denominati “empatici”. A ciascuna tipologia umana corrisponde una diversa struttura psicologica, una diversa rigidità e quindi un diverso modo di reagire all’allentamento della condizione di parallelismo.

L’uomo costituisce un sistema dissipativo speciale in cui l’energia entrante soddisfa le necessità dell’ organismo, ma l’energia che viene trasferita all’esterno proviene da serbatoi interni che vengono attivati o meno dagli impulsi a seconda delle necessità operative. Pertanto, la diminuzione dell’energia in uscita destinata alla lotta per la sopravvivenza, determinata dall’avanzamento tecnologico (rivoluzioni metallurgica e agricola) dovrebbe comportare una minore richiesta di energia dai serbatoi senza riflettersi in alcun modo sulle condizioni di organizzazione del sistema. In realtà, invece, la cessazione della richiesta di energia per l’obiettivo esterno comune determina la cessazione della condizione di parallelismo comportamentale e per conseguenza dell’incollamento nell’ambito di certe strutture di un certo grado di rigidità, peraltro estremamente importanti sul piano sociale.

Per comprendere bene la meccanica della risposta interna alla riduzione dello sforzo esterno per la sopravvivenza, alla conseguente riduzione del parallelismo comportamentale e al conseguente allentamento della condizione di incollamento con un altro individuo, consideriamo una condizione estrema in cui il parallelismo scompaia del tutto, pur in presenza di un campo attrattivo fondamentale di interazione intraspecifica, dovuto al riconoscimento di specie.

Il processo di interazione di due corpi rigidi in un campo gravitazionale, studiato da Newton, può essere utilizzato come paradigmatico di tale tipo di interazione. Al fine di avere un paradigma della più ampia generalità, noi interpretiamo il cambio direzionale in corrispondenza dell’urto, da avvicinamento ad allontanamento, come dovuto all’azione di un campo repulsivo che operi con tale rapidità da far apparire la trasformazione come istantanea. Ciò nel mentre non modifica per nulla il modello di interazione newtoniano, permette un raccordo con situazioni fisiche in cui la presenza del campo repulsivo è fondamentale, quali sono quelle che interessano i fenomeni psicologici.

Infatti, la natura del campo attrattivo gravitazionale e del campo repulsivo che opera in corrispondenza dello scontro di due gravi è diversa dalla natura dei campi attrattivo e repulsivo che governano gli impulsi. La differenza giace nel modo con cui la loro intensità varia in funzione delle coordinate del sistema. Nella interazione umana l’impulso repulsivo, la paura, opera ben prima dello scontro (vedasi il diagramma del gradiente all’avvicinamento dell’impulso di rifiuto in Dollard e Miller [6]). Identica è però la tipologia delle operazioni organizzative cui l’interazione dà luogo.

Nella modificazione Einsteiniana dello schema di Newton, durante la fase di allontanamento l’energia cinetica dei gravi segue la direzione indotta dal campo repulsivo ma viene gradualmente logorata nella sua dimensione dalla decelerazione indotta dal passaggio attraverso il campo attrattivo. L’energia che scompare dal moto non scompare dal quadro fisico; essa persiste nella forma di un aumento della massa, vi è cioè una continua trasformazione da energia cinetica in massa. Alla fine della fase di allontanamento l’energia è stata tutta trasformata in aumento della massa; cosicché si inizia il movimento inverso determinato dalla attrazione gravitazionale. L’energia cinetica di avvicinamento viene gradualmente incrementata durante il percorso per l’accelerazione indotta dal passaggio attraverso il campo attrattivo. Essa quindi si trasforma in energia potenziale di rifiuto e quindi in energia cinetica di allontanamento nel breve tratto in cui passa attraverso il campo repulsivo e queste trasformazioni, che costituiscono l’urto, avvengono così rapidamente da apparire istantanee.

Analogamente, tornando alle interazioni sociali, l’allentamento della condizione di parallelismo, fa emergere la componente del comportamento in direzione ortogonale alla direzione di parallelismo che, in quanto conducente allo scontro, può essere individuata nel campo psicologico come impulso dominativo, negli individui dotati di volontà di potenza di cui quindi stimola la conflittualità. Ciò determina il sorgere di un impulso di rifiuto negli uomini in cui prevale il bisogno di protezione, nella forma di energia potenziale aggressiva. in ciò coinvolgendo anche l’impulso sessuale che viene trascinato dall’impulso sociale e che acquisisce per conseguenza componenti di violenza sia nella concorrenza fra concorrenti che nel rapporto fra partners.

In queste condizioni può verificarsi lo spostamento, da parte delle masse, della condizione di dipendenza psicologica dall’uno all’altro degli uomini di potere nella ricerca della condizione di incollamento. Ma ove questo spostamento risulti impedito, l’impulso sociale, che appare, dopo l’impulso di conservazione individuale e talvolta superandolo, il più forte impulso dell’uomo, permane nel comportamento malgrado il rifiuto del gruppo e malgrado la formazione, come energia potenziale di un impulso di rifiuto che, essendo impedita qualsiasi alternativa di fuga, può assumere, in determinate circostanze, caratteristiche aggressive estreme, di odio (estroflessione della paura)..

Questa convivenza schizoide, nello stesso individuo, di due impulsi completamente opposti, amore-odio, in generale non giunge alla coscienza dell’individuo in cui la condizione unitaria del comportamento costituisce una condizione esistenziale basilare, salvo eccezioni, quale quella del poeta latino Catullo che si poneva esplicitamente la questione (Odi et amo, Quare id faciam?), e in tal caso appariva come un fatto paradossale, inspiegabile. Freud si pose la questione e pose l’impulso evidente nella coscienza e quello nascosto nell’inconscio, condizione che darebbe luogo  alla nevrosi, mentre l’alternanza nel comportamento costituirebbe una condizione patologica più grave, la schizofrenia. Noi, seguendo lo schema Newtoniano, di una energia che si manifesta nel moto e una energia potenziale, parliamo di un impulso che si manifesta nel comportamento e di un impulso che permane allo stato potenziale, ritenendo l’alternarsi del comportamento dovuto ad un altissimo livello della tensione che determina il rapido sviluppo dell’intero ciclo oscillatorio. La visione di Einstein, che sostituì l’energia potenziale Newtoniana con la massa è ancora più aderente alla meccanica psicologica perché implica che il corpo che si allontana da un altro mentre produce l’aumento di massa e quindi l’aumento dell’attrazione al ritorno, già interagisce con gli altri corpi in termini di attrazione con la massa accumulata. Trasferendo tale risultato al campo psicologico avremo che l’individuo, nel mentre continua ad avere il desiderio di incollamento con il gruppo nel suo insieme o con il capo, già inasprisce i rapporti interpersonali individuali. Evidentemente, il fisico non può meravigliarsi della presenza di due energie in opposizione nello stesso individuo, né preoccuparsi di porre le due entità in differenti luoghi fisici, una volta che la vede realizzata in qualsiasi corpo attraverso l’interazione di energie che provengono da differenti campi di forza. Ma addirittura, nella visione di Einstein, questa dialettica diviene una componente dell’essere giacché, in estrema sintesi, la teoria della relatività generale consiste nel doversi considerare, in ogni fenomeno fisico un contributo della derivata seconda nei confronti delle coordinate spazio-temporali. Quindi la dialettica è già insita nei componenti elementari della materia che sono sempre sottoposti a campi di forza bipolari, attrazione-rifiuto. Se poi consideriamo che, sempre secondo la teoria della relatività ciò determina delle trasformazioni massa-energia nei due sensi, condizione che determina il cambio di segno della seconda derivata, ciò comporta una generalizzazione della condizione oscillatoria che può essere descritta dalle relazioni reciproche di Onsager, che appaiono quindi come leggi fondamentali dell’organizzazione [7].

Nell’ambito della struttura psichica il processo evolutivo ha inserito, oltre al riconoscimento della necessità di un certo livello strutturale della gerarchia definibile nell’ambito di un complesso concetto di giustizia (vedasi i post “La fisica dell’amore” e “il ritorno del desiderio”), meccanismi di attenuazione degli effetti della mancata risposta dei poteri al desiderio di integrazione delle masse. Il più importante è costituito dall’illusione che comporta una distorsione nel modo di percepire la realtà; l’illusione sul proprio livello di integrazione sociale in certe strutture psicologiche può giungere fino alla completa negazione della realtà, divenire cioè paranoia. L’illusione è dunque negazione della realtà con cui l’uomo inganna se stesso (affermazione che fu già di Aristotele) e a ciò corrisponde l’ipocrisia del potere che di ciò si avvantaggia. La perdita del parallelismo comportamentale ha quindi intriso i rapporti sociali di falsità, dii inganno ed ipocrisia.  Anche illusione è la realizzazione di un transfert ad una entità metafisica, che sostituisce il capo, quale la religione, ma che può anche consistere in una qualsiasi ideologia come Girard ha mostrato nella sua analisi critica delle opere di Cervantes, Flaubert, Dostoevskij, Proust, ecc.

Un attimo solo di felicità ci è concesso, un attimo breve, come di una stella cadente, l’illusione d’amore. O un attimo lungo, come di una vita, l’illusione di Dio.

Anche se forme semplici di religione dovevano certamente sussistere già nelle più antiche forme di organizzazione umana, come risposte a richieste, relative alla vita e alla morte, che non potevano essere date dal capo, la sua dimensione, come importanza nella vita dell’uomo crebbe enormemente in occasione della crisi dell’orda come transfert metafisico di una dipendenza psicologica che non poteva più sussistere con il capo per la rottura del parallelismo comportamentale. Essa permise l’accettazione, anzi l’introiezione come comandi del Dio, di precetti repressivi volti alla conservazione del dominio dei forti. Ricordate la lettera di Paolo di Tarso “schiavo obbedisci al tuo padrone nella carne come obbediresti a Cristo”.

Non mi è possibile in questa sede entrare nel dettaglio di questo importante processo di regolazione degli equilibri istintuali [8]. L’obiettivo fondamentale fu quello di isolare l’individuo impedendo così che la paura che mantiene al livello potenziale la rivolta, venga scaricata dalla realizzazione di una condizione di parallelismo e quindi di sinergia fra i deboli. In fin dei conti questo processo ebbe l’effetto positivo, nel passaggio dall’orda alla tribù, di assicurare una stabilità del sistema altrimenti impedita dal fatto che ogni rivolta si risolveva comunque nella ricostituzione di una nuova gerarchia e nell’instaurazione di un nuovo dominio. Si cambiavano i padroni, non si ripristinava il padre antico, sempre sognato, da cui si riceveva amore e protezione.

Lo sviluppo delle religioni non fu però in grado di sostituire il rapporto di incollamento che si istituiva con il gruppo e particolarmente con il capo prima che le mutate condizioni di interazione con l’ambiente cancellassero il parallelismo comportamentale  che implicava la comunanza di interessi vitali. Non riuscì ad impedire  ed anzi In certi casi fu elemento amplificatore di un altro meccanismo che determina l’alleggerimento della tensione interna ai gruppi anche se inasprisce la conflittualità fra i gruppi, cioè della guerra. Fra la massa ed il capo, in cui si concentra il bisogno di incollamento della massa, si inserisce un meccanismo di retroazione positiva, meccanismo che trasferisce al potere le caratteristiche di stupidità paranoide delle masse, ove l’espressione “stupidità paranoide” non implica una deficienza mentale, ma una subordinazione del comportamento agli impulsi che scavalca il ragionamento, il quale fornisce una giustificazione a posteriori in quella che Freud  chiamò “razionalizzazione secondaria”.

Usando i termini di Dupuy [9], per Freud il capo costituisce un “punto fisso esogeno”, ossia produttore ed organizzatore della massa. Secondo Girard, invece, egli è un elemento endogeno “prodotto dalla massa, mentre questa immagina di essere prodotta da lui”. Secondo la teoria dell’organizzazione, invece, il capo è un mediatore esterno, prodotto dalla massa ma che agisce sulla massa, così che entrambe le asserzioni sono parzialmente corrette in quanto il meccanismo che è in gioco è un meccanismo dialettico di interazione reciproca, o feedback, che è tipico dei sistemi complessi. Il capo è un catalizzatore dei bisogni della massa, nel senso che li fa emergere dallo stato potenziale indicando la direzione di sfogo e, come tale, è un prodotto dei bisogni della massa. 

Perché un gruppo di uomini possa agire come una unità, vi deve essere una necessità comune da soddisfare, condizione che li pone in uno stato di parallelismo comportamentale e quindi di sinergia che incrementa la forza dei singoli componenti. Se il sistema è in condizioni di incollamento, quindi di scarico dell’angoscia, esiste una condizione di solidarietà nei rapporti interni che limita la competitività residua, dovuta all’impulso sessuale e al desiderio di crescita di importanza, rendendola un gioco innocuo ai fini della tenuta del sistema. La necessità comune riguarderà la lotta esterna per la sopravvivenza e il mantenimento di una condizione interna di giustizia. La scelta del capo cadrà quindi in chi eccelle nell’organizzare l’attività produttiva e mostra un forte impulso empatico di tipo genitoriale. 

Ma se nel sistema la massa è in condizioni di frustrazione del bisogno di integrazione, questo si trasforma in aggressività potenziale e si manifesta in una ostilità che permea le relazioni interpersonali, ostilità bloccata dalla paura della reazione del gruppo. Il bisogno comune è allora costituito dallo scarico di questa aggressività e quindi ove la folla abbia la possibilità di scegliersi un capo, questi interpreterà questo bisogno. Al momento in cui la folla giunge alla identificazione del capo si verifica una diminuzione della paura, diminuzione dovuta al senso di protezione e di maggior forza che dà la partecipazione ad un gruppo, alla condizione di parallelismo, si ha cioè un mutamento della struttura psicologica della folla in cui l’aggressività prima compressa subisce una emersione ed una amplificazione per effetto della diminuzione della paura. Il capo avverte il mutamento della folla, la sua maggiore volontà di potenza, il suo consenso e ne è eccitato, subendo a sua volta una amplificazione della propria volontà di potenza.

Il capo quindi, come mediatore, deve indicare una direzione di sfogo della violenza accumulata e deve essere una direzione comune e quindi non può essere interna, deve essere necessariamente nella guerra. Si realizza così la estroversione della aggressività su un oggetto esterno al gruppo, estroversione che definiamo paranoica, in quanto appare ad un osservatore esterno assolutamente priva di razionalità, allo stesso modo come appare priva di razionalità la chiusura del paranoico nella illusione.

A parte la considerazione del fatto che le sofferenze indotte dalla guerra possono essere assai più gravi di quelle che la hanno determinata, si potrebbe infatti anche pensare che il problema non sia realmente risolto, perché l’annientamento di un oggetto esterno non sembra capace di eliminare le cause della inimicizia interna, ma ciò non è vero. Dobbiamo riconoscere invece che la guerra esterna riduce i conflitti interni, ricostituendo il parallelismo comportamentale, sia pure fintanto che la inimicizia, dopo la guerra, non si riforma.

Al cessare della azione esterna, per effetto del conseguente aumento dell’energia interna dovuto alla riduzione o all’allentamento dell’ incollamento, si verifica dunque un processo continuo di distruzione per effetto degli scontri, ma anche di ricostruzione degli aggregati per effetto di transfert. In conseguenza dell’altissimo numero percentuale di componenti dotati dell’impulso di incollamento (bisogno di protezione) i componenti elementari sviluppati in seguito agli scontri tendono ad aggregarsi alla massa più grande dando luogo ad aggregati di grandi dimensioni fino a quando, raggiunta una certa dimensione critica, le forze attrattive sviluppate da centri di attrazione periferici superano quella sviluppata dal baricentro del sistema. In queste condizioni si verifica la immobilizzazione dei componenti incorporati in queste più ampie strutture per effetto dell’aumentata capacità di dominio dovuto alla massa del sistema e alla sua più ampia stratificazione di potere cui corrisponde però la formazione di una condizione perenne di energia potenziale aggressiva, di scontento, in alcune stratificazioni. La conflittualità permane quindi fra queste più grosse entità organizzative.

In definitiva, la impossibilità di autorganizzazione dei sistemi applicata al sistema sociale implica che esso non è in grado di auto-organizzarsi, cioè di progredire sul piano della sua organizzazione, senza l’intervento di una azione esterna a cui reagisce, esso è cioè un sistema stimolo-risposta sia sul piano che potremmo definire ontologico, di breve termine, che sul piano evolutivo, di più lungo termine per la modificazione delle componenti strutturali più rigide. La struttura degli impulsi geneticamente ereditata è tale che la cessazione del lavoro eseguito sulle forze esterne provoca la rottura di equilibri interni che determinano il degrado della struttura organizzativa, l’aumento dell’entropia e della energia interna e anche questo risultato è la conseguenza di leggi fisiche universali.

Naturalmente, ove il sistema sociale, una volta cessato o ridimensionato lo sforzo collettivo per la sopravvivenza, che ha strutturato evolutivamente l’elemento motore costituito dagli impulsi, divenisse un sistema isolato, qualsiasi uscita dalla condizione di degrado così ottenuta sarebbe impossibile. Ma il sistema sociale ha invece una molteplicità di interazioni con il resto del mondo e anche la sua stessa struttura organizzativa può subire mutamenti indipendentemente dalla perdita di funzionalità nella produzione dell’obbiettivo di sopravvivenza, come elemento di un mondo che non è sotto controllo del sistema, cosicché ciò che avviene nel resto del mondo può aprire nuove vie e riavviare il processo organizzativo, ma può anche portare la specie all’estinzione

Il ridimensionamento del lavoro esterno per la sopravvivenza ha comportato l’eliminazione dell’ incollamento che si formava fra gli uomini sul piano ontologico, ha portato ud un nuovo modo di equilibrio degli impulsi ed alla formazione di una certa energia potenziale aggressiva che può svilupparsi oltre che nella manifestazione di una maggiore asprezza dei rapporti personali, anche, se si determinano certe condizioni di sinergia, nel suo trasferimento sul piano cinetico, anziché potenziale, dando luogo o ad una rivolta interna o ad una guerra esterna, che è pur sempre interna alla specie. Continuano a sussistere quelle componenti istintuali che l’evoluzione ha strutturato in forma rigida, quali gli impulsi empatici che operano verso l’interno ma per la loro scarsa frequenza non sono in grado di ridurre il degrado del sistema e l’impulso sessuale entrambi sottoposti a repressione sotto l’effetto della frustrazione del bisogno sociale e dell’emergere della volontà di potenza. Vi è però un impulso che sfugge alla repressione connessa alla rottura degli equilibri: il piacere della conoscenza e la sua traduzione in avanzamento tecnologico che costituisce un canale di interazione con il mondo esterno, ma non è detto che ciò porti a risultati positivi nei termini di riduzione dell’entropia  e della energia interna del sistema.

Lo sviluppo del pensiero, in tutte le sue forme, ha realizzato l’obiettivo di realizzare una maggiore potenza nella lotta per la sopravvivenza, è un’arma estremamente potente, capace di produrre altre armi, anche se ha avuto pure delle ricadute sulla qualità della vita. Il proseguimento dello sviluppo della scienza e della tecnologia, che si traduce in un progresso nella produzione di armi, può quindi modificare una condizione stabile di guerra intraspecifica che, malgrado i ricorrenti massacri e il dolore di cui permea l’umanità, potrebbe durare per molti millenni, in un processo che può terminare con l’estinzione della specie in tempi molto più brevi.

L’importanza del risultato ottenuto, circa l’impossibilità di un processo organizzativo che prescinda dal contributo esterno è comunque enorme perché mostra che qualsiasi problema di crescita organizzativa va inquadrato nell’ambito della considerazione della situazione relazionale con l’esterno del sistema. A titolo di esempio, se noi applichiamo questi concetti al processo di integrazione dell’Europa che implica la ristrutturazione di tutte le strutture di potere cioè degli elementi vincolari interni, dobbiamo dire che tale processo è impossibile senza che esista una azione esterna che la solleciti. Ma non qualunque azione esterna è adeguata a sollecitare la reazione organizzativa del sistema; l’azione esterna deve avere caratteristiche direzionali, dimensionali, di penetrazione e di permanenza adeguate alle condizioni di rigidità delle strutture da modificare. Inoltre, tenendo conto del rapido affievolimento con la distanza deve avere corrispondenti livelli di immanenza.

Perciò, nel caso della integrazione europea, la resistenza opposta dalle strutture di potere che andrebbero ridimensionate è tale da richiedere, per superarla, un pericolo molto grande ed immanente cui le stesse strutture di potere andrebbero sottoposte se non provvedessero a riorganizzarsi. In tali condizioni erano le strutture di potere dei paesi europei prima della disgregazione dell’impero sovietico, che occupava gran parte dell’Europa orientale, con un esercito dopo quello degli Stati Uniti forse il più potente del mondo, con gli stati dell’Europa occidentale in condizioni di estrema debolezza, così che l’unione apparve necessaria per la sopravvivenza. Ma dopo la disgregazione dell’impero sovietico e la riunificazione della Germania che ne ha ricostituito la potenza, il pericolo si è ridimensionato ed allontanato e ciò ha reso obsoleta l’idea. Certamente vi sono coloro che ne vedono ancora la necessità in vista di un futuro in cui emergeranno potenze a livello continentale nei cui confronti i singoli stati dell’Europa saranno in condizioni di estrema debolezza, ma il pericolo viene percepito come lontano, ancora evanescente e scompare dalla coscienza.

Il mondo esterno può però proporre nuove sfide il cui superamento può stimolare una risposta organizzativa. Si può immaginare che le condizioni di inquinamento ambientale, l’aumento delle temperature per l’effetto serra, l’esaurimento delle risorse, l’aumento della popolazione, possa portare la civiltà assai prossima al collasso finale e ciò possa indurre ad una maggior grado di integrazione le nazioni del mondo, ma ciò non per lo sviluppo di una civiltà empatica come profetizza Jeremy Rifkin, riprendendo il sogno che fu di Gesù Cristo, ma semplicemente perché coinciderebbero gli obiettivi e si realizzerebbe un parallelismo comportamentale che porterebbe alla fusione. Tuttavia la tendenza a minimizzare il pericolo finché è lontano potrà far si che la presa di coscienza della gravità del pericolo possa avvenire quando ormai sarà troppo tardi per potere intervenire con efficacia. Ma anche qualora si riuscisse ad intervenire in tempo, la fusione avverrebbe fra le strutture di potere dei vari stati. Il problema fondamentale che rimarrebbe comunque da risolvere è stabilire quali potrebbero essere le condizioni esterne che possano stimolare la ricostituzione di quel patto di solidarietà fra il potere e la massa, che fu all’origine della nascita della organizzazione sociale primigenia. Non si tratta di vincere una guerra, che elimini una delle due componenti del sistema, perché il dualismo è iscritto nel gene e la struttura del potere si ricostituisce immediatamente. I greci lo avevano capito rappresentando il potere come l’idra dalle cento teste che rinasce continuamente dal suo stesso sangue, così che non può essere distrutta.

Nella guerra di tutti contro tutti non sussiste più una evoluzione che possa premiare la crescita degli impulsi empatici, cioè degli impulsi di amore; al contrario, per la legge del più forte premia la crescita dell’aggressività, il possesso dell’arma più letale. Anche l’equilibrio del terrore, cui lo sviluppo della lotta intraspecifica può indurre, costituisce una condizione di equilibrio instabile che un atomo di follia può distruggere, così che il destino di estinzione non sembra evitabile.

Riferimenti bibliografici

[1] – Firrao S: “Sui fondamenti della fisica dei sistemi complessi”, in Studi sui sistemi complessi, ISBN 978-1-4476-3406-5 Lulu.com, capitolo 1

[2] – Firrao S.: “Lo sviluppo di processi oscillatori nei sistemi isolati ad altaenergia”, in Studi sui sistemi complessi, ISBN 978-1-4476-3406-5 Lulu.com, capitolo 4

[3] –Firrao S.: “La formazione dell’ordine nelle Galassie”, in Studi sui sistemi complessi, ISBN 978-1-4476-3406-5 Lulu.com, capitolo 5

[4] – Prigogine I., Nicolis G.: Le strutture dissipative, Sansoni, Firenze, 1982

[5] – Jaynes E.T.:  “Where do we stand on maximum entropy?”   in  The maximum  entropy formalism, Levine & Tribus ed. MIT Press, 1978

[6] - Hall Calvin S., Lindzey G.:” La teoria dello stimolo-risposta”,in Teorie della personalità, Cap. 11, Boringhieri, Torino, ristampa del 1970

[7] -Firrao S.:”Stratification of feedback circuits in evolutive structures”in Quaderni di Cibernetica, n.8, 1991

[8]- Firrao S.: “La repressione degli impulsi”in Il potere e la paura, ISBN 978-1-4716-1821-5, Lulu.com, 2012

[9] – Dupuy J.P.: Introduction aux sciences sociales, Ecole Polytechnique, Paris, 1992

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