Obsolescenza del principio di non contraddizione

Sommario
Contrariamente a quanto afferma il principio di non contraddizione, quest’ultima costituisce il fondamento dell’essere. Ciò non significa che un oggetto possa essere contemporaneamente nero e bianco, ma piuttosto che può assumere le due colorazioni o una colorazione intermedia in tempi diversi per effetto di un principio trasformazionale in esso  contenuto, sia pure sollecitato da una informazione che proviene dal suo esterno. Quanto detto per l’aspetto costituito dal colore è generalizzabile per l’azione che è costituita da due componenti opposte che originano nell’oggetto da cui l’azione parte.  Le due componenti si manifestano su infinitesimi della realtà di ordine diverso ma con un peso relativo variabile.in conseguenza di un processo di trasformazione dall’una all’altra componente governato dalle condizioni esterne al sistema agente. In questo studio si prende in esame la interazione gravitazionale fra due corpi in cui si ha un processo continuo di trasformazione fra la componente massa e la componente energia cinetica, processo che ha due punti singolari in cui si ha l’esaurimento di uno dei componenti ed il processo di trasformazione si inverte. In assenza di interventi di altri corpi il fenomeno assume quindi un carattere oscillatorio fra due condizioni estreme di esaurimento di uno dei componenti, ma nell’ambito delle condizioni intermedie le due istanze contraddittorie convivono secondo rapporti variabili.
Cenni storici sull’evoluzione del problema.
La non contraddizione ha costituito, fin dall’inizio della speculazione filosofica, un principio la cui evidenza è apparsa così chiara da non ammettere possibilità di discussione. Particolarmente dopo lo sviluppo della matematica euclidea e pitagorica è sembrato che il principio di non contraddizione costituisse la base stessa del pensiero cosicché la sua negazione equivalesse alla negazione del pensiero.
Tale intangibilità del principio di non contraddizione ha portato il pensiero umano a dibattersi per millenni nell’ambito di contraddizioni insanabili. Tutti i grandi temi della filosofia possono infatti essere ricondotti allo scontro con il principio di non contraddizione ed è anche possibile mostrare come tali temi siano tutti interconnessi così che la soluzione dell’uno condiziona la soluzione dell’altro.
Innanzi tutto i problemi della compatibilità del continuo con il discreto, introdotti da Zenone, sono connessi con le famose antinomie della dialettica trascendentale kantiana in quanto riconducibili alla contraddizione fra la logica dell’infinito e la logica del finito cui gli stessi paradossi zenoniani conducono.
Ma anche il problema della soggettività o della oggettività della conoscenza, forse il più dibattuto da Platone in poi, è riconducibile al problema del continuo, anche se ciò può non apparire, a prima vista, evidente.
Il tentativo di risolvere il problema del continuo portò infatti Leibniz ad inventare la monade, elemento chiuso, le cui modificazioni sono esclusivamente rappresentabili in termini di introversione ed estroversione del proprio contenuto (cfr.il mio studio “Interpretazione monadistica della meccanica ondulatoria e della relatività” su Sistematica, n°1/84) che coincidono, al livello della monade complessa dello spirito, con i fondamentali momenti dialettici hegeliani in cui la sostanza si pone come soggetto o si riconosce nell’oggetto.
Questo mio lavoro si pone l’obiettivo di chiarificare ulteriormente questa connessione, cioè di mostrare più direttamente come la soluzione del problema del continuo attraverso la negazione del principio di non contraddizione porti, sul piano fisico, alla determinazione della necessità di un processo oscillatorio che coincide, sul piano logico, con il processo dialettico di Hegel.
Ciò permette di confermare sia la concezione hegeliana della coincidenza della logica con la metafisica,, riportata anzi più concretamente, come già fece Helmoltz, sul piano della fisica, sia la conseguente fenomenologia dello spirito, che vede l’alternanza delle posizioni soggettivistica ed oggettivistica.
Il problema del continuo consiste nello stabilire se la realtà sia divisibile all’infinito o se i suoi componenti elementari debbano essere considerati come elementi discreti. Il problema fu dibattuto a lungo dalla filosofia ed è tuttora attuale. Un momento importante di tale discussione fu segnato da Aristotele con la sua divisione analitica fra infinito potenziale ed infinito attuale (o completato, come anche vien detto) secondo cui il concetto di suddivisione all’infinito poteva essere assunto sul piano concettuale, o potenziale, anche se non realizzabile nella realtà. E’ da notare che tale visione aristotelica domina ancora larga parte del pensiero logico matematico se alla fine del diciannovesimo secolo Dedekind diceva che l’infinito completato non poteva avere alcuna realtà, ma era solo una “facon de parler”.
Nell’ambito dellla fisica Louis  de Broglie è stato il primo a sostenere esplicitamente il  superamento del principio di non contraddizione. Egli sostenne la esistenza reale dei due aspetti che apparivano contradditori nel caso della luce che a seconda delle circostanze può assumere sia l’aspetto corpuscolare che l’aspetto ondulatorio. Egli affermò che bisognasse associare le due opposte componenti sia a tutta la materia sia al ragionamento. Queste le sue parole: “Il principio di contradditorietà complementare deve rimpiazzare il principio di non contraddizione come fondamento della logica” (riportate da Stefane Lupasco in L’experience  macroscopique et la pensé humaine. PUF 1941 pag. 286). Cionondimeno in questo studio siamo particolarmente interessati alla visione di Newton che fu il primo a smuovere la posizione di stallo in cui tale problema si trovava ormai da millenni anche se la sua soluzione costituisca un’accettazione della contraddizione non conscia ma nascosta sotto le giustificazioni dell’artificio matematico e della operatività pratica di esso.
Nella sua soluzione, che segnò la nascita del calcolo infinitesimale, si assume il limite, entità discreta, come equivalente di una successione infinita di elementi che per quanto si avvicinino sempre di più al limite non è lecito assumere, sul piano filosofico, che lo raggiungano
Ciò che permise a Newton di scavalcare il problema filosofico è costituito dal fatto che, se l’elemento di una successione si approssima sempre di più ad un determinato limite, esso raggiunge sempre certamente un valore per il quale la differenza dal limite è, a qualsiasi effetto pratico, trascurabile.
La visione di Newton permette, attraverso il concetto di limite, di suddividere una infinità di punti in altre infinità, concezione che ha portato successivamente agli spettacolari sviluppi matematici di Cantor. E’ da notare come tali sviluppi siano stati resi possibili da una ripetizione da parte di Cantor del procedimento newtoniano, cioè dall’accantonamento del problema filosofico, per andare comunque avanti, giustificando il superamento del principio di non contraddizione con argomenti pratici. In particolare egli affermava che per la validità delle sue teorie sugli infiniti era sufficiente che esse avessero una “coerenza interna”, posizione evidentemente di astensione sul fondamentale problema della coincidenza della logica, sia pure matematica, con la realtà fisica.
Gli enormi sviluppi aperti da tale invenzione di Newton, che hanno permesso un incredibile avanzamento di tutte le scienze, debbono però far riflettere sul fatto che, in fondo, essi sono stati determinati da un superamento pratico del principio di non contraddizione. Ciò particolarmente se si considerano gli ulteriori sviluppi della filosofia. Innanzi tutto la visione di Leibniz che, sviluppando e amplificando il concetto di limite, come “discreto contenente il continuo”, pervenne al concetto della monade che rappresenta tuttora un formidabile strumento di sintesi scientifica. Quindi la visione di Kant che, nello sviluppo ad essa dato da Schopenhauer, mostra il principio di ragione, entro cui si pone il principio di non contraddizione, come un elemento regolatore nell’ambito fenomenico e quindi spazio-temporale, di contenuti noumenici in cui tale principio non sussiste. Infine la visione di Hegel che fa della coincidenza degli opposti, che implica il superamento del principio di non contraddizione, addirittura l’elemento formativo della realtà.Se quindi accettiamo l’idea schopenhauriana che il principio di ragione e quindi il principio di non contraddizione, sia un momento dell’inquadramento nello spazio-tempo di elementi in cui esso non sussiste, una specie di ordine di successione di manifestazione degli opposti, allora tali opposti devono sussistere uno accanto all’altro, nell’atomo spazio-temporale, nell’infinitesimo. Ne consegue che la soluzione di Newton in cui attraverso un artificio matematico si è accettata l’esistenza di una contraddizione sul piano infinitesimale, deve portare, sul piano macroscopico, ad una alternanza di opposte determinazioni, ad una oscillazione, cosa che ci proponiamo di dimostrare attraverso il riesame di alcuni importanti risultati newtoniani.
Riesame dello studio di Newton sull’interazione gravitazionale di due gravi.           Ricordiamo, prima di iniziare tale riesame, che quando due insiemi di punti sono tali che ad ogni punto dell’uno corrisponde una infinità di punti dell’altro, si dice che il secondo insieme è infinito di ordine superiore rispetto al primo. Riprendiamo in esame una delle più importanti applicazioni di questi concetti fatta da Newton, vale a dire l’analisi del moto di allontanamento di due gravi di massa me m caratterizzato in ogni istante da un certo valore della velocità e quindi dell’energia cinetica E, della forza gravitazionale F e della distanza s. La novità dell’impostazione di Newton, connessa all’applicazione dei suoi nuovi concetti, consistette nel porre a raffronto, anziché valori corrispondenti delle variabili, il valore del gradiente di una variabile in corrispondenza di ogni valore di un’altra.In particolare, assumendo che la variazione di velocità determini una forza capace di bilanciare la forza gravitazionale,, si assume anche implicitamente che i punti velocità costituiscano un insieme infinito di ordine superiore rispetto all’insieme dei punti forza, cosicché occorre porre in relazione un gradiente, che comprende un numero infinito di punti, della velocità per ogni valore, che comporta un solo punto, della forza. Nell’ipotesi che i punti forza costituiscano un infinito dello stesso ordine dei punti distanza,, così che sia equivalente riferirsi ai punti forza o ai punti distanza, si può allora scrivere:
                                                                                                                                                       ;                                      dE = -Fds             (1)
da cui, esplicitando l’espressione della forza gravitazionale ed integrando, si ottiene la funzione dell’energia di Newton
                                                                                                                                                                                          E = -km1m2/s +C             (2)
dove k è la costante di gravitazione universale e C una costante arbitraria.Ma l’ipotesi che l’insieme dei punti forza sia un infinito dello stesso ordine dell’insieme dei punti distanza non è corretta. La forza gravitazionale presenta, in corrispondente di ogni gradiente della distanza, un gradiente più elevato e ciò, per la ipotesi di continuità che sottende al calcolo infinitesinale, implica che l’insieme dei punti forza sia di ordine superiore rispetto all’insieme dei punti distanza. La forza è, inoltre, espressione di una quantità (o gradiente) di energia impedita a manifestarsi come energia cinetica e costretta quindi a manifestarsi come quantità (o gradiente) di energia potenziale nella particolare forma (che può essere transitoria) della forza.
Poiché la presenza di una velocità e quindi di una energia cinetica implica la sostituzione dei punti spazio associati ad un altro punto (nei cui confronti sussiste) nei successivi punti tempo, cioè una operazione di moltiplicazione che si sviluppa nel tempo, la sostituzione dell’energia cinetica con l’energia potenziale implica che la moltiplicazione , impedita a manifestarsi nell tempo,, si manifesti nello spazio.
Ciò quindi implica, malgrado la difficoltà di rappresentazione (che d’altra parte si ha in tutti i casi di sovrapposizione di infinità di punti di differente ordine, ad esempio delle infinità di punti rappresentanti i numeri razionali ed i numeri irrazionali) che ad ogni punto-distanza debba essere associata una molteplicità di punti forza.
Ora, la variazione dell’energia cinetica e quindi della velocità si verifica in corrispondenza di ogni punto-forza e determina, per la definizione stessa di velocità, una variazione dell’intervallo ds percorso nell’intervallo di tempo dt. Per conseguenza, nell’ipotesi di una molteplicità di punti forza contenuti nell’intervallo elementare ds (che al limite può essere fatto coincidere con il singolo punto-distanza) la variazione della energia cinetica si verifica non solo fra gli intervalli ds relativi ai successivi intervalli temporali, ma anche nell’interno dell’intervallo ds. In altre parole, occorre prendere in considerazione una derivata seconda dell’energia rispetto alla distanza.
In conseguenza delle suddette considerazioni la funzione dell’energia che nella trattazione di Newton è data dalla (2), deve invece contenere un addendo che rappresenta l’apporto delle derivate seconde, cioé:

E = -km1m2/s + f(s) + C                 (3)

dove f(s) è una funzione crescente della distanza, il cui effetto, dipendendo dalla derivata seconda che è infinitesima di ordine superiore rispetto alla derivata prima, si manifesta su distanze di ordine superiore rispetto alle distanze su cui si manifesta -km1m2/s, vale a dire distanze molto grandi.
Ciò, nel mentre non intacca la validità dei risultati di Newton nell’ambito di distanze che non siano di ordine superiore, ha importanti conseguenze ai nostri fini. Secondo la formula di Newton (2), una volta che l’energia cinetica abbia, in corrispondenza di una certa distanza s, valori negativi (o di allontanamento) in valore assoluto eguali o superiori a km1m2/s, al crescere della distanza essa tende a zero meno rapidamente della forza gravitazionale, cosicché il moto di allontanamento diviene irreversibile. Secondo la (3) invece e sia pure nell’ambito delle distanze di ordine superiore, al crescere della distanza l’energia cinetica acquisisce una componente positiva, o di avvicinamento, che la fa tendere a zero più rapidamente dell’attrazione gravitazionale, cosicché l’inversione della direzione del moto quando l’energia cinetica si annulla si verifica sempre e necessariamente per tutti i sistemi in espansione.

Il superamento del principio di non contraddizione nell’infinitesimo porta quindi all’alternanza delle opposte determinazioni nel finito, cioè al processo dialettico di Hegel.
Come abbiamo avuto modo di mostrare, la coesistenza delle opposte tendenze nell’infinitesimo è resa possibile dalla diversa struttura infinitesimale dello spazio-tempo, della forza e dell’energia. Tali conclusioni hanno importanti conseguenze nell’ambito della fisica statistica. Secondo la formula di Newton (2), l’oscillazione sarebbe limitata al solo caso particolare di energia cinetica inferiore (in valore assoluto) al valore km1m2/s, ma non potrebbe in ogni caso emergere al livello di sistema macroscopico, cioè di sistema composto di una molteplicità di componenti per le modificazioni direzionali indotte dagli urti.
Ciò porta a definire come ipotesi fondamentale della fisica statistica la tendenza dei sistemi isolati macroscopici al cosiddetto “equilibrio statistico”, che individua una condizione di distribuzione omogenea delle variabili fisiche nel sistema. Da tale ipotesi deriva la legge dell’aumento dell’entropia , cioè dell’aumento del disordine nei sistemi isolati, che rende inspiegabili i fondamentali meccanismi di formazione dell’ordine nell’universo.
Tenendo conto della (3) invece, si ricava che i sistemi isolati, se hanno un adeguato livello dell’energia, assumono nell’ambito delle distanze di ordine superiore, che escludono un’alta frequenza di urti, una condizione oscillatoria ben differente dall’equilibrio statistico, condizione che permette la formazione dell’ordine.

Le conclusioni raggiunte in questo lavoro sono la trasposizione, nella meccanica newtoniana, di conclusioni già raggiunte da Einstein. La contrazione dell’intervallo elementare ds che dà luogo al secondo termine al secondo membro della (3), corrisponde infatti alla contrazione di Lorentz-Einstein nella sua rielaborazione consentita dalla teoria della relatività generale che stabilisce una equivalenza tra la forza gravitazionale e uno spostamento curvilineo, equivalenza corrispondente all’assunzione di un insieme di punti forza infinito di ordine superiore rispetto all’insieme infinito dei punti distanza.

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