Sulla teoria dell’evoluzione

1- Le interazioni di forma.

Nell’ambito del processo di organizzazione dei sistemi macroscopici costituiti da atomi eguali e con alto valore dell’energia interna, l’elemento condizionante la sinergia fra elementi contigui è costituito dal possesso di un parallelismo motorio. Tale condizione, effetto dell’azione di una forza esterna che agisce con continuità sul sistema imponendo la prevalenza della sua direzione di moto, assume una frequenza di accadenza e di permanenza che, oltre un certo livello critico è capace di innescare il processo aggregativo. Tale processo è dovuto alla riduzione delle interazioni cinetiche , cioè delle forze sviluppate in corrispondenza degli urti, cui danno luogo le comuni condizioni di moto degli elementi contigui, riduzione che consente alle forze gravitazionali di svolgere la funzione aggregativa [1].
Il semplice accostamento, dovuto alle interazioni gravitazinali, non garantisce la resistenza alla disgregazione per effetto degli urti con le particelle aventi una diversa direzione di moto. Per tal motivo nelle ipotesi che si fanno circa i processi di formazione delle stelle partendo dalle nebulose si ipotizza che fra gli elementi contigui si sviluppino più forti interazioni di campo, non solo in vista del fatto che la forza esercitata dal campo gravitazionale è fortemente crescente al ridursi della distanza, ma sopratutto perché possono essere sollecitati altri campi di forza quale l’elettromagnetico che, nell’ambito delle distanze microscopiche è più intenso del campo gravitazionale. Si ipotizza quindi che una certa quota delle particelle siano nella forma di ioni che possono così dar luogo, nelle condizioni di accostamento e di parallelismo motorio, quindi ad un basso livello delle interazioni cinetiche, alla formazione di aggregati dotati di una maggiore rigidità di quelli formati per la sola azione del campo gravitazionale, aggregati che divengono poi nuclei di un più ampio processo di accrescimento per effetto dell’incremento delle forze gravitazionali dovuto alla crescita della massa. Occorre dunque distinguere il semplice accostamento o anche la semplice aggregazione superficiale dalla compenetrazione più profonda che nell’ambito degli studi astronomici è stata denominata “incollamento”.termine che anche noi adotteremo in questo studio.

E’ chiaro che questo processo di incollamento costituisce una fase fondamentale del processo organizzativo in tutte le stratificazioni in cui si articola la realtà anche se prende diversi nomi nelle corrispondenti stratificazioni della scienza. Nell’ambito della chimica le reazioni sono sempre processi di aggregazione o disgregazione e successiva aggregazione, svolte a livello di incollamento. Si tratta del fondamentale processo creativo di nuove entità reali anche se la legge di conservazione della somma massa+energia non viene violata. Ciò che infatti viene creata è una nuova “qualità” non esistente nei componenti. E’ quella che Corning definisce la “magia della natura”[2]. Dalla fusione fra ossigeno ed idrogeno nasce l’acqua che ha caratteristiche, qualità, non rintracciabili in alcun modo nei componenti.
Nell’ambito dei contesti ambientali in cui si è sviluppata la vita, i livelli della interazione cinetica fra i componenti elementari, molecole organiche complesse, costituite cioè da una molteplicità di atomi, sono tali da permettere l’accostamento senza che occorrano particolari condizioni di parallelismo motorio e sussistono anche interazioni aggregative che possono portare all’incollamento. Non intendiamo riferirci ai legami di tipo ionico o di covalenza che si sviluppano nell’ambito delle reazioni chimiche, ma a forze assai più deboli che le molecole esercitano nel loro intorno e che possono essere potenziate, quando non addirittura prodotte, da un certo tipo di penetrazione, fino al punto di determinare l’incollamento. Fra queste forze dobbiamo quindi comprendere principalmente le forze elettrostatiche generate dagli squilibri di elettronegatività degli atomi componenti la molecola ma anche altre, sia pure ancora più deboli, come le forze elettroniche di Van der Waals. La produzione di queste forze si sviluppa particolarmente nell’ambito dei composti organici del carbonio anche se una, di estrema importanza, il legame idrogeno, si forma fra le molecole dell’acqua. Come è noto, le due eliche del DNA sono tenute insieme da legami idrogeno ed alcuni di tali legami possono essere rotti, determinando la separazione di tratti della doppia elica, per effetto di forze elettrostatiche opposte generate da altre strutture molecolari.
E’ però nell’ambito dei composti organici del carbonio che si sviluppa il processo di penetrazione cui abbiamo accennato. Esso è dovuto ad un elemento inesistente nei processi di aggregazione fra componenti elementari, ma fondamentale nei processi di aggregazione fra sistemi complessi, costituito dalla forma, cioè da come si dispongono nello spazio i componenti elementari delle strutture complesse.
La forma governa lo sviluppo di forze da parte dei campi di forza interagenti fra sistemi complessi (che contengono sempre componenti rigide e componenti flessibili, sono cioè strutture stratificate) in modo così articolato da rendere praticamente infinito il panorama delle interazioni possibili fra gli elementi della realtà. Si tratta del fatto che certe strutture sono accompagnate da campi di forza prodotti dai componenti e la forma, vale a dire la particolare distribuzione spaziale dei componenti, determina una corrispondente distribuzione delle forze esercitate all’intorno delle strutture, condizione che supporta l’azione dei catalizzatori nonché dei processi di riproduzione. Quando si incontrano forme complementari, cioè forme che permettono una penetrazione reciproca di una particolare profondità, le forze di aggregazione prodotte sono pertanto anch’esse di particolare intensità.
Come è noto, l’intensità delle forze esercitate dal campo elettrostatico è direttamente proporzionale al prodotto delle cariche ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza che separa gli elementi tra cui tale campo agisce (legge di Coulomb). Quindi, l’intensità dell’azione esercitata da un sistema su un sistema esterno è pari alla somma dell’attrazione esercitata da tutte le combinazioni binarie costituite dagli elementi dei due sistemi ciascuna proporzionale al prodotto delle cariche e inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Naturalmente forze significative ai fini dello sviluppo di processi di aggregazione e incollamento si realizzano per distanze fra gli elementi corrispondenti dei due sistemi piccolissime, dello stesso ordine delle distanze intramolecolari, poiché aumentando la distanza fra gli elementi interagenti, l’effetto della forma scompare e i due sistemi cessano allora di interagire come sistemi complessi.
Quindi lo sviluppo della interazione di forma fino ad una dimensione critica che abbiamo definito di incollamento richiede una “compenetrazione”, ossia l’accostamento dei componenti dei sistemi interagenti non limitata a pochi componenti, ma che si estenda fino a raggiungere la detta dimensione critica. Per raggiungerla, gli elementi dei due sistemi devono avere dimensione similare e i sistemi devono avere forme “complementari”, ossia ad una preminenza dell’uno deve corrispondere una cavità dell’altro e viceversa. Ciò implica che lo sviluppo delle interazioni di forma non è una caratteristica di un singolo sistema, per quanto complesso, ma è una caratteristica di una specifica coppia di sistemi, una interazione selettiva, legata al riconoscimento di una informazione specifica.
Torniamo adesso alla considerazione che certi componenti elementari delle macromolecole biologiche sono accompagnate da campi di forza elettrostatici il che implica che l’attrazione esercitata su cariche di segno opposto non si sviluppa in un’unica direzione, ma agisce con egual forza in tutte le direzioni con simmetria sferica. L’interazione di forma che si raggiunge al livello dell’incollamento è caratterizzata dunque dal fatto che ogni componente interagisce con tutti gli altri componenti. Ciò comporta che l’interazione può essere modulata mediante opportuni spostamenti dei componenti e ciò comporta che ne viene variata non solo la forza complessiva di aggregazione ma anche il tipo di oggetto che può essere aggregato che deve avere la forma complementare alla forma definitiva raggiunta dalla struttura modulata.
La forma del sistema influenza non solo la dimensione della forza di aggregazione complessiva, ma anche la distribuzione della capacità di interazione di ogni componente con gli altri componenti. E’ ovvio infatti che se tutti i componenti di un sistema sono disposti lungo una linea retta, i componenti posti all’estremità del segmento avranno una interazione reciproca rapidamente decrescente con l’aumento della reciproca distanza e quindi assai minore di quella che si verificherà fra componenti posti nelle zone centrali. Se invece i componenti sono disposti lungo una circonferenza, la più equa distribuzione dell’interazione reciproca, naturalmente a parità dei campi di forza associati ad ogni componente, risulta di immediata evidenza
In definitiva, noi possiamo considerare il campo di forza associato ad un oggetto come rappresentazione dell’esistenza di un “collegamento” fra l’oggetto ed ogni punto del campo e la interazione che si sviluppa fra due oggetti lungo la congiungente come conseguenza della sovrapposizione dei due campi associati.
La interazione fra i componenti di un sistema dà quindi luogo in ognuno di essi ad un processo di composizione delle forze che agiscono su di esso e per conseguenza all’emissione di forze nelle linee di connessione che avranno in genere una distribuzione dimensionale diversa da quella delle forze entranti. Ogni variazione prodotta da una forza esterna nel processo di composizione che si svolge in un componente si riflette in una variazione indotta in tutti gli altri e si innesca per conseguenza una variabilità “configurale” ossia della forma dell’intero sistema che tende, in assenza di nuove azioni provenienti dall’esterno e per il principio della tendenza all’omeostasi, ad una forma cui corrisponde un assetto definitivo di equilibrio dell’intero sistema.
E’ allora chiaro che anche il più piccolo spostamento di un componente del sistema, con la conseguente variazione dell’intensità dell’interazione, si rifletterà sugli equilibri indotti in ogni componente e quindi sull’assetto globale. Naturalmente, in sistemi complessi costituiti da un numero estremamente grande di componenti, la variazione di un solo componente avrà un effetto infinitesimo e quindi trascurabile, ma quando la somma di più variazioni raggiunge un certo valore critico, la variazione globale del sistema diviene visibile.
Quindi, nella condizione da noi esaminata, la disposizione dei componenti determina la forma del campo di forza somma dei campi di forza associati a ciascun componente e ciascun componente interagisce con tutti gli altri dando luogo ad una rete complessa di interazioni i cui punti nodali sono costituiti dai componenti del sistema. Si determina così ovviamente in essa anche una forma interna, costituita dalle variazioni di “forza aggregativa”, che possiamo anche chiamare rigidità, dovute alla diversità di sovrapposizione dei campi e quindi delle interazioni nelle varie zone del sistema.
Tale condizione dà luogo alla formazione di una unità organizzativa che è caratterizzata non solo dal fatto che tutti i componenti sono interconnessi, ma anche che, per effetto della stratificazione di rigidità interna, sussistono vincoli ai movimenti individuali che permettono di definire un’attività funzionale del sistema.
Essa non è che l’espressione paradigmatica di una più ampia classe di interazioni di forma, resa possibile dalla complessità della struttura, ossia dalla sua natura di “composto” di una molteplicità di componenti. Anche le interazioni fra sistemi complessi non microscopici sono sempre influenzate dalla forma dei sistemi, sia esterna che interna, (che comprende struttura di rigidità e quindi capacità di sviluppare forze) e la modifica del disegno porta ad una modifica della struttura delle interazioni. La differenza con le interazioni che si verificano fra sistemi microscopici sta nel fatto che nei sistemi non microscopici il disegno è generalmente separato dallo sviluppo dell’energia che avviene esclusivamente in particolari nodi o gruppo di nodi della rete delle interazioni.
Il trasporto dell’informazione in input, cioè del disegno iniziale, può avvenire infatti attraverso mezzi che richiedono un supporto minimo di energia, quali le onde elettromagnetiche, le onde acustiche, i conduttori elettrici ecc, mentre lo sviluppo di energia “effettrice”, cioè la “conversione” dell’energia informativa in energia effettrice, avviene in particolari nodi della rete e ciò porta ad un enorme allargamento del campo delle interazioni di forma che possono esercitarsi anche fra elementi posti a grandi distanze.
Naturalmente, a noi interessano particolarmente le interazioni in cui l’azione effettrice finale viene esercitata da organi biologici. Un esempio importante nel campo psicologico è costituito dai richiami, cioè dallo sviluppo di energia (sollecitazione di un impulso) in corrispondenza di specifiche informazioni sensorie, quali sono i richiami infantili, sessuali e sociali. In questo modo si sviluppano campi di forza di tipo “specialistico” cioè limitati ad una certa categoria di oggetti che posseggono determinati elementi di forma che ne costituiscono la password, come è evidente negli impulsi cui abbiamo accennato, ma che vale per tutti gli impulsi umani. Tale password può svolgere la sua funzione anche se gli elementi di decrittazione sono posseduti in numero parziale , ma gli effetti saranno di minore intensità, come avviene nella capacità di attrazione (e di repulsione) sessuale che varia molto da un individuo all’altro.
Nelle interazioni di forma di grande distanza, la modulazione della interazione (la “commutazione”) può avvenire anche durante il trasporto. Ad esempio nel trasporto tramite un flusso di energia elettrica che percorre dei conduttori è sufficiente inserire nel percorso degli interruttori che consentono di deviare la direzione dl flusso di energia, come avviene nelle reti telematiche.
La differenza rispetto alla modulazione che avviene fra le molecole organiche è costituita dal fatto che gli interruttori inseriti nelle reti telematiche sono di tipo binario, consentono cioè solo due alternative di percorso che equivale alla connessioine con solo due punti successivi mentre ogni componente di una interazione di forma che si svolga a livello microscopico fra molecole organiche può in potenza stabilire la connessione con tutti i punti del campo, costituisce cioè un interruttore con infinite alternative direzionali. Considerando inoltre che può spostarsi e che ad ogni spostamento corrisponde una modulazione anche della dimensione del flusso, è facile comprendere che alla interazione di forma a livello molecolare corrisponde una enorme capacità di commutazione non confrontabile anche con le più avanzate applicazioni computazionali odierne. L’argomento è ripreso in un altro mio lavoro [4].
La forma non riguarda esclusivamente la disposizione nello spazio,il disegno, seguito dai componenti, ma anche la disposizione nel tempo, la successione con cui si susseguono le interazioni. Anche l’intelligenza non fa che ricercare forme diverse, fino a ritrovare quella che sviluppa la richiesta interazione. Come infatti la forma di un oggetto complesso è determinata dal modo come gli oggetti elementari che lo compongono sono disposti, così il ragionamento è costituito dal modo con cui le connessioni logiche elementari, di origine istintuale (legate a contiguità spazio-temporali memorizzate) sono disposte in successione [4].

2 – La commutazione evolutiva.

E’ visione comune in ambito scientifico che il processo di nascita della vita abbia comportato la concentrazione in adatte località di molecole organiche che non abbiano raggiunto una condizione di equilibrio stabile ma si mantengano invece in una continua condizione di trasformazione con lo svolgimento di una infinità di fusioni, scissioni e riaggregazioni, condizione a cui è stato dato il nome di “caos molecolare del brodo primordiale”. Tale condizione è dovuta alla debolezza dei legami, al fatto che tale debolezza si presenta con una gerarchia di valori, che la gerarchia è sconvolta dall’intervento di una molteplicità di variabili, alcune delle quali hanno un andamento oscillatorio, così determinando un mutamento ciclico delle condizioni di sopravvivenza delle strutture con i legami più deboli che costituiscono parti essenziali degli organismi viventi. La permanenza delle condizioni di sopravvivenza di queste strutture è legata alla realizzazione di situazioni particolari, come l’annidamento in uno spazio protetto da pareti costituite da sostanze a legami forti o la formazione di strutture complesse in cui gli elementi protettivi facciano parte della propria organizzazione.
Per determinare lo sviluppo della vita occorrono quindi innanzi tutto una serie di condizioni che permettano la formazione delle strutture a legami deboli quali un’agitazione termica in un mezzo liquido che porti a modificare la posizione relativa delle molecole e quindi a variazioni dei contatti che comportano reazioni di aggregazione e successivamente mezzi di protezione per evitare la strage dovuta non solo alla predominanza dei legami più forti, quindi con più forte potere di sostituzione nell’abbraccio molecolare, ma anche alla mancata resistenza di molti legami deboli all’escursione termica. Occorre inoltre la presenza degli elementi necessari a realizzare tutta la serie di trasformazioni da cui si è sviluppata la vita, carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno, fosforo, zolfo, nonché di adeguate forme di energia.
Non è nostro interesse , né sarebbe possibile allo stato delle conoscenze scientifiche sull’argomento, entrare nei dettagli dell’evoluzione subita dal brodo primordiale. Noi possiamo partire, nella prosecuzione del nostro discorso, dalla semplice ed incontrovertibile constatazione che dal caos primordiale sono emerse gradualmente strutture in cui si verifica una grande sopravvivenza e addirittura sviluppo dei componenti con i legami più deboli, suscettibili di interazione di forma, in quanto protette da barriere esterne più rigide, cioè le cellule.Da queste ultime poi, per successivo incollamento, sono nate le strutture pluricellulare degli animali in cui le barriere difensive raggiungono il massimo livello.
Noi possiamo immaginare che, nel processo di replicazione che ha strutturato una specie, nel genoma di ogni individuo ottenuto sia inserita l’amplificazione delle dimensioni o delle capacità funzionali di un organo. Poiché la funzionalità del sistema richiede una condizione di precisi rapporti fra gli organi, condizione che definiamo di equilibrio, lo sviluppo delle dimensioni e delle capacità funzionali di una molteplicità o addirittura della totalità degli organi sarebbe impedito dallo sviluppo di forze antagoniste volte a mantenere l’equilibrio delle componenti e la dimensione dell’insieme ai valori che ne hanno determinato la sopravvivenza. Noi dunque supporremo che le funzionalità del sistema specie tolleri una certa variabilità dimensionale di una frazione assai limitata degli organi di ogni singolo individuo. Tale tolleranza può essere distribuita fra i vari organi e funzioni nei vari esemplari della specie, così che in definitiva nella specie vi siano per ogni funzione individui che possono svolgerla meglio degli altri e possono quindi rispondere meglio degli altri a una determinata azione selettiva.
Ora, noi abbiamo visto che fra gli esseri unani sono possibili interazioni di forma mediate , oltre che dal diretto contatto, da diversi mezzi di trasporto. Non sono però possibili interazioni che involvano il DNA, in cui sono contenute le informazioni strutturali del sistema.
La completa assenza di interdipendenza nei confronti delle interazioni di forma genetiche fra i componenti di una specie animale urta però contro i meccanismi accertati dell’evoluzione, anzi addirittura dei processi organizzativi più generali dei sistemi complessi. Infatti, se le varietà che realizzano una diversità di risposta alla selezione nell’ambito di una specie fossero indipendenti, costituissero cioè un semplice insieme, le varietà resistenti ad una certa azione selettiva potrebbero occupare lo spazio reso libero dalla selezione, ma non potrebbero dar luogo ad alcun meccanismo di trasformazione quale è il processo evolutivo. Perché si verifichi una evoluzione le varietà devono costituire un sistema, deve cioè sussistere fra di esse una interdipendenza.
Qualsiasi mutamento del disegno costruttivo contenuto nel DNA non può che avvenire in sede di replica; è pertanto solo sede di relazione generazionale che si verifica la interdipendenza sistemica. Se in un locus protetto da disturbi esterni si concentrano le sostanze necessarie a realizzare la replica e in esso pervengono gli elementi genomici di due individui differenti in esso si realizza la fusione dei due genomi e le caratteristiche dell’individuo risultante saranno l’espressione della interazione fra i due patrimoni genetici delle cellule genitrici.
La sopravvivenza alla selezione implica dunque l’esistenza di un “potenziale antiselettivo” posseduto dai sopravvissuti che costituisce un elemento di potenziale sinergia fra di loro, per la cui esplicazione, che comporterebbe l’aumento della capacità di resistenza all’azione selettiva, occorrerebbe la fusione dei relativi genomi, condizione che, come abbiamo già visto, può essere realizzata solo in fase di costruzione di un nuovo individuo, ove tale costruzione comporti l’incontro di due diversi individui portatori dello stesso potenziale antiselettivo.
Il rafforzamento del potenziale antiselettivo che si realizza nel figlio permette di rafforzare la condizione di sopravvivenza che può essere inizialmente assai fragile e di mantenerla anche qualora le condizioni ambientali non rimangano stazionarie ma si determini invece un aumento di forza dell’azione selettiva, purché ciò avvenga con una velocità uguale o inferiore a quella del processo di rafforzamento della resistenza.
Tuttavia, all’attività dei potenziali che permettono la sopravvivenza ad una azione selettiva non corrispondono a livello fenotipico forze che determinino l’incontro degli individui portatori, necessario per portare l’interazione a livello del DNA della cellula figlia. Le specie che si sono sviluppate maggiormente sono perciò quelle in cui l’incontro fra gli individui si realizza comunque, indipendentemente dall’esistenza di una azione selettiva, dando luogo ad un individuo in cui si realizza la fusione del DNA, cioè le specie in cui la riproduzione avviene per via sessuale.
E’ chiaro che ove l’attività selettiva non sussista l’incontro di due componenti portatori di una eguale potenziale darebbe luogo ad un rafforzamento non necessario. Il semplice incontro non deve quindi dar luogo ad alcun rafforzamento (o dà luogo ad un rafforzamento infinitesimo, quindi trascurabile). Se invece l’attività selettiva sussiste, l’incontro di due componenti dotati del comune potenziale antiselettivo diviene più frequente e quindi più frequente anche la ripetizione della coincidenza nei successivi processi riproduttivi nella linea di discendenza. Il rafforzamento avviene dunque quando la frequenza di ripetizione raggiunge un certo valore critico che rende minima la probabilità di casualità nella comunione del potenziale (valore raggiunto anch’esso per via selettiva)[5].
Ovviamente ciò comporta che nel genoma debba sussistere un meccanismo che memorizza le ripetizioni, ma tale meccanismo è insito nelle interazioni di forma che, come avviene nel DNA, si svolgono fra sistemi costituiti da una grande quantità di componenti, quindi estremamente complessi. In seguito alla realizzazione della coincidenza di un potenziale questi sistemi subiscono variazioni infinitesime della posizione di uno o più componenti, variazioni quindi singolarmente trascurabili, sia per quanto riguarda l’effetto della variazione della forza sviluppata dal singolo componente sull’assetto complessivo del sistema, sia per quanto riguarda la variazione stessa della forza sviluppata dal singolo componente in seguito alla variazione di posizione nel campo di forza elettrostatico generatore delle forze deboli. Queste variazioni, tuttavia, sono permanenti e ciò rende sommabili le successive mutazioni fintanto che il numero delle mutazioni elementari non raggiunga un certo livello critico che porta ad un importante variazione dell’assetto. Il processo, che possiamo chiamare di sommatoria di informazioni non riconoscitive fino al raggiungimento del livello di riconoscimento è simile a quello che ho mostrato per il meccanismo di discernimento del cervello attraverso l’accumulo di informazioni non riconoscitive nelle sinapsi fino al raggiungimento del livello di riconoscimento [4].
E’ chiaro a questo punto che questo meccanismo comporta la morte dei genitori o almeno la perdita ad una certa età della capacità generatrice. Infatti, ai fini del raggiiungimento del livello critico di riconoscimento, l’incontro fra individui generati in seguito a diversi cicli riproduttivi ha una valenza maggiore di quello fra individui generati in seguito mad un minor numero di cicli riproduttivi, cosicché la permanenza nella attività riproduttiva per più generazioni rende più lento e meno efficace il processo evolutivo [5 ].
Come tutti i sistemi complessi anche il genoma deve avere una struttura a strati di diversa rigidità, cioè che sviluppano una diversa forza di resistenza alle modificazioni. Gli strati più rigidi richiedono un più alto livello critico di riconoscimento e per conseguenza un tempo più lungo per raggiungerlo, cioé una maggiore gradualità di realizzazione.
Il sistema di interdipendenze interne ad una specie è idealmente rappresentabile, nella sua forma più complessa come una rete “stratificata” nei cui nodi, costituiti dai genomi individuali, si realizza la regolazione di un flusso informativo in entrata trasmesso dalle cellule generatrici al momento della fecondazione ed il risultato trasmesso in uscita ad un nodo successivo al momento dell’accoppiamento. Lo schema è similare a quello del cervello se consideriamo che quest’ultimo coordina le componenti della risposta agli stimoli esterni eseguibile a livello ontologico ed il genoma quelle realizzabili a livello genetico [6].
La similarità del processo nei due casi permette di mostrare come, nell’ambito dei diversi circuiti della rete, si possono memorizzare esperienze elementari evolutive (nella forma di energie potenziali non giunte al livello critico di scarico) che possono confluire in un unico nodo di scarico dando luogo a risultati evolutivi che sembrano contraddire il principiodi continuità del processo evolutivo e che riuniscono linee evolutive apparentemente prive di una aprioristica sinergia [4]. Da notare che l’intelligenza della rete genetica è assai superiore a quella dell’individuo perché quest’ultima è basata su interruttori con un numero finito di alternative, mentre quella della rete genetica è basata su interruttori a numero infinito di alternative.
L’innesco del processo di modificazione della struttura viene dunque indotto e guidato dalle interazioni di forma a livello genetico, ma anche lo sbocco può essere la crescita della potenzialità di produrre certe interazioni di forma all’interno della struttura prodotta.Ad esempio la capacità di produrre ragionamenti più lunghi, cioè contenenti un maggior numero di passaggi elementari, condizione che richiede il rafforzamento della permanenza dei passaggi, cioè della loro memoria e che può dar luogo ad una più efficiente interazione di forma con un oggetto.

3-Evoluzione lineare ed evoluzione non lineare.

Abbiamo esaminato un processo evolutivo in cui l’elemento selettivo, pur cambiando di dimensioni, mantenga la sua direzione ed in cui inoltre la velocità di aumento della sua forza non sia superiore alla velocità di modificazione del’assetto genico, che si svolge su più generazioni. Se sono verificate queste condizioni ci si trova di fronte ad un processo evolutivo lineare. Si possono però anche verificare processi evolutivi non lineari, caratterizzati dal fatto che la forza selettiva cambia decisamente di direzione, ponendo in opposizione i nuovi ed i vecchi potenziali antiselettivi del sistema e rendendo obsolete precedenti strutture del sistema cui i vecchi potenziali avevano dato luogo.
In questi casi gli esiti del processo di adattamento alle nuove condizioni possono essere i più diversi; possono mancare gli adeguati potenziali antiselettivi e può essere insufficiene la velocità del loro rafforzamento così che in definitiva il tasso di sopravvivenza si deteriora e ne può risultare l’estinzione della specie. Naturalmente è impossibile modificare le strutture più rigide del sistema che realizzano elementi fondamentali di difesa aspecifica, frutto di milioni di anni di processo evolutivo, ma vi sono stratificazioni di rigidità intermedia che possono subire degli aggiustamenti. Ovviamente, trattandosi di modificare strutture aventi un certo livello di rigidità, occorrono più ripetizioni e quindi più tempo per la modificazione dell’assetto del sistema e ciò quindi richiede che la velocità di incremento della forza del nuovo elemento selettivo sia ancora più basso.
Il risultato è la perdita o la riduzione di alcune capacità e l’acquisizione o il potenziamento di altre. E’ in questo modo che il nostro progenitore australopiteco ha perso a capacità di fare quei grandi salti, veri e propri voli, da una cima all’altra dei grandi alberi della foresta, dove viveva sicuro, irraggiungibile dai predatori, ha perso la disponibilità della coda prensile che gli permetteva di dormire appeso ai rami, ha perso la disponibilità del cibo che la natura gli offriva gratuitamente nei frutti degli alberi. E’ stato invece schiacciato al suolo dove muoversi strisciando come un verme, dove è diventato cibo dei grandi predatori della savana, condannato a vivere nella poaura divenuta una componente fondamentale e continua dell’esistenza e a procurarsi il cibo con fatica, a nutrirsi del sangue degli altri animali.
Considerato da un certo punto di vista questi cambiamenti potrebbero essere considerati una perdita di qualità della vita, ma l’evoluzione non riconosce valore alle qualità se non come fattori di sopravvivenza; la bellezza , in cui si esprime la qualità desiderabile, è un prodotto dell’evoluzione, una spinta verso più alti valori della qualità che ha determinato la sopravvivenza , cos’ che per l’animale coprofilo la cosa più bella del mondo è la merda. Come recita un antico detto popolare napoletano “ogni scarafone è bello a mamma soia”.

3- La Bellezza

La bellezza non esiste nelle cose del mondo.
E’ una fragile creazione dell’anima
E’ la misura, nata dal dolore,
dell’amabilità delle cose che permisero,
in un tempo lontano,
il fluire della vita.
E’ il desiderio che le cose si muovano
verso la lontana spiaggia
di una irraggiungibile sicurezza dove,
come salmone alla fonte
l’anima possa riposarsi
e morire.
E’ bisogno d’amore,
una fame antica che non può essere saziata
dalle cose immobili, né dagli uomini fermi,
tutti in attesa dell’amore altrui.
Tributo di morte alla vita della nostra specie,
gran fuoco di mezza estate
dove la bellezza è nella fiamma ardente
e noi siamo i tizzoni e veniamo consunti
da quest’ansia assurda
che ci alberga nel cuore.

Riferimenti bibliografici

[1]- Firrao S.: La formazione dell’ordine nei sistemi isolati macroscopici, Studi sui sistemi complessi, ISBN: 978-1-4476-9406-5 Initial Formation of Order in Isolated Macroscopic Systems, Cybernetica, XXXIII, 2, 1990
[2]- Firrao S.: L’associazione stimolo-risposta nelle reti stratificate, Studi sui sistemi complessi, op.citata Il processo di associazione stimolo-risposta nelle reti stratificate, V Meeting di Neuroriabilitazione, Clinica Neurologica della II facoltà di Medicina, Napoli, 6-7 ottobre 1989, Europa Medicophysica, XXV, 4, 1989
[3]-Firrao S.: Controllo statistico della qualità, Cap. 1, Politecnico di Milano, Corso di perfezionamento in industrie tessili, 1968
[4]-Firrao S.: La fisica dell’amore, permalink:
http://www.complexsystems.it/index.php/2012/10/la-fisica-dellamore-2/
[5]-Firrao S.:Interpretazione cibernetica del pensiero, Quaderni di Cibernetica, 7, 1990.
[6]- Firrao S.: La formazione di equilibri dinamici in sistemi in disequilibrio. Studi sui sistemi complessi, op.citata Dynamic Equilibria Generation in Non-Equilibrium Systems, Cybernetics and Systems,, 22, 25-40, 1991
[7]–Jaynes E.T.: Where do we Stand on Maximum Entropy? In The Maximum Entropy Formalism, R.D.Levine and M. Tribus eds., MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 1979
[8]- Prigogine I., Nicolis G.:Self-Organization in Non-equilibrium Systems, Wiley, New York, 1982
[9]-Firrao S.: Stratification of Feedbacks Circuits in Evolution Structures, Quaderni di Cibernetica, 8, 1991
[10] -Dover G.A: The Spread and Success of Non-Darwinian Novelties, in Evolution
[11] – Haken H.: Information and Self-Organization (Series in Synergetics, vol. 40) Springer Verlag, New York, 1988
[12]-Prigogine I., Stenger I.: Order Out of Chaos: Man’s New Dialogue with Nature, Bantam Books, New York, 1984
[13]-Firrao S.: On the applicability in Biology of the Theory of Self-organization of the Systems, Cybernetica, XXXV,1, 1992

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