Tale intangibilità del principio di non contraddizione ha portato il pensiero umano a dibattersi per millenni nell’ambito di contraddizioni insanabili. Tutti i grandi temi della filosofia possono infatti essere ricondotti allo scontro con il principio di non contraddizione ed è anche possibile mostrare come tali temi siano tutti interconnessi così che la soluzione dell’uno condiziona la soluzione dell’altro.
Innanzi tutto i problemi della compatibilità del continuo con il discreto, introdotti da Zenone, sono connessi con le famose antinomie della dialettica trascendentale kantiana in quanto riconducibili alla contraddizione fra la logica dell’infinito e la logica del finito cui gli stessi paradossi zenoniani conducono.
Ma anche il problema della soggettività o della oggettività della conoscenza, forse il più dibattuto da Platone in poi, è riconducibile al problema del continuo, anche se ciò può non apparire, a prima vista, evidente.
Il tentativo di risolvere il problema del continuo portò infatti Leibniz ad inventare la monade, elemento chiuso, le cui modificazioni sono esclusivamente rappresentabili in termini di introversione ed estroversione del proprio contenuto (cfr.il mio studio “Interpretazione monadistica della meccanica ondulatoria e della relatività” su Sistematica, n°1/84) che coincidono, al livello della monade complessa dello spirito, con i fondamentali momenti dialettici hegeliani in cui la sostanza si pone come soggetto o si riconosce nell’oggetto.
Questo mio lavoro si pone l’obiettivo di chiarificare ulteriormente questa connessione, cioè di mostrare più direttamente come la soluzione del problema del continuo attraverso la negazione del principio di non contraddizione porti, sul piano fisico, alla determinazione della necessità di un processo oscillatorio che coincide, sul piano logico, con il processo dialettico di Hegel.
Ciò permette di confermare sia la concezione hegeliana della coincidenza della logica con la metafisica,, riportata anzi più concretamente, come già fece Helmoltz, sul piano della fisica, sia la conseguente fenomenologia dello spirito, che vede l’alternanza delle posizioni soggettivistica ed oggettivistica.
Il problema del continuo consiste nello stabilire se la realtà sia divisibile all’infinito o se i suoi componenti elementari debbano essere considerati come elementi discreti. Il problema fu dibattuto a lungo dalla filosofia ed è tuttora attuale. Un momento importante di tale discussione fu segnato da Aristotele con la sua divisione analitica fra infinito potenziale ed infinito attuale (o completato, come anche vien detto) secondo cui il concetto di suddivisione all’infinito poteva essere assunto sul piano concettuale, o potenziale, anche se non realizzabile nella realtà. E’ da notare che tale visione aristotelica domina ancora larga parte del pensiero logico matematico se alla fine del diciannovesimo secolo Dedekind diceva che l’infinito completato non poteva avere alcuna realtà, ma era solo una “facon de parler”.
Nella sua soluzione, che segnò la nascita del calcolo infinitesimale, si assume il limite, entità discreta, come equivalente di una successione infinita di elementi che per quanto si avvicinino sempre di più al limite non è lecito assumere, sul piano filosofico, che lo raggiungano
Ciò che permise a Newton di scavalcare il problema filosofico è costituito dal fatto che, se l’elemento di una successione si approssima sempre di più ad un determinato limite, esso raggiunge sempre certamente un valore per il quale la differenza dal limite è, a qualsiasi effetto pratico, trascurabile.
La visione di Newton permette, attraverso il concetto di limite, di suddividere una infinità di punti in altre infinità, concezione che ha portato successivamente agli spettacolari sviluppi matematici di Cantor. E’ da notare come tali sviluppi siano stati resi possibili da una ripetizione da parte di Cantor del procedimento newtoniano, cioè dall’accantonamento del problema filosofico, per andare comunque avanti, giustificando il superamento del principio di non contraddizione con argomenti pratici. In particolare egli affermava che per la validità delle sue teorie sugli infiniti era sufficiente che esse avessero una “coerenza interna”, posizione evidentemente di astensione sul fondamentale problema della coincidenza della logica, sia pure matematica, con la realtà fisica.
Gli enormi sviluppi aperti da tale invenzione di Newton, che hanno permesso un incredibile avanzamento di tutte le scienze, debbono però far riflettere sul fatto che, in fondo, essi sono stati determinati da un superamento pratico del principio di non contraddizione. Ciò particolarmente se si considerano gli ulteriori sviluppi della filosofia. Innanzi tutto la visione di Leibniz che, sviluppando e amplificando il concetto di limite, come “discreto contenente il continuo”, pervenne al concetto della monade che rappresenta tuttora un formidabile strumento di sintesi scientifica. Quindi la visione di Kant che, nello sviluppo ad essa dato da Schopenhauer, mostra il principio di ragione, entro cui si pone il principio di non contraddizione, come un elemento regolatore nell’ambito fenomenico e quindi spazio-temporale, di contenuti noumenici in cui tale principio non sussiste. Infine la visione di Hegel che fa della coincidenza degli opposti, che implica il superamento del principio di non contraddizione, addirittura l’elemento formativo della realtà.Se quindi accettiamo l’idea schopenhauriana che il principio di ragione e quindi il principio di non contraddizione, sia un momento dell’inquadramento nello spazio-tempo di elementi in cui esso non sussiste, una specie di ordine di successione di manifestazione degli opposti, allora tali opposti devono sussistere uno accanto all’altro, nell’atomo spazio-temporale, nell’infinitesimo. Ne consegue che la soluzione di Newton in cui attraverso un artificio matematico si è accettata l’esistenza di una contraddizione sul piano infinitesimale, deve portare, sul piano macroscopico, ad una alternanza di opposte determinazioni, ad una oscillazione, cosa che ci proponiamo di dimostrare attraverso il riesame di alcuni importanti risultati newtoniani.
Ciò quindi implica, malgrado la difficoltà di rappresentazione (che d’altra parte si ha in tutti i casi di sovrapposizione di infinità di punti di differente ordine, ad esempio delle infinità di punti rappresentanti i numeri razionali ed i numeri irrazionali) che ad ogni punto-distanza debba essere associata una molteplicità di punti forza.
Ora, la variazione dell’energia cinetica e quindi della velocità si verifica in corrispondenza di ogni punto-forza e determina, per la definizione stessa di velocità, una variazione dell’intervallo ds percorso nell’intervallo di tempo dt. Per conseguenza, nell’ipotesi di una molteplicità di punti forza contenuti nell’intervallo elementare ds (che al limite può essere fatto coincidere con il singolo punto-distanza) la variazione della energia cinetica si verifica non solo fra gli intervalli ds relativi ai successivi intervalli temporali, ma anche nell’interno dell’intervallo ds. In altre parole, occorre prendere in considerazione una derivata seconda dell’energia rispetto alla distanza.
In conseguenza delle suddette considerazioni la funzione dell’energia che nella trattazione di Newton è data dalla (2), deve invece contenere un addendo che rappresenta l’apporto delle derivate seconde, cioé:
E = -km1m2/s + f(s) + C (3)
dove f(s) è una funzione crescente della distanza, il cui effetto, dipendendo dalla derivata seconda che è infinitesima di ordine superiore rispetto alla derivata prima, si manifesta su distanze di ordine superiore rispetto alle distanze su cui si manifesta -km1m2/s, vale a dire distanze molto grandi.
Ciò, nel mentre non intacca la validità dei risultati di Newton nell’ambito di distanze che non siano di ordine superiore, ha importanti conseguenze ai nostri fini. Secondo la formula di Newton (2), una volta che l’energia cinetica abbia, in corrispondenza di una certa distanza s, valori negativi (o di allontanamento) in valore assoluto eguali o superiori a km1m2/s, al crescere della distanza essa tende a zero meno rapidamente della forza gravitazionale, cosicché il moto di allontanamento diviene irreversibile. Secondo la (3) invece e sia pure nell’ambito delle distanze di ordine superiore, al crescere della distanza l’energia cinetica acquisisce una componente positiva, o di avvicinamento, che la fa tendere a zero più rapidamente dell’attrazione gravitazionale, cosicché l’inversione della direzione del moto quando l’energia cinetica si annulla si verifica sempre e necessariamente per tutti i sistemi in espansione.
Come abbiamo avuto modo di mostrare, la coesistenza delle opposte tendenze nell’infinitesimo è resa possibile dalla diversa struttura infinitesimale dello spazio-tempo, della forza e dell’energia. Tali conclusioni hanno importanti conseguenze nell’ambito della fisica statistica. Secondo la formula di Newton (2), l’oscillazione sarebbe limitata al solo caso particolare di energia cinetica inferiore (in valore assoluto) al valore km1m2/s, ma non potrebbe in ogni caso emergere al livello di sistema macroscopico, cioè di sistema composto di una molteplicità di componenti per le modificazioni direzionali indotte dagli urti.
Ciò porta a definire come ipotesi fondamentale della fisica statistica la tendenza dei sistemi isolati macroscopici al cosiddetto “equilibrio statistico”, che individua una condizione di distribuzione omogenea delle variabili fisiche nel sistema. Da tale ipotesi deriva la legge dell’aumento dell’entropia , cioè dell’aumento del disordine nei sistemi isolati, che rende inspiegabili i fondamentali meccanismi di formazione dell’ordine nell’universo.
Tenendo conto della (3) invece, si ricava che i sistemi isolati, se hanno un adeguato livello dell’energia, assumono nell’ambito delle distanze di ordine superiore, che escludono un’alta frequenza di urti, una condizione oscillatoria ben differente dall’equilibrio statistico, condizione che permette la formazione dell’ordine.
Le conclusioni raggiunte in questo lavoro sono la trasposizione, nella meccanica newtoniana, di conclusioni già raggiunte da Einstein. La contrazione dell’intervallo elementare ds che dà luogo al secondo termine al secondo membro della (3), corrisponde infatti alla contrazione di Lorentz-Einstein nella sua rielaborazione consentita dalla teoria della relatività generale che stabilisce una equivalenza tra la forza gravitazionale e uno spostamento curvilineo, equivalenza corrispondente all’assunzione di un insieme di punti forza infinito di ordine superiore rispetto all’insieme infinito dei punti distanza.