L’associazione stimolo-risposta nelle reti stratificate.

Premessa

Questo lavoro illustra bene la enorme superiorità conoscitiva connessa alla riconduzione dell’universalità della conoscenza alla fisica sperimentale. Essa parte da un sistema che sia un oggetto fisico, lo smonta nei suoi componenti che possono anche essere sottosistemi, ma ben individuati nelle loro caratteristiche fisiche, e formula delle ipotesi circa le loro interazioni controllabili sperimentalmente o riconducibili a risultati ottenuti in un contesto più generale, rimontando poi l’oggetto, parzialmente o totalmente, ove ciò sia reso possibile dagli strumenti tecnologici a disposizione.

Non è sufficiente che un insieme di oggetti, sia pure numerosi, si muovano ordinatamente all’interno di un certo volume spaziale, con livello minimo di entropia, perché si possa parlare di sistema complesso. Esso deve comportarsi come una unità e a tal fine i componenti devono essere legati da una rete di interazioni, condizione che permette di assumere come paradigma del sistema complesso una rete nelle cui canalizzazioni fluiscono flussi di energia e nei cui nodi tali flussi vengono modulati secondo un certo numero di variabili.

Al fine di dimostrare questo importante concetto mostriamo come già lo studio di un tipo semplice di rete, quella telefonica, svolto al fine di migliorarne l’efficienza economica, abbia portato a definire una proprietà fondamentale delle reti, la ridondanza, che svolge la stessa importante funzione, di massimizzazione del quantitativo di informazione elaborata, cioè della capacità di commutazione, nel cervello. Mostriamo quindi come la capacità di commutazione cresca quando il sistema è costituito da una rete stratificata secondo i livelli dell’energia che vi fluisce e i nodi sono costituiti da interruttori multidirezionali, cha abbiamo chiamato interruttori stellari Con l’introduzione ulteriore dei flussi di retroazione, fondamentali per il funzionamento di qualsiasi sistema, di certe strutture reticolari che agiscono come campi di forza che indirizzano i flussi di energia che attraversano il sistema, infine della informazione elementare non riconoscitiva, è possibile delineare una struttura che ha i più importanti attributi del cervello.

Questo lavoro è la rielaborazione di una relazione tenuta al 5° meeting di neuroriabilitazione indetto dalla Clinica Neurologica della 2a facoltà di medicina di Napoli, il 6/10/1989 pubblicato su Europa medicophysica, vol. XXV, n.4, 1989

1-La teoria delle reti telematiche.

Nella forma più semplice una rete è costituita da due fasci di linee parallele che si incrociano secondo una certa angolazione, ad esempio, come è mostrato nella figura 1, ad angolo retto. In essa i punti di intersezione vengono chiamati nodi e le linee che li collegano connessioni. Tale struttura geometrica permette di collegare uno qualsiasi dei punti posti su uno dei lati della figura, che vengono chiamati di input, con uno qualsiasi dei punti posti in un altro lato, che vengono chiamati di output, attraverso una molteplicità di percorsi alternativi fra le connessioni.

Evidentemente, perché la figura geometrica abbia un significato sul piano fisico, noi supporremo che le linee siano costituite da conduttori in cui può fluire un flusso di energia ed i nodi siano degli interruttori che permettono di deviare il flusso di energia in direzioni alternative. Una simile rete viene chiamata rete di commutazione. Nell’esempio riportato in figura, in ogni nodo confluiscono quattro segmenti; uno di essi è il canale di adduzione o di input e gli altri tre sono i canali di deflusso o di output; la rete rappresentata in figura 1 è quindi una rete con interruttori tripolari o a tre vie. In essa il flusso di energia può essere deviato in ogni nodo secondo tre direzioni alternative.

Non è però difficile immaginare e rappresentare una rete ad interruttori bipolari, in cui in ogni nodo confluiscono tre linee, una di adduzione e due di deflusso, o nodi ad Y, mentre non è necessario immaginare o rappresentare una rete con interruttori con un numero qualsiasi di vie di afflusso e di deflusso, o interruttori stellari, perché Voi che mi ascoltate ne avete quotidianamente esperienza; il cervello è infatti il più perfetto esempio che si possa porre di una rete ad interruttori stellari.

 

Ora, la situazione rappresentata dalla figura 1 non implica che in ogni nodo si abbiano tre direzioni alternative di output; è possibile immaginare che le direzioni possibili di output siano solo due, mentre la terza può non esistere come possibilità o essere inibita.

Ad esempio si può immaginare che i punti indicati con la lettera x in figura rappresentino le chiamate in arrivo in una centrale telefonica, mentre i punti indicati con y rappresentino i diversi abbonati alla centrale stessa. Si può immaginare che ad ogni chiamata in arrivo venga assegnata una linea x o linea principale e che in corrispondenza di ogni interruttore la chiamata possa deviare verso sinistra, se incrocia la linea y dell’abbonato, o proseguire verso l’alto alla ricerca della linea dell’abbonato. Una simile rete viene detta ad incroci.

Consideriamo in via di esempio una simile rete con N linee principali e N abbonati. Con ogni linea si possono fare evidentemente N chiamate, cosicché con le N linee si possono fare NxN = N2 chiamate ed occorrono, altrettanto evidentemente, N2 interruttori. Se adesso raddoppiamo il numero delle chiamate smistabili dalla rete portandole a 2N, il numero di interruttori necessario diviene (2N)2= 4N2 cioè quadruplo. Il raddoppio della capacità di smistamento di una rete ad incroci porta alla quadruplicazione della dimensione della rete. Una rete ad incroci implica cioè una diseconomia di scala che porta rapidamente a valori insostenibili il costo di ogni allacciamento supplementare.

Come è evidente, il problema di progettare reti che consentissero un egual numero di chiamate con un minor numero di componenti è stato il problema principale da risolvere per le compagnie telefoniche, giacché la sua soluzione si riflette immediatamente in termini di costo di impianto e di esercizio delle reti. Il primo progresso in tal senso si è avuto intorno agli anni 50 dello scorso secolo ad opera di Charles Clos dei Bell Laboratories.

Il progetto di Clos è basato sull’idea di costruire una rete di grandi dimensioni a partire da reti minori, dette sottoreti. Secondo questo progetto gli abbonati sono suddivisi in gruppi di piccole reti anziché in una rete unica e la chiamata giunge alla sottorete di destinazione passando per altre sottoreti di smistamento, disposte secondo tre livelli. Ogni chiamata può seguire uno degli svariati percorsi alternativi tra le reti di smistamento ed è possibile che diverse linee abbiano in comune degli interruttori. Con le reti di Clos, la dimensione del numero degli interruttori aumenta con il numero delle chiamate secondo l’esponente 1,5 anziché 2; si dice cioè che nelle reti di Clos l’ordine del numero di interruttori è 1,5.

Per quanto attiene alle applicazione che potremo fare di tali concetti alla struttura del cervello, ci interessa sottolineare come le sottoreti di smistamento sono come dei grossi interruttori a più vie interposti nel flusso comunicativo. E ci interessa soprattutto sottolineare la generalizzazione che può farsi del risultato secondo cui l’aumento di efficienza di una rete, cioè della sua capacità di commutazione, (vale a dire del numero di chiamate che possono essere smistate con un certo numero di interruttori), si ottiene strutturando percorsi alternativi per la singola chiamata attraverso l’intermediazione di interruttori o sottoreti di smistamento a più vie, ossia determinando una “ridondanza” che appare, per la singola chiamata, tutto l’opposto dell’efficienza, uno spreco.

Il trasferimento di tali risultati alla specifica rete costituita dal cervello ci permette di affermare che la rete di collegamenti fra organi sensori ed organi operativi assume la capacità di convogliare un maggior numero di informazioni se la connessione è fatta tramite l’ intermediazione di gruppi di reti intermedie di smistamento, nonché di interruttori a più vie, nell’ambito delle quali siano possibili percorsi alternativi del flusso informativo. La possibilità di generalizzare tale risultato scaturisce in maniera incontrovertibile dagli ulteriori sviluppi della teoria delle reti, sia per quanto attiene ai progetti presentati o realizzati di reti economiche, tutti basati sull’ampliamento della capacità di percorsi alternativi e quindi di ridondanza del singolo processo comunicativo, sia per quanto riguarda gli sviluppi teorici veri e propri dovuti soprattutto a Shannon.

L’ordine del numero degli interruttori è stato infatti ulteriormente ridotto, rispetto a quanto ottenuto inizialmente da Clos, da David G. Cantor dell’Università della California, aumentando il numero dei livelli delle reti di smistamento e riducendo la dimensione delle reti, cioè con la tecnica detta ricorsiva, che implica quindi un aumento della ridondanza, e ciò fino ad un punto in cui il proseguimento in tale direzione non è più risultato conveniente. Il vantaggio differenziale dovuto alle alternative di percorso si riduce infatti gradualmente con l’aumento del numero delle sottoreti fino a scomparire del tutto se si utilizzano sottoreti ad incroci, quindi con interruttori binari. Il vantaggio massimo richiede che siano aumentate le alternative al livello del singolo interruttore oltre che al livello di sottoreti di smistamento, cosa realizzata nel cervello, dove gli interruttori sono”stellari”. La assoluta generalità di tale risultato può essere dimostrata utilizzando un teorema dovuto a Claude E. Shannon, lo stesso che ha introdotto, negli anni 30, la teoria dell’informazione. Esso mostra che nessun sistema di commutazione basato su interruttori binari può essere esente da diseconomie di scala.

Nell’ambito della teoria delle reti si intende per stato di una rete la configurazione degli interruttori aperti o chiusi in un determinato istante. Shannon dimostra innanzi tutto che una rete che possa trattare N chiamate deve poter assumere almeno N! stati differenti. Consideriamo la rete quando non vi sono chiamate in corso. Una chiamata in arrivo sulla prima linea principale può essere collegata a ciascuno degli N abbonati. Se arriva un ‘altra chiamata sulla seconda linea principale prima che la precedente sia terminata, essa può essere connessa a ciascuno degli N-l restanti abbonati, se arriva una terza chiamata sulla terza linea principale prima che le prime due siano terminate, essa può essere connessa a ciascuno degli N-2 restanti abbonati e così via fino a che una chiamata in arrivo sull’ultima linea principale può essere trasmessa solo all’ultimo abbonato ancora libero. Il risultato può essere generalizzato a qualsiasi tipo di rete e nelle condizioni più diverse nel senso che l’aumento del numero di terminali eccitati provoca una diminuzione del numero dei gradi di libertà di cui gode il sistema.

Il numero delle possibili sequenze di destinazioni per N chiamate è:

Nx(N-l)x … x1 = N!

Quindi ci sono N! differenti stati in cui si può trovare la rete, ovviamente con tutte le linee in funzione. Shannon dimostra poi che una rete con s interruttori non può assumere più di 2s stati.  Poiché un singolo  interruttore può essere pensato come una sottorete a due stati (aperto e chiuso), una rete con s interruttori può assumere al massimo:

2x2x2x2x2 …. = 2s stati

Quindi se una rete per N chiamate ha s interruttori avrà almeno N! e al massimo 2s stati, quindi 2s≥N! da cui, passando ai logaritmi in base 2:

s ≥ log2N!

 da cui, applicando la cosiddetta formula di De Moivre Stirling

s≥Nlog2N

Quindi il numero di interruttori in una rete deve essere Nlog2N almeno, mentre il numero di interruttori per chiamata deve essere:

Nlog2N/N = log2N

 che è crescente con N. Ciò mostra che le diseconomie di scala sono inevitabili se gli interruttori sono binari.

Applicando però la detta argomentazione ad interruttori a n vie, si ottiene, per il numero di interruttori per chiamata lognN, valore rapidamente decrescente con l’aumentare di n, il che mostra che le diseconomie possono essere drasticamente ridotte se si aumenta il numero di alternative direzionali di output nel singolo interruttore.

Tale risultato può sembrare semplicemente la teorizzazione del risultato già raggiunto in termini pratici da Clos e dai successivi ricercatori, risultato costituito dall’aumento dell’efficienza della rete attraverso l’inserimento di sottoreti di smistamento. L’inserimento di una sottorete di smistamento nel flusso comunicativo implica infatti l’aumento delle alternative direzionali, dei percorsi attraverso cui si può raggiungere un determinato terminale di output, modo similare a quanto avviene con l’inserimento di interruttori multidirezionali o “stellari”..

Tuttavia la trattazione permette di focalizzare l’attenzione sugli elementi che distinguono una sottorete di smistamento ad interruttori binari da un interruttore stellare che permette di superare i limiti cui sono sottoposte le prime. Non ci soffermiamo sulle motivazioni che portano alla crescita della capacità di commutazione connessa all’utilizzazione degli interruttori stellari, argomento complesso, legato all’infittirsi in parallelo, oltre che in serie, delle comunicazioni fra le sottoreti, ritenendo che le applicazioni al sistema cerebrale che svilupperemo di seguito siano già sufficienti a permettere la comprensione di ciò che nell’astrazione del formalismo matematico è meno evidente.

Il neurone è un interruttore a più vie costituite dalle connessioni sinaptiche; nel prosieguo dello studio noi supporremo conosciuti dall’ascoltatore i suoi fondamentali elementi strutturali, anche se daremo una spiegazione cibernetica della funzione della concentrazione dei trasmettitori nel sito sinaptico, come espressione dell’accumulo di informazione elementare non riconoscitiva, connesso alla ripetizione degli elementi di stimolazione sensoria. Esso rappresenta pertanto la approssimazione più perfetta che si possa immaginare ad un interruttore stellare nel senso precisato, di componente elementare del sistema. Se si considera che è normale ritrovare neuroni con migliaia di sinapsi e che vi sono addirittura dei neuroni con un milione di sinapsi, ci si può rendere conto di quale potenza di commutazione vi sia nel cervello umano.

2 – Le memorie percettive.

Consideriamo dunque una rete costituita da interruttori a più vie, che abbiamo denominato interruttori stellari, quale potrebbe essere costituita da strati sovrapposti di neuroni. La possibilità di collegare i neuroni che fanno parte delle varie stratificazioni con più connessioni sinaptiche, che rappresentano i componenti elementari dell’interruttore stellare ci permette di considerare l’insieme descritto come una sovrapposizione di più reti, che si distinguono per il livello di rigidità nella posizione degli interruttori elementari, vale a dire nel livello di energia, che chiameremo “tensione”, necessario a modificare la posizione di apertura o chiusura delle connessioni, cioè lo “stato degli interruttori”. Nel prosieguo indicheremo semplicemente con interruttore l’elemento di interruzione della singola connessione sinaptica, mentre parleremo di interruttore stellare riferendoci al neurone nel suo insieme.

Il livello di rigidità di una stratificazione reticolare non va considerato una caratteristica sempre costante nel tempo ma può variare, sia pure in certe condizioni speciali, quali certi processi di imprinting che si svolgono nella infanzia. Noi però trascuriamo in questa sede gli aspetti del sistema legati alla variabilità della rigidità delle stratificazioni nel tempo nonché alla variabilità nel tempo della stessa dimensione del processo di stratificazione in conseguenza della variabilità del numero di connessioni sinaptiche (Levi Montalcini).

Onde procedere in via semplificativa, come approccio graduale alla complessità della struttura reale, noi supporremo inizialmente tre livelli di rigidità nelle connessioni, di cui uno definisce una rete di fondo (o di primo livello) costituita da connessioni nodali che si limitano a trasferire il flusso in input a tutte le direzioni di output, che operano cioè con tutti gli interruttori costantemente aperti, il secondo che definisce una rete di secondo livello (più rigida della prima) e la terza che definisce una rete di terzo livello (ancora più rigida). Supporremo ciascuna rete composta da otto strati di eguale rigidità. Nelle reti di secondo e di terzo livello lo stato naturale degli interruttori comporta la chiusura di tutte le connessioni. Tale stato può essere modificato da un flusso di energia di adeguato livello tensionale e, una volta modificato, permane per un tempo più o meno lungo (a seconda della rigidità della rete).

Consideriamo innanzi tutto la determinazione delle linee di flusso che collegano i terminali sensori con i nodi di uno strato interno, che chiameremo dei terminali delle memorie percettive. Consideriamo cioè un primo livello di organizzazione, in cui l’elemento di guida è costituito dai flussi di energia che provengono dai terminali sensori. Ogni informazione sensoria, che costituisce il contenuto di una “percezione”, è costituita da una determinata combinazione di terminali eccitati. In questa prima fase dell’indagine non è di alcun rilievo la considerazione che le informazioni acquisibili con il singolo atto percettivo non sono in generale sufficienti a realizzare una definizione oggettuale che ne consenta la successiva elaborazione ma vanno integrate da informazioni accumulate nel sistema.

                                                             figura 2

Lo schema di figura 2 rappresenta una rete semplice con interruttori a due vie di input e due vie di output per ciascuna delle sottoreti di base, di secondo e di terzo livello (che vanno immaginate su piani paralleli a quello del foglio), oltre ovviamente alle vie di comunicazione con lo strato superiore e/o inferiore; ovviamente essa viene introdotta al solo fine di illustrare in un contesto semplice il processo di autodeterminazione dei percorsi, introducendo ove occorrano le considerazioni necessarie a tenere conto della più complessa situazione cui la nostra analisi si riferisce.

Nello schema di figura 2 i punti della linea A rappresentano i terminali sensori che si distinguono per avere una sola via di input e che abbiamo, per comodità, esemplificato in un numero limitato di punti, che abbiamo numerato. Le frecce incidenti su alcuni di questi terminali stanno a rappresentare il flusso energetico che, incidendo su di essi, ne determina l’eccitazione. Nello schema è cioè indicata la particolare informazione sensoria costituita dall’eccitazione dei terminali sensori 2, 5 e 9 (dovremo però in linea generale considerare la percezione come costituita sempre dalla sollecitazione di un certo numero minimo di terminali sensori, cosi che la variabilità delle percezioni sia una variabilità distribuzionale della sollecitazione, non una variabilità del numero di terminali eccitati, ma su questo punto, che si connette alla determinazione dei gradi di libertà configurale dei flussi di energia, torneremo in seguito).

Lo strato A rappresenta quindi come uno schermo in cui si proiettano, mediante una scomposizione puntuale, le informazioni sensorie. Sopra lo strato A abbiamo indicato gli strati B, C, ecc., di nodi, o neuroni che dir si vogliano. Ogni nodo dello strato A è collegato ai nodi adiacenti dello strato B, ogni nodo dello strato B è collegato ai nodi adiacenti dello strato C e così via. Il nodo 2 dello strato A è allora, nella nostra figura, collegato ai nodi 1 e 2 dello strato B; ora noi supponiamo che il flusso energetico uscente dal nodo 2 dello strato A si diriga sia verso il nodo 1 che verso il nodo 2 dello strato B, che cioè vengano attivate tutte le sinapsi di output della rete in questione (che fa quindi parte della rete di nodi di fondo, il cui stato implica l’apertura di tutte le connessioni). Ciò abbiamo indicato in figura attraverso l’uso di linee tratteggiate. Lo stesso dicasi per il flusso energetico incidente sui terminali 5 e 9 dello strato A. Il flusso energetico uscente dai nodi dello strato B si diffonde nella stessa maniera nei nodi dello strato C e così via, come indicato in figura.

Come si vede ad ogni nodo di uno strato intermedio il flusso energetico può essere trasmesso da una o da due sinapsi di input. Ora noi supporremo che ad ogni passaggio si verifichi una diminuzione dell’intensità del flusso trasmesso da ogni connessione sinaptica, cosicché, oltre un certo strato il flusso trasmesso da una sola connessione sinaptica si spegne. Oltre un’ulteriore distanza (che definisce la cosiddetta area di ridondanza) il flusso si spegne anche se è trasmesso da due connessioni sinaptiche. Tenendo conto quindi del più rapido spegnimento al contorno, il flusso energetico proveniente da un terminale sensorio si diffonde per conseguenza nel sistema di strati sovrapposti disegnando una superficie ovoidale che abbiamo per semplicità rappresentato in figura, nella sua parte inferiore, con una superficie conica.

Necessariamente in un nodo di un determinato strato, punto di intersezione del cono proveniente dal nodo 2A e del cono proveniente dal nodo 5A, confluiscono sia il flusso proveniente dal nodo 2A che il flusso proveniente dal nodo 5A. Tale confluenza determina l’innalzamento del livello della energia emessa dal nodo di confluenza (il n.3 dello strato D) e che fluisce nei percorsi che lo seguono (che fanno quindi parte di una rete più rigida, cioè della rete di secondo livello, di cui vengono per conseguenza aperte le connessioni). Abbiamo indicato con linee continue sullo schema grafico i percorsi coinvolti nelle successive confluenze che cioè collegano i nodi in cui per primi si verificano i salti di tensione.

Come si vede, con successive confluenze si arriva ad un nodo di uno strato in cui confluiscono i flussi provenienti da tutti i terminali sensori eccitati e che abbiamo chiamato terminale della memoria percettiva, cioè, nella rappresentazione figurata, il n.5 dello strato H. Si vede anche che se i nodi di eccitazione sono solo il 2A e il 5A, una volta realizzata la confluenza nel nodo 3 dello strato D, tutto il cono posto a sinistra del nodo 5 dello strato H risulta al secondo livello tensionale e quindi tutti i nodi dall’l al 5 si trovano a tale livello tensionale (a questo livello tensionale il sistema ha cioè 5 gradi di libertà nello strato H); solo attraverso l’ulteriore eccitazione del nodo 9A si determina la selezione del nodo 5 come sbocco unico del flusso di energia al terzo livello tensionale (a questo livello tensionale il sistema non ha più gradi di libertà nello strato H). Noi supporremo che solo i flussi che raggiungano lo strato H con un certo livello tensionale (e quindi nell’ambito di una determinata rete) abbiano un significato ai fini della ulteriore elaborazione dell’informazione; in tal caso per raggiungere tale livello devono verificarsi un certo numero di incrementi tensionali e noi supporremo che siano tali da azzerare i gradi di libertà del sistema nello strato H. Il sistema perde cioè gradi di libertà con l’aumento del numero di terminali eccitati a parità di stratificazioni e assume invece gradi di libertà aumentando il numero di stratificazioni, risultato già ottenuto nella trattazione matematica svolta nel precedente paragrafo. Lo strato delle memorie percettive è dunque lo strato in cui il sistema non ha gradi di libertà nei confronti dei flussi informativi complessi che costituiscono una informazione sensoria, che supporremo sempre costituita da un certo numero minimo di terminali eccitati, tale appunto da saturare i gradi di libertà del sistema nello strato H.

Considerato in se solo, avulso dalla rete dei flussi di energia provenienti dai terminali sensori e che in esso confluiscono, tale nodo finale non può essere considerato rappresentativo delle informazioni sensorie. Perché si abbia una “percezione”, infatti, occorre che ogni combinazione di informazioni provenienti dai terminali sensori sia nettamente distinguibile da qualsiasi altra e, a tal fine, abbia una propria indipendente rappresentazione nel cervello. Occorre cioè che i vari terminali sensori contemporaneamente eccitati vengano associati fra di loro in maniera unica, non ripetibile con un’altra combinazione di terminali sensori. Perché il nodo in cui confluiscono i flussi di energia provenienti dai terminali sensori possa essere considerato rappresentativo della particolare combinazione di informazioni provenienti dai terminali sensori occorrerebbe, in definitiva, che si stabilisse una corrispondenza “biunivoca” fra la combinazione di informazioni sensorie ed il nodo in cui confluiscono i flussi di energia provenienti dai terminali sensori.

Ora, lo svolgimento del processo senza gradi di libertà implica che ad ogni informazione sensoria corrisponda un solo nodo di sbocco, ma non che viceversa ad ogni nodo di sbocco corrisponda una sola informazione sensoria. La corrispondenza biunivoca cioè non sussiste se si fa astrazione dalla rete dei flussi di energia attraverso cui si realizza la confluenza: ad ogni nodo dello strato finale possono infatti confluire i flussi energetici più diversi, cioè provenienti dalle più diverse combinazioni di informazioni sensorie. Ma se supponiamo che i percorsi in cui fluisce energia di un certo livello tensionale siano fissati in linee preferenziali di flusso, sia pure in maniera labile, tale corrispondenza biunivoca può istituirsi, sia pure limitatamente al tempo di durata della fissazione delle linee di flusso. Il nodo di confluenza potrà allora essere chiamato “terminale della memoria percettiva della informazione sensoria” ed avrà una durata in questa funzione pari a quella delle linee preferenziali di flusso.

La permanenza nel tempo della memoria percettiva può essere in atto o potenziale. Nel primo caso si verifica non solo la permanenza delle linee preferenziali di flusso, ma anche l’emissione, da parte del nodo in cui si realizza la confluenza, di un flusso di energia in direzione opposta a quella dell’energia ricevuta, flusso che percorre le linee preferenziali di flusso e ricostituisce, sullo schermo A, l’informazione sensoria originale, sia pure con una intensità ridotta (il che permette di distinguere le informazioni provenienti dall’esterno da quelle ricostituite partendo dalla memoria percettiva). Nel secondo caso si verifica la sola permanenza delle linee preferenziali di flusso e l’informazione sensoria si ricostituisce sullo schermo dei terminali sensori solo in occasione di un afflusso di energia proveniente da memorie collegate alla memoria percettiva (oltre, ovviamente, alla ripetizione dell’informazione sensoria originale).

3- Le memorie di riconoscimento.

La fissazione della memoria percettiva, sia essa in atto o potenziale, è comunque molto labile. Una qualsiasi memoria percettiva può però diventare assai rigida se la sua formazione è accompagnata dallo sviluppo di energia che entra nel sistema per altra via, condizione che viene detta di sollecitazione di una memoria di azione, per procedere quindi verso i terminali operativi; ad esempio tale energia può costituire la reazione ad un danno fisico, condizione che viene detta di sollecitazione della particolare memoria di azione chiamata memoria di stato. Da notare che tale irrigidimento, avviene dopo il raggiungimento dell’obiettivo di eliminazione dello stimolo di attivazione. Di per sé l’afflusso dell’energia di attivazione determina l’apertura delle connessioni della rete di quarto livello e come, vedremo, fluidifica le connessioni del reticolo della memoria percettiva; è lo scarico tensionale finale, ove ottenuto, che determina l’irrigidimento delle connessioni in atto. Il ciclo attivazione-scarico che determina l’irrigidimento richiama in sostanza l’analogo ciclo metallurgico di riscaldamento e raffreddamento che modifica la forma degli oggetti metallici.

Le canalizzazioni di accesso alla reticolo di quarto livello di rigidità rimangono aperte anche quando l’energia di azione non è più presente: esse vengono cioè percorse come canali preferenziali di flusso, anche in assenza dell’energia di azione, dai flussi energetici che accompagnano il ripetersi dell’informazione sensoria. Tale informazione sensoria, associata alla memoria percettiva passata alla rete di quarto livello, diviene essa stessa capace di determinare, pur in assenza di alcuna sollecitazione della memoria di azione, lo sviluppo di un forte flusso di energia di attivazione del sistema, diventa cioè una “memoria di allarme”. Si possano formare connessioni fra due memorie, siano esse percettive o di allarme, per la contemporanea presenza delle informazioni sensorie relative a tali memorie e per la sovrapposizione delle aree di ridondanza. Si realizzano così connessioni fra memorie percettive e memorie di allarme che danno luogo a ulteriori memorie di allarme.

Accanto ai processi di formazione di memorie di allarme legati alla realizzazione di connessioni fra informazioni sensorie e centri di emissione di energia si strutturano anche processi di formazione di memorie di arresto legati alla formazione di connessioni fra informazioni sensorie e centri di assorbimento di energia che si attivano in via subordinata allo scarico esterno e che abbiamo chiamate “memorie di rassicurazione”. Il sistema in sostanza irrigidisce sia la conformazione iniziale della struttura percettiva che la trasforma in memoria di allarme sia la struttura finale che essa raggiunge dopo lo scarico e che la trasforma in memoria di rassicurazione. Ciò apparirà più chiaro dopo che avremo trattato, nel prossimo paragrafo, delle modifiche che la memoria percettiva subisce nell’ambito della ricerca della risposta ottimale. Le memorie di allarme e le memorie di rassicurazione sono memorie di “riconoscimento”. Le memorie di azione e quelle di allarme sono memorie di “attivazione”.

4 – Le memorie operative.

Il sistema cerebrale ha la possibilità di connettere diverse risposte alla stessa memoria di attivazione, ha cioè dei gradi di libertà nella risposta. Come sappiamo, ciò necessariamente implica che fra le memorie di attivazione e le memorie che comandano gli organi operativi siano interposte delle stratificazioni supplementari. Il sistema sceglie i terminali operativi da attivare sulla base di una retroazione negativa, cioè dallo scarico tensionale da essi indotto, condizione in pratica coincidente con la cosiddetta “ricompensa” della scuola comportamentale americana.

Quindi noi potremmo inizialmente pensare che il meccanismo sia diviso in due parti: la prima che costituisce la memoria di riconoscimento, attivazione e disattivazione, in cui il flusso energetico è guidato dagli incrementi tensionali dovuti alla sommatoria delle tensioni inerenti alle componenti dell’informazione sensoria (per dar luogo alle memorie percettive) nonché dagli incrementi e decrementi tensionali dovuti alla connessione delle memorie percettive con centri di emissione o assorbimento di energia che le trasformano in memorie di allarme e di rassicurazione, e la seconda parte che costituisce la memoria operativa, in cui il flusso energetico è guidato dai decrementi tensionali dello stimolo connessi all’attivazione di un determinato organo operativo.

In realtà l’esistenza di un meccanismo di retroazione permette di realizzare un sistema molto più economico ed efficiente in cui le due funzioni sono sovrapposte utilizzando gli stessi neuroni. Ad ogni mutamento della memoria percettiva corrisponde infatti un mutamento potenziale della realtà realizzabile attraverso un movimento degli organi operativi. È quindi ovvio modificare il flusso riflesso che dai terminali delle memorie percettive va ai terminali sensori per scoprire un percorso del flusso riflesso cui corrisponde l’eliminazione dello stimolo. Naturalmente, come è ovvio, ogni tentativo della ricerca appare su una rete parallela a quella dei terminali sensori e solo al reperimento della risposta efficace i mutamenti della memoria percettiva riflessa si traducono in movimenti degli organi operativi. Evidentemente la modifica del flusso riflesso non comporta la modifica del flusso diretto che dai sensori va al terminale della memoria percettiva e che a fine processo si cristallizza in memoria di allarme, mentre la configurazione realizzata dal flusso riflesso modificato si cristallizza in memoria di rassicurazione. Evidentemente le modifiche alla configurazione della memoria percettiva che la trasformano in memoria di rassicurazione devono rispettare il principio di continuità spazio temporale e devono quindi procedere per variazioni infinitesimali fra elementi contigui.

Noi potremmo pertanto immaginare che la scoperta della configurazione di scarico del flusso riflesso, che dà luogo alla memoria di rassicurazione, sia legata ad una variabilità casuale della risposta, permessa dalla ridondanza delle connessioni, ma gli sviluppi della matematica statistica mostrano che, data la elevatissima dimensione della variabilità del reale, l’ottenimento di una risposta efficace per questa via avrebbe una probabilità praticamente coincidente con lo zero. Occorre quindi necessariamente che il campo di variabilità sia preventivamente ridimensionato attraverso la preventiva determinazione di componenti della risposta. Infatti. ciò che non è possibile sul piano ontologico è possibile sul piano genetico, giacché l’evoluzione agisce a livello infinitesimo del gradiente di efficienza della risposta e su un numero estremamente grande di tentativi. E’ giocoforza quindi ritenere che certe stratificazioni facenti parte della memoria di scarico siano fissate geneticamente in maniera rigida, costituendo per conseguenza vincolo insuperabile alla variabilità delle stratificazioni finali.  La memoria di scarico, che possiamo anche chiamare memoria operativa centrando così l’attenzione sull’aspetto costituito dal programma operativo che rappresenta, piuttosto che sullo scenario cui da luogo e che giustifica il suo appellativo di memoria di riconoscimento, contiene anche vincoli indotti in ambito ontologico che si aggiungono ai vincoli genetici. Fra questi sono di particolare rigidità le condizioni di vincolo indotte nella infanzia attraverso un processo denominato di “imprinting”, ma sono anche importanti i vincoli indotti nell’età adulta nella forma di memorie di allarme e di rassicurazione.

Il modo di inserimento di questi vincoli risulta abbastanza ovvio dopo quanto sappiamo; ricordiamo infatti che la ridondanza dei percorsi permessa dalla molteplicità degli interruttori e delle conseguenti connessioni sinaptiche comporta che l’arrivo di una sollecitazione in uno qualsiasi degli interruttori modifica la composizione delle forze all’interno del neurone e per conseguenza determina un cambiamento di direzione del flusso di output. L’aumento della tensione del flusso riflesso, conseguenza della stimolazione di una memoria di attivazione, comporta quindi dei mutamenti nel percorso di tale flusso ma se in tal modo intercetta una memoria di allarme si attiva un ulteriore mutamento di percorso mentre quando viene intercettata una memoria di rassicurazione si ha un mutamento in senso opposto. L’insieme delle memorie di allarme e di rassicurazione esistenti nel sistema costituiscono quindi campi di forza che indirizzano il percorso del flusso riflesso. E’ chiaro che, ad ogni mutamento di direzione del flusso riflesso corrisponde un mutamento di direzione di un componente della risposta.

Nello studio dei sistemi complessi questo tipo di situazioni che considerano i percorsi realizzabili in un insieme di punti materiali dotato di una certo quantitativo di energia, si utilizza uno schema costituito dal cosiddetto “spazio delle fasi” in cui gli elementi che vanno considerati per ciascun punto ai fini della determinazione dei percorsi sono la collocazione nello spazio, l’impulso e la direzione di questo impulso (determinato dal differenziale dell’impulso in ciascuna coordinata dello spazio). Adottando lo stesso criterio, il comportamento ottenuto può essere caratterizzato dalla informazione sensoria, dalla direzione del movimento, ma anche dalla dimensione della forza con cui viene effettuato il movimento che noi poniamo in connessione con la dimensione della energia di attivazione. Avremo pertanto un movimento di avvicinamento e un movimento di allontanamento all’oggetto che è fonte della stimolazione della memoria di attivazione. Ciascuno di questi movimento potrà poi essere suddiviso a seconda della dimensione della energia di attivazione. Avremo così un avvicinamento ad alto livello dell’energia che potremo definire contrasto e un avvicinamento a basso livello che potremo definire sinergia. Analogamente anche il comportamento di allontanamento può avere una graduatoria di manifestazioni, correlate alla dimensione della energia di attivazione.

In definitiva il percorso del flusso riflesso nella sua funzione di determinazione del programma operativo è rappresentabile come l’attraversamento di strati a rigidità decrescente della memoria percettiva passando dalle stratificazioni iniziali più rigide fino alle stratificazioni finali più flessibili. Man mano che il flusso riflesso attraversa stratificazioni a rigidità decrescente le variazioni del flusso riflesso acquistano componenti casuali, ovviamente nell’ambito dei gradi di libertà, che residuano dai vincoli genetici ed ontologici indotti dalle stratificazioni più a monte. Come abbiamo già detto, si determina così, su di uno schermo parallelo a quello dei terminali sensori la simulazione di una attività operativa che passa quindi agli organi operativi al raggiungimento di un certo livello critico di una funzione dello scarico. La successione di queste attività operative sullo schermo simulativo costituisce l’attività di pensiero e può sembrare paradossale che abbia, a parte la componente predefinita, una origine puramente casuale. Il fatto è che i vincoli predefiniti comprendono dei vincoli logici che strutturano una “sintassi”, cui il ragionamento, cioè la successione simulativa delle azioni, deve sottostare. Per comprendere come esse si siano formate occorre introdurre un altro argomento, non ancora trattato, costituito dalla “informazione non riconoscitiva” che permetterà di risolvere anche molti problemi che la trattazione fatta può aver lasciato. Come ho già avuto occasione di illustrare, la esposizione di un sistema complesso richiede, ai fini della sua comprensibilità, che le variabili da cui esso dipende vengano trattate una alla volta mentre in realtà agiscono tutte insieme ed hanno interazioni reciproche che tale modo di esporre deve necessariamente inizialmente trascurare. Occorre quindi necessariamente lasciare dei fili sciolti per riallacciarli in un secondo momento, occorre pazienza.

È evidente che ove un ragionamento rientrasse in tutti i suoi componenti nell’ambito dei vincoli logici, non occorrerebbe introdurre delle componenti casuali; il processo si arresterebbe senza la necessità dell’intervento del pensiero. Infatti, se lo scarico si realizzi in un qualsiasi punto del flusso riflesso il processo si interrompe; in particolare se si realizza nel tratto iniziale in cui vengono attivati i comportamenti predeterminati, ossia istintuali, l’intero processo non viene neanche avvertito; in termini psicologici si dice che è subliminale, mentre nei termini della fisica dei sistemo complessi diciamo che il processo si svolge per infinitesimi di ordine superiore rispetto a quelli percepibili. L’intervento del pensiero è quindi strettamente legato all’inserimento di componenti casuali che rappresentano elementi ipotetici la cui validità va confermata dalla retroazione di scarico proveniente dalla realtà. Il processo si interrompe con la sola adozione dei comportamenti predefiniti anche quando la dimensione dell’energia di attivazione raggiunge valori superiori ad un certo livello critico, espressione quindi di un pericolo che richiede una risposta immediata che la ulteriore elaborazione, assai più lenta, non consentirebbe.

5 – Il vettore modificativo

Naturalmente non è detto che almeno una delle “teorie ipotetiche” trovi riscontro nelle variazioni della realtà; se ciò non avviene si può determinare un aumento della tensione che riduce la rigidità delle strutture più a monte attraversate dal flusso di energia. Si dice che si verifica un approfondimento del “vettore modificativo” il che esprime il fatto che l’azione di modificazione dei collegamenti – cioè delle alternative direzionali prese alle giunzioni – si sposta verso strati reticolari di rigidità crescente, cioè che possiedono un più alto livello di resistenza.

Nei termini di uno schema fisico generale, quando l’azione esercitata sul sistema è al di sotto di una determinata soglia la reazione prende quella che viene chiamata “direzione estroversa” che può essere riguardata inizialmente, per semplicità, come la direzione opposta a quella di azione, come nel caso dei corpi rigidi e omogenei di Newton. Al di sopra di questa soglia, nei corpi reali, che si allontanano dalla condizione di omogeneità  e rigidità assolute ipotizzate da Newton, la reazione può assumere una differente direzione, in relazione alla struttura interna del corpo. La reazione mostrerà quindi una divergenza rispetto alla direzione estroversa e tale divergenza andrà aumentando con il crescere della tensione.

La rappresentazione fisica mostra che, fintanto che la divergenza non supera l’angolo retto, si tratta della comparsa di una componente “ortogonale”, in quanto posta ad angolo retto  nei confronti dell’azione esterna. Essa comporta dei cedimenti, cioè elementi del “dare”, ma nei confronti di linee relazionali esterne, differenti da quella da cui proviene l’azione che ha attivato il sistema, linee da cui può pervenire  un aiuto nei confronti della eliminazione dello stimolo, cioè elementi dell”avere”, strutturandosi così un rapporto di “scambio”. Tale aiuto può portare ad una riduzione  della tensione indotta dall’azione esterna superiore alla tensione richiesta dal superamento  dalla rigidità delle linee aperte dalla componente ortogonale della reazione , così che il risultato finale può essere costituito da una riduzione della tensione complessiva del sistema. L”apertura delle canalizzazioni laterali in cui consiste la comparsa di una componente ortogonale rappresenta quindi in sostanza una ricerca di sinergie.

La costituzione di sinergie ottenuta  può portare non solo all’eliminazione totale dello stimolo,  ma anche al raggiungimento  di una maggiore potenza nei confronti di tutte le sollecitazioni provenienti dallo habitat dando luogo, in determinate circostanze (quali quelle dell’imprinting su cui non possiamo qui intrattenerci), ad un “incollamento” con l’elemento esterno che comporta una reciproca interdipendenza. Tale fenomeno è dovuto alla maggiore sollecitazione dei campi di forza  inizialmente agenti, nonché alla sollecitazione di altri campi di forza, per effetto della eliminazione degli ostacoli che impedivano l’accostamento degli elementi su cui  tali campi di forza agiscono. Tali ostacoli sono rappresentati, nel campo meccanico, dalla interazione cinetica e nel campo psicologico dalla paura, impulso  di rifiuto di origine genetica  che  nel caso di specie agisce  a livello subliminale, cioè non avvertita dalla coscienza, come “paura di suscitare la paura” che sarebbe indotta dall’accesso ai canali proibiti. Tale paura potrebbe essere superata, ad esempio, da una eventuale paura più grande, connessa al mancato scarico di una memoria di attivazione.

Una volta che una canalizzazione sia stata attraversata da un flusso di energia di tensione sufficiente,  e successivamente abbia avuto luogo uno scarico adeguato, le connessioni interessate rimangono aperte. La linea di flusso si trasforma cioè in un canale preferenziale di flusso per i flussi di energia di più bassa tensione: si forma cioè una memoria di rassicurazione che può però avere gradi diversi di rigidità. Il comportamento di scambio può perciò essere innescato  in vista dei benefici di riduzione della tensione  complessiva del sistema che determina,  senza che si abbia uno scarico adeguato per la formazione di una connessione rigida, nel qual caso si parla di un “cedimento elastico” mentre l’irrigidimento del sistema nella forma conseguentemente assunta dalle connessioni avviene  in corrispondenza di un livello critico dello scarico  ed è chiamato  “cedimento plastico”. L’incollamento richiede uno scarico ancora maggiore , di tutte le possibili stimolazioni cui è soggetto il sistema ed avviene quindi in condizioni particolari. E’ importante sottolineare che il comportamento identificato tramite la direzione della reazione  è lo stesso sia che il cedimento plastico – cioè l’irrigidimento del collegamento nella nuova posizione – avvenga oppure no. In entrambi i casi il rapporto discambio  implica comportamenti di cedimento (o del dare) in modo tale che dall’esterno è difficile distinguere fra le due posizioni  se il loro confronto non si estende alle modifiche che subisce il comportamento quando cambiano le condizioni di stimolo. Le due posizioni possono infatti essere distinte dai differenti valori della tensione che le accompagna (elemento che può essere giudicato soltanto dall’interno) e dall’elasticità del compoertamento che segue al cedimento elastico, cioè dal suo immediato ritorno al comportamento che precedeva il cedimento quando cessa la tensione che lo ha indotto.

Un aspetto molto importante del sistema psichico è costituito dalla variabilità  del gradiente tensionale richiesto per il passaggio del flusso di energia  da uno strato di connessioni a quello adiacente più rigido. Questo elemento chiamato “gradiente di irrigidimento delle stratificazioni” è estremamente variabile tra gli individui e costituisce il più importante elemento di derivazione genetica  che influenza la variabilità caratteriale e quindi il livello tensionale a cui si innesta la paura.

Se infatti l’approfondimento progressivo del vettore modificativo non determina alcuno scarico, la tensione raggiunge un certo livello  critico corrispondente  nella rappresentazione fisica  ad una divergenza superiore all’angolo retto, condizione in cui si verifica la scomparsa della componente estroversa e la comparsa, accanto alla componente ortogonale di una componente “introversa”. Questa componente nell’ambito psicologico corrisponde ad un impulso di rifiuto che prende il nome di paura. Da notare che in queste condizioni il processo di scambio, pur potendo determinare una riduzione  della tensione, non è in grado di eliminare completamente la tensione che, ciononostante non viene avvertita  in conseguenza di un fenomeno esclusivamente psichico costituito dall’illusione, che costituisce una soddisfazione autoctona degli impulsi, almeno fintanto che la tensione non raggiunga determinati livelli critici che però, per molte tipologie caratteriali, possono esse assai elevati. Si tratta di un argomento assai vasto e complesso a cui si accenna solo per motivi di completezza.

In sostanza, l’approfondimento del vettore modificativo induce un aumento della tensione  ed un conseguente mutamento nelle modalità comportamentali che passano  per l’induzione del processo di scambio e, oltre un certo livello della tensione, ad un incremento progressivo dell’impulso della paura. Ai più alti livelli della paura il flusso di energia di attivazione imbocca delle linee particolari che hanno una struttura stratificata, con una direzione privilegiata che è quella della “fuga”. Se il comportamento di fuga è impedito posson essere imboccate diverse linee dii comportamento alternative quali la completa immobilizzazione  o la perdita della coscienza, ma è particolarmente importante, per i suoi riflessi sociali, il fenomeno costituito dalla “estroflessione della paura” in base al quale il comportamento riassume  la direzione estroversa, ma con un altissimo livello della tensione, condizione che carica il comportamento  di un’altissima quantità di violenza.  In particolari condizioni, connesse alla frustrazione dell’impulso sociale in caratteri ad alto gradiente tensionale, il comportamento diviene autodistruttivo.

6 – L’informazione non riconoscitiva.

L’elemento che introduciamo adesso è di una importanza fondamentale per il funzionamento del nostro cervello perché permette di assumere a livello indiziario le informazioni necessarie a costituire quel bagaglio di strutture di riconoscimento e comportamentali al quale la nostra specie deve la sua sopravvivenza senza esporre i componenti ad una eccessiva azione selettiva. Si può perciò partire, per introdurre questo elemento, da una molteplicità di punti perché tutta la struttura appare come un meccanismo che nell’ambito della teoria dei sistemi potrebbe definirsi di stima statistica e di controllo statistico delle ipotesi, effettuata su una popolazione di elementi di una dimensione tale da non esporre i membri della specie a pericoli mortali nel loro rilevamento.

Abbiamo scelto fra i tanti punti di partenza possibili un problema che può porsi nell’ambito della creazione di una memoria di allarme partendo dall’attivazione della memoria di stato. L’integrazione delle sollecitazioni che giungono alle varie sinapsi serve, come abbiamo visto, per selezionare i vari percorsi utilizzando il fatto che, in corrispondenza di ogni informazione sensoria, si determina una diversa distribuzione del valore delle sollecitazioni trasmesse alle sinapsi anche per effetto dei campi di forza attraversati. Il problema però sorge quando a fronte di uno scenario informativo complesso si verifica la stimolazione di una memoria di azione senza che esistano interventi delle memorie di riconoscimento che possano indicare in quale componente dello scenario informativo risiede l’origine dello stimolo.

Nella nostra trattazione iniziale introduttiva delle memorie di riconoscimento abbiamo affermato che, in corrispondenza di una contemporaneità fra una certa informazione sensoria e la attivazione di una memoria di azione, la memoria percettiva di tale informazione sensoria diveniva memoria di allarme. Ma si tratta, ovviamente di una semplificazione descrittiva, sempre necessaria quando si tratta di fenomeni complessi in cui le variabili agenti vanno introdotte gradualmente verificando i mutamenti che esse producono nella struttura delle interazioni. Nella realtà, se lo scenario è complesso e non è possibile determinare immediatamente l’origine della stimolazione, non è possibile trasformare l’intero scenario in memoria di allarme, perché ciò potrebbe comportare una intollerabile limitazione delle condizioni di vita, quale si verifica nelle “fobie”.

Occorre quindi necessariamente determinare nell’ambito delle variabili che costituiscono lo scenario, ciascuna corrispondente alla sollecitazione di una connessione sinaptica dei neuroni che fanno parte della memoria percettiva, quale sia la variabile o le variabili responsabili della eccitazione della memoria di azione. Si tratta di un caso particolare del problema fondamentale affrontato dalla matematica statistica, che è la matematica dei sistemi complessi, quello della determinazione della dipendenza di un fenomeno dalle variabili presenti in uno scenario complesso. Non è possibile, trattandosi di una materia assai vasta e complessa, darne una sia pur breve e sintetica esposizione in questa sede Cionondimeno, seguendo il criterio di semplicità fin ora adottato nella esposizione, introdurrò alcuni elementi fondamentali che la statistica ha mostrato essere indispensabili per potere eseguire quella che viene chiamata “analisi della varianza”. Il primo è che occorre determinare la frequenza con cui la presenza di ogni variabile si verifica in coincidenza con l’attivazione della memoria di azione e il secondo che il raggiungimento di un certo valore critico di tale frequenza implica l’esistenza di una relazione di dipendenza del fenomeno dalla variabile.

Tale semplice proposizione implica una molteplicità di problemi connessi che vanno risolti perché essa sia valida, particolarmente per quanto riguarda la determinazione della frequenza critica; occorre cioè considerare che la coincidenza della presenza della variabile e della attivazione può avere anche una origine casuale che comporta una variabilità della frequenza di apparizione, che ciò rende probabilistica la sua determinazione, che tale frequenza dipende dalla dimensione del campione, che le variabili sono soggette ad una variabilità di interazione, che comporta che la dipendenza del fenomeno dal una variabile può dipendere dal valore assunto da un’altra variabile ecc.

A ciò bisogna aggiungere che nel caso specifico delle memorie di riconoscimento, la sollecitazione della memoria di azione, sopratutto se si tratta della memoria di stato, può recare un tale danno all’organismo da non consentire la ripetizione ed in tal caso non resterebbe al sistema che passare a memoria di allarme l’intero scenario. La ripetizione della memoria di azione, anche nel caso si tratti della memoria di stato, diviene possibile se tale memoria di azione può presentarsi con diversi livelli tensionali dell’energia di supporto della memoria. Ciò è quanto viene realizzato nel processo di imprinting in cui si ha la formazione di fondamentali memorie di riconoscimento. In ogni caso, però l’intensità con cui la memoria di azione si presenta limita o addirittura inibisce la sua ripetizione di cui la frequenza è la misura.

Come anticipato, noi trascureremo tutti questi aspetti limitando la nostra attenzione al fatto fondamentale che, in ogni caso, il neurone deve rilevare la frequenza di una data variabile, che è l’elemento centrale, necessario, della indagine, annotandone la comparsa senza produrre alcuna modifica nel sistema salvo che in quella che McKay chiama “conditional readiness” cioè il suo avvicinamento alla condizione in cui una ulteriore comparsa della variabile determina il raggiungimento della frequenza critica e quindi l’innesco della connessione con il neurone successivo.

L’evoluzione ha realizzato questi obiettivi in una maniera semplicissima: ad ogni comparsa della variabile sotto esame corrisponde un versamento di neuro trasmettitori nel sito sinaptico senza che ne consegua altra modifica del sistema e ciò fintanto che il numero di versamenti raggiunge il livello critico e si instaura la connessione con il neurone post-sinaptico. È così possibile trasformare in memoria di allarme solo una componente dello scenario sensorio a disposizione. Abbiamo chiamato il versamento elementare di trasmettitori nel sito sinaptico “informazione elementare non riconoscitiva”.

Ora, noi non conosciamo come il sistema cerebrale svolga la sua analisi della varianza, come effettui tutti i rilevamenti e le elaborazioni necessarie perché una certa componente sensoriale diventi una memoria di allarme anche se ci rendiamo conto che il processo avviene contemporaneamente su più sinapsi e più neuroni che si scambiano le informazioni, ivi comprese quelle di retroazione che provengono dalle memorie operative, a loro volta influenzate dalle modifiche intervenute nella realtà esterna ad ogni ripetizione dello stimolo.

Possiamo solo rilevare alcuni aspetti che ci sembrano estremamente importanti anche se non sappiamo realizzare una loro completa integrazione sistemica. Quando una sinapsi di input viene attivata si ha versamento di neurotrasmettitori in tutte le sinapsi di output, non solo in quella in cui si verifica la trasmissione del segnale, anche se ciò avviene secondo rapporti variabili in relazione alla rigidità della connessione. Un neurone posto in una stratificazione qualunque potrà allora misurare, in ogni sinapsi di output, l’entità della sollecitazione complessiva trasmessa da tutte le sinapsi di input attraverso la concentrazione dei neurotrasmettitori ed attivare il segnale quando la concentrazione raggiunge un determinato valore, caratteristico della sinapsi in questione. E’ allora possibile che la connessione si attivi per effetto della sommatoria di sollecitazioni provenienti da reti sinaptiche “deboli” in quanto provenienti da fonti eccitatorie lontane, piuttosto che da una o poche reti sinaptiche forti e vicine, chiaramente identificabili come la “causa” della attivazione il che equivale ad affermare che la connessione viene “intuita” prima che ne possa essere determinata la causa.

Possiamo anche comprendere come si formano i vincoli logici indipendentemente dalla attivazione di una memoria di azione o di riconoscimento. Se i processi di accumulo di neurotrasmettitori nelle sinapsi in cui fluiscono le informazione sulla ripetizione di due eventi raggiungono il livello critico contemporaneamente si realizzerà per entrambi lo sviluppo di energia connesso al passaggio in una stratificazione più rigida e, se le aree di ridondanza si sovrappongono, si realizzerà la connessione che potrà consistere, ad esempio, nel rapporto di causa ed effetto. Analogamente, tali connessione possono realizzarsi anche fra gruppi di neuroni che eseguono operazioni complesse, ma non ci azzardiamo ad affrontare tali situazioni. Da notare che il processo avviene automaticamente senza che se ne abbia coscienza nella sua interezza.

E’ opportuno rilevare, in questa occasione, a quali dimensioni di errore può condurre la mancata considerazione in termini cibernetici del meccanismo cerebrale. L’esistenza di versamenti nella fessura sinaptica di quantità di neurotrasmettitori insufficienti a determinare la formazione del potenziale d’azione (informazione elementare, non riconoscitiva, come è invece il bit di Shannon) è stata verificata sperimentalmente, ma è stata portata a dimostrazione dell’esistenza di elementi di casualità ed indeterminazione nel funzionamento del cervello, alla formulazione di una specie di principio di indeterminazione psicologica. Essa rappresenta invece la cosa più straordinaria ed omportante del meccanismo, ne mostra la estrema precisione e capacità di analisi.

La possibilità di immissione di neurotrasmettitori nella sinapsi, senza l’instaurazione della connessione, cioè il fenomeno del riempimento parziale, è manifestazione dell’estremo livello di sensibilità e di determinazione del funzionamento del cervello, capace di prender nota di elementi informativi a livello infinitesimo, senza trasmetterli a fasi successive di elaborazione comportamentale fintanto che, per il pervenire di altre informazioni attraverso la stessa sinapsi afferente (ripetizione delle informazioni) o attraverso un ‘altra sinapsi afferente, facente parte o meno della stessa rete, il livello della concentrazione dei neurotrasmettitori non raggiunga il valore di produzione del potenziale d’azione.

Supponiamo allora che nei neuroni interessati da una percezione, in cui sono in completa attività le sinapsi della rete secondaria, siano parzialmente eccitate le sinapsi di una rete “terziaria”, nel senso, già chiarito, di versamento nella fessura sinaptica di un quantitativo di neurotrasmettitori insufficiente a determinare la formazione del potenziale d’azione nella cellula postsinaptica. La formazione di enzimi distruttori dei neurotrasmettitori procede, nella cellula postsinaptica, secondo un determinato ritmo temporale, cosicché i neurotrasmettitori che si poggiano su di essa, che non sono capaci di attivare l’onda elettrica, vengono con il tempo anche distrutti. Supponiamo adesso che si abbia o una ripetizione delle informazioni sensorie che hanno dato luogo all’eccitazione parziale delle sinapsi della rete terziaria. Si determina allora per entrambi i motivi un aumento della formazione di neurotrasmettitori e quindi della loro concentrazione sulla membrana della cellula postsinaptica della rete terziaria che dura fin tanto che tale cellula non abbia ricostituito i necessari quantitativi di enzimi distruttori, nonché per il tempo successivo necessario ad eliminare i neurotrasmettitori, funzione della capacità di distruzione di neurotrasmettitori tipica della particolare rete sinaptica. Si è così determinata, senza che si sia mai avuta la formazione di un potenziale d’azione, solo attraverso la modifica delle concentrazioni di neurotrasmettitori, una memoria percettiva di lunga durata, un “ricordo”. Una eventuale ulteriore ripetizione delle informazioni sensorie (o di informazioni associate, cioè costituite da un reticolo con punti di connessione con il reticolo delle informazioni sensorie in essere), troverà infatti le membrane delle cellule postsinaptiche della rete terziaria già con una elevata concentrazione di neurotrasmettitori (conditional readiness di McKay); l’ulteriore incremento nel quantitativo di neuro-trasmettitori dovuto alla ripetizione è allora sufficiente a determinare il superamento del limite di depolarizzazione delle membrane in corrispondenza del quale si forma il potenziale d’azione. Si sviluppa così un flusso energetico che percorre, nei vari neuroni, tutte le sinapsi terziarie che fanno parte di quel determinato gruppo di interconnessioni: si è cioè formato un “ricordo” meno labile che nella rete secondaria, ove la capacità distruttiva dei neurotrasmettitori è più elevata.

Osserviamo adesso che la memoria percettiva è costituita dalla rete di linee preferenziali di flusso che attraversano l’intera stratificazione di neuroni che collegano la stratificazione iniziale, dei terminali sensori, con la stratificazione finale, dei centri di attivazione. La sua attivazione comporta la ricostituzione, sullo schermo dei terminali sensori o su una struttura cerebrale corrispondente, della struttura dell’informazione sensoria, realizzata dall’energia riflessa. Come abbiamo avuto occasione di mostrare, l’energia di attivazione del reticolo può penetrarvi da uno qualsiasi dei nodi che fanno parte del reticolo stesso: la distruzione di una parte elimina quindi solo un modo di sollecitazione della memoria, ma non la può escludere del tutto. L’importante è che il numero di nodi sollecitati, facenti parte del reticolo rappresentativo del ricordo, raggiunga un certo valore cosicché l’energia immessa corrisponda a quella che sarebbe immessa tramite i nodi dello strato finale.

7 – La modulazione del pensiero.

Come abbiamo avuto modo di vedere, perché si abbia la ricostituzione di una percezione sullo schermo delle memorie sensorie (o su uno schermo parallelo) occorre che un flusso energetico partente dal nodo rappresentativo di tale percezione dello strato terminale delle memorie percettive raggiunga tale schermo, seguendo a ritroso i percorsi tracciati dalla informazione sensoria. Le linee di flusso che costituiscono le memorie percettive sono cioè accompagnate da linee parallele in cui procede in senso inverso un flusso informativo di minor livello tensionale.

Abbiamo visto che lo strato dei terminali delle memorie percettive è lo strato in cui il flusso proveniente dai terminali sensori non ha gradi di libertà in conseguenza del raggiungimento di un certo numero minimo di terminali di input eccitati. Abbiamo anche visto che il flusso riflesso, partendo da un solo terminale di input, potrebbe assumere invece gradi di libertà se tale libertà non fosse impedita dall’esistenza di percorsi preferenziali indotti dal flusso diretto di formazione della memoria percettiva disposti secondo strati a rigidità crescente passando dai terminali sensori ai terminali delle memorie percettive.

È però sufficiente che il livello tensionale del flusso riflesso si rialzi lievemente, come conseguenza della sollecitazione di una memoria di attivazione o di un flusso di attenzione o concentrazione, perché esso, debordando dai canali preferenziali, assuma gradi di libertà che si manifestano particolarmente negli strati più labili di connessioni, prossimi ai terminali sensori e la sua estrinsecazione, che comporta una modifica della informazione sensoria, costituisce l’attività di pensiero. La successione di tali connessioni labilissime, che comportano la stimolazione dall’interno di strutture percettive, corrisponde alla realizzazione simulata delle modificazioni della realtà che sarebbero indotte dalle corrispondenti memorie operative.

Il pensiero, quindi, costituisce uno strumento di regolazione degli organi operativi. E’ evidente infatti che la rappresentazione preventiva degli effetti di ogni azione operativa nello schermo dei terminali sensori permette di apportare i dovuti aggiustamenti all’azione ottenendo una più rapida convergenza verso la risposta efficace. Si stabiliscono a tal fine collegamenti diretti fra componenti sensorie e componenti motorie della risposta. Nel ragionamento, inteso come la successione dei passaggi logici, è variabile il rapporto fra i passaggi in corrispondenza dei quali non si verificano abbassamenti tensionali e i passaggi in cui tali abbassamenti si verificano (per la connessione con memorie di rassicurazione, di cui fanno parte i vincoli logici); è pertanto variabile il grado di soddisfazione connesso ad ogni ragionamento, definibile come “entità di certezza” o con il concetto simmetrico di “entità di dubbio”.

Dovremo ritenere che anche le memorie più labili, soggette all’attività di pensiero, siano costituite da stratificazioni di diverso grado di rigidità e quindi che anche in tale ambito operi un vettore modificativo con una componente introversa che, operando su elementi lontani dalle memorie sensorie, si identifica con il pensiero astratto ed una componente estroversa che, operando sulle memorie sensorie, si identifica con la più semplice forma di pensiero modificativo degli aspetti concreti della realtà. Anche per queste stratificazioni si svolgono quei processi di raggruppamento, contrapposizione ed equilibrio che si svolgono in linea generale nei nodi della rete e che sono ampiamente influenzati dal processo di accumulo graduale dei neurotrasmettitori nel sito sinaptico. Noi desideriamo però qui limitare la nostra attenzione su certi tipi di trattamento dell’informazione, assai importanti, che comportano l’intervento di una speciale rete portatrice di una energia di modulazione delle attività di pensiero e che, non essendo legata ad alcuna specifica informazione sensoria, abbiamo chiamato “energia libera”. Per la illustrazione di questo argomento dovremo introdurre alcune elaborazioni matematiche che cercheremo però di mantenere nella forma più semplice possibile.

La tensione globale del sistema, T, è funzione delle tensioni dei singoli flussi di energia che chiameremo impulsi e indicheremo con (y1…yn) che a loro volta sono funzioni delle variabili che identificano il programma operativo nella rappresentazione simulata del pensiero, che indicheremo con (x1…xr).

Se le relazioni di dipendenza fra gli impulsi e le variabili operative sono esplicitabili, ossia se le relazioni:

yj = yj(x1……xr)                (j=1…….n)

sono note, sostituendole nella espressione di T si ottiene:

T = f(x1………xr)                       (1)

 Dove T è una funzione di variabili indipendenti.

Come è noto dall’analisi infinitesimale, le condizioni di minimo della funzione (1) si ottengono risolvendo il sistema di r equazioni:

dT/dxm = 0       (m = 1……r)          (2)

 Come sappiamo, il movimento del pensiero si svolge nelle direzioni cui corrispondono variazioni delle variabili che danno luogo ad una riduzione della tensione, ossia nella direzione in cui la derivata della tensione è negativa e si arresta quando la riduzione si annulla, cioè quando si verifica la (2). Il movimento del pensiero è quindi un programma di ricerca dei valori minimi di una funzione di più variabili.

Se alcune delle relazioni di dipendenza fra gli impulsi e le variabili operative non possono essere esplicitate, la funzione (1) diventa:

T = f(x1…..xr,y1…….yn)       (3)

Dove y indica gli impulsi per i quali la relazione di dipendenza dalle variabili operative non è nota. Ora, una completa assenza di informazione sui legami di dipendenza di ogni impulso dalle variabili operative non può sussistere. La variazione elementare di tensione è infatti la reazione ad una variazione elementare delle variabili operative che è sempre eseguibile, cosicché almeno sul piano delle derivate prime, della variazione elementare di tensione in corrispondenza di una variazione elementare delle variabili operative, la dipendenza di ogni impulso dalle variabili operative è nota. In analisi infinitesimale si dice che sono note le componenti lineari delle relazioni di dipendenza. Per conseguenza il movimento del pensiero, fintanto che si svolge unicamente secondo il principio del piacere (cioè verso lo scarico tensionale), equivale alla ricerca del minimo della tensione globale sulla base di una approssimazione lineare per le relazioni di dipendenza fra gli impulsi e le variabili operative e si dice che esso rappresenta un programma di ottimizzazione lineare della detta funzione.

Se i legami di dipendenza fra gli impulsi e le variabili operative sono effettivamente lineari, la cessazione della ricerca nelle direzioni individuate dalla esistenza di una derivata negativa della tensione, ossia secondo il principio del piacere, indica il raggiungimento del minimo assoluto della funzione T. Se invece i legami non sono lineari, il punto di arresto è un punto di minimo relativo della funzione T (valori più bassi della tensione globale non possono cioè sussistere in un intorno infinitesimo del punto, giacché ciò involverebbe un valore negativo della derivata prima della tensione globale e quindi uno spostamento nella direzione così individuata) ma non è un punto di minimo assoluto (valori più bassi possono cioè sussistere in un intorno non infinitesimo).

La ricerca del minimo assoluto della funzione (3) può essere eseguita nell’ambito della cosiddetta ricerca dei minimi vincolati di una funzione di più variabili. Se cioè la carenza di informazione sui legami di dipendenza fra le yi e le xm non è totale e se l’informazione disponibile è nella forma di n condizioni di vincolo da realizzarsi nel punto di minimo (che prende il nome di minimo vincolato) espresse da:

φj(x1……xr, y1……yn) = 0    (j=1……..n)       (4)

la ricerca dei minimi della funzione (3) coincide con la ricerca dei minimi liberi della funzione:

W = f(x1…..xr,y1…..yn) + jjj(x1…..xr,y1……yn)       (5)

dove le j sono costanti reali, dette moltiplicatori di Lagrange.

Individuando il minimo assoluto attraverso condizioni di vincolo, la sua ricerca può essere effettuata come un minimo vincolato. Ricerchiamo quindi quali informazioni parziali risultano disponibili sulla posizione del minimo assoluto, cosicché la loro espressione come condizioni di vincolo possa permettere la ricerca del minimo assoluto. Tali informazioni sono costituite dalla esistenza, nelle condizioni di minimo relativo della tensione globale, di un gradiente negativo della tensione di alcuni particolari flussi o impulsi per variazioni infinitesime di alcune variabili operative (impulsi insoddisfatti). Ovviamente, in presenza di impulsi che presentano un gradiente negativo della tensione pur in presenza di un gradiente nullo della tensione globale sta ad indicare che sussistono altri impulsi con gradiente positivo, che cioè l’equilibrio realizzato nel punto di minimo è un equilibrio dinamico. Le (4) devono quindi esprimere la condizione che le tensioni di questi impulsi diminuisce nel minimo assoluto e questa condizione è evidentemente verificata se poniamo la condizione che addirittura la tensione di questi impulsi si annulli nel minimo assoluto. Le (4) quindi divengono:

yj(x1…..xr) = 0     (j = 1…..n)       (6)

 e, per conseguenza, la (5) diviene:

W = f(x1 … . .xr, y1…..yn) + j jyj(x1……xr)        (7)

La ricerca del minimo assoluto della funzione (3) può essere quindi eseguita come ricerca del minimo libero della funzione (7), in cui gli impulsi insoddisfatti vengono amplificati secondo coefficienti dati dai moltiplicatori di Lagrange. Tale ricerca del minimo libero avviene come sappiamo, in conseguenza del naturale indirizzarsi dei flussi di energia verso le direzioni che implicano una riduzione della tensione fino a quando la tensione si annulla, condizione che, pur essendo un fondamentale principio fisico, ha assunto in psicologia lo speciale nome di principio del piacere.

La struttura funzionale che, nel modello psicocibernetico, svolge la funzione di amplificazione selettiva degli impulsi insoddisfatti per permettere una ottimizzazione non lineare del livello complessivo della tensione prende il nome di “memoria di amplificazione secondaria” e l’energia di amplificazione viene detta “energia libera”. Si tratta di un serbatoio di energia sollecitabile non in corrispondenza di una determinata informazione, come avviene per gli impulsi, ma da una condizione generica di “insoddisfazione”, cioè dall’esistenza di flussi impediti nel loro movimento dalla contrapposizione con altri flussi nelle condizioni di minimo relativo. Si ritiene che, mentre la condizione di insoddisfazione generica sia molto comune (noia), l’entità della energia libera sia molto variabile da individuo a individuo, così da permettere, a livello di specie, una sperimentazione di tutti i valori possibili dei moltiplicatori di Lagrange i cui valori relativi alla singola situazione non sono aprioristicamente conosciuti.

Secondo una certa ipotesi, ovviamente tutta da verificare, esiste una duplicazione dell’elaborazione delle informazioni che sono state anche localizzate nei due emisferi cerebrali, l’amplificazione secondaria, quella della fantasia, opera su una sola delle due linee e assume capacità di influenzare il comportamento solo al verificarsi di certe condizioni di coerenza con l’elaborazione svolta dall’altra linea, che porta alla individuazione del minimo relativo. Non sempre infatti l’amplificazione degli impulsi insoddisfatti conduce all’individuazione di un minimo assoluto (occorre che tale minimo esista e che sia realizzata una certa struttura dei moltiplicatori di Lagrange, condizione questa che ha delle limitazioni). La verifica di coerenza con il minimo relativo implica l’accertamento che le distorsioni indotte dalle amplificazioni lagrangiane nella struttura degli impulsi abbiano realmente condotto all’individuazione di un minimo assoluto (o quanto meno di un minimo relativo più basso) prima di essere trasferite sul piano operativo. La composizione delle elaborazioni prodotte dalle due linee elaborative del comportamento, si svolge secondo alcuni, attraverso le fibre commissurali, che collegano i due emisferi cerebrali.

Da notare la somiglianza della memoria di amplificazione secondaria con la paura. In entrambi i casi lo sviluppo dell’energia non è legato alla condizione di insoddisfazione di un particolare impulso. L’insoddisfazione di qualsiasi impulso può dar luogo alla paura come può dar luogo  alla amplificazione secondaria  (che potrebbe anche chiamarsi coraggio), impulsi entrambi variabili nell’ambito della popolazione. La differenza fra i due impulsi sta nella dimensione dell’allarme connesso  alla insoddisfazione e dal fatto che l’amplificazione secondaria non distrugge  tutto l’apparato razionale di elaborazione della risposta mentre la paura lo scavalca completamente , imponendo modalità comportamentali predefinite sulpisano genetico.

Come si vede, in definitiva, l’attività razionale del cervello appare come un metodo scientifico particolarmente raffinato in quanto ogni modifica delle variabili è testata nella realtà a livello di variazione infinitesima. Ciò che ne limita la validità scientifica è l’insieme delle stratificazioni rigide, cioè istintuali, che vincolano il pensiero in determinate direzioni e ne bloccano altre, introducendo così illusioni ed inganni. Ciò sarà stato indubbiamente estremamente utile nel corso dell’evoluzione ed avrà certamente garantito la sopravvivenza della specie, ma potrebbe oggi, in cui il contesto è mutato radicalmente, esserne all’origine della estinzione. L’inadeguatezza della struttura immodificabile creata dall’evoluzione alle mutate condizioni dello habitat è stata peraltro la causa prevalente di estinzione delle specie da quando la vita è comparsa su questo pianeta.

Bibliografia
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[10] -Scott Kelso; A Dynamical Basis for Action Systems in Gazzaniga M. S. (ed.) Handbook of Cognitive Neuroscience, Plenum Press, New York, 1984, pag 321
[11]- Rose V.:Introduzione alla psicocibernetica, Quaderni di Cibernetica 1/86, 2/86, 3/87, 4/87, 5/88

Angoscia, violenza e bisogno d’amore

La formazione dell’associazionismo fra i mammiferi, a parte quello connesso alla cura della prole, la cui origine si perde nella notte dei tempi, viene sempre ricondotta al manifestarsi, nello habitat, di graduali e crescenti difficoltà di sopravvivenza per il singolo animale. Naturalmente, per il nostro antenato da cui sarebbe partito il processo di aggregazione, si fanno delle ipotesi più concrete, legate alla trasformazione graduale del suo habitat da foresta a savana. È chiaro che un animale che assomigli all’attuale scimpanzé non avrebbe alcuna possibilità di sopravvivenza in un ambiente quale la savana africana; nessuna arma, scarsa velocità, strumenti di attacco e di difesa insignificanti nei confronti delle potenti strutture dei predatori africani.La sopravvivenza della specie in queste condizioni fu dovuta alla gradualità con cui si svolse l’azione selettiva, che fornì ancora per molto tempo negli alberi un rifugio estremo ai nostri ancestori che erano però costretti dalle necessità alimentari a scendere spesso da essi, malgrado la paura estrema che tale atto comportava, giacché si esponevano così all’attacco dei predatori.

In linea di sintesi, si può dire che il meccanismo di sopravvivenza messo in atto, costituito dalla successione discesa-paura-fuga-rifugio, aveva il suo punto più debole nella distanza di avvistamento del pericolo che, data la enorme differenza di velocità nei confronti dei predatori, non permetteva al nostro progenitore australopiteco di allontanarsi dall’albero di quanto era invece richiesto dalle necessità alimentari. Ai fini che questo lavoro si ripromette, legati alla origine e alla funzione dell’angoscia, non è necessario descrivere le trasformazioni somatiche cui lo sforzo di sopperire a tali deficienze comportò, quali l’assunzione della funzione eretta, l’aumento della rotazione della testa, la perdita della coda, nonché la trasformazione del cavo orale intervenuto contemporaneamente allo sviluppo dell’associazionismo e della intelligenza per dar luogo alla parola. Ai fini che ci ripromettiamo, legati agli aspetti psicologici, possiamo partire dalla considerazione dell’enorme progresso che l’associazionismo fra i nostri progenitori portò alla funzione di avvistamento, progresso senza il quale la specie molto difficilmente sarebbe potuta sopravvivere al progressivo ritrarsi della foresta

Lo sviluppo di una rete di comunicazione fra diversi individui permise non solo il trasporto della informazione di avvistamento ma anche di molte altre informazioni ad essa connesse e quindi infine anche lo sviluppo della funzione di mutazione delle informazioni in entrata in quelle in uscita sulla base di un processo di valutazione cioè lo sviluppo del cervello che è l’organo deputato in ogni individuo a realizzare tale “commutazione”[1].

Naturalmente lo sviluppo dell’associazionismo riguardò non solo la funzione comunicazionale ma anche altre attività altrettanto importanti quali l’organizzazione della caccia e della difesa dalle aggressioni esterne, elementi che richiesero uno sviluppo organizzativo ed un coordinamento funzionale che si estese anche a tutte le interazioni fra i componenti del gruppo. Il gruppo raggiunse alla fine del suo processo formativo un livello di organizzazione così alto da costituire uno straordinario strumento di sopravvivenza e di dominio del mondo animale.

Che le cose si siano svolte in questo modo non sussistono ormai più dubbi, dopo tutto quanto è stato scoperto da quando Darwin per la prima volta ipotizzò la nostra discendenza dalle scimmie fino alle prove del DNA che hanno mostrato come lo scimpanzé sia il nostro più vicino parente nel mondo animale. Ma ciò non toglie che non sappiamo come le trasformazioni, sopratutto quelle psicologiche, siano avvenute, conoscenza che ci permetterebbe di risolvere importanti problemi inerenti l’origine e le interazioni degli impulsi che governano il nostro comportamento.

L’origine dell’aggregazione sociale viene dunque posta nella condivisione di una grande paura che portò ad una sinergia comportamentale e successivamente ad un graduale sviluppo della struttura organizzativa a fronte di concreti vantaggi in termini di sopravvivenza. Si costituì così l’orda primigenia di DArwin e Freud che è durata un tempo lunghissimo, la cui determinazione precisa è ovviamente assai difficile; vi sono studiosi che ritengono che sia di tre milioni di anni, altri meno, ma comunque mai molto al di sotto del milione di anni.

Tutto ciò che percepiamo + frutto di un processo associativo dovuto all’azione di forze aggregative che, quando raggiungono un certo livello, danno luogo alla fusione degli elementi componenti e alla formazione conseguente di una nuova entità che presenta qualità non riscontrabili nei componenti, così che questa fusione o sintesi o incollamento, come viene chiamato questo processo nelle varie branche della scienza, è un atto creativo, la magia della natura (come lo chiama Cornig). Vi sono alcune leggi che condizionano la formazione e lo sviluppo dell’incollamento, termine che abbiamo deciso di adottare, leggi che pertanto devono valere anche per la formazione dell’orda primigenia. esse sono:
1 – La inesistenza di elementi oppositivi, condizione che viene anche detta di sinergia e che nell’ambito della meccanica si traduce nella condizione di parallelismo motorio,
2 – L’accostamento dei componenti fino al raggiungimento del livello critico delle forze aggregative che determina la fusione (ricordiamo che le forze attrattive esercitate dai campi di forza gravitazionale ed elettromagnetico sono inversamente proporzionali al quadrato della distanza).Tale condizione determina l’irrigidimento dei composti ottenuti, cioè l’aumento della capacità di resistere all’azione distruttiva degli urti,
3 – l’iterazione del processo di incollamento dà luogo a sistemi sempre più complessi che assumono così la forma di reti stratificate secondo livelli di rigidità,
4 -Ogni componente è collegato con tutti gli altri componenti della rete, cosicché ogni variazione intervenuta nella dimensione della forza prodotta da un componente si riflette negli equilibri delle forze realizzati in tutti gli altri componenti della rete. Si dà così luogo ad una variabilità configurale dell’intero sistema che implica la formazione di retroazioni sul componente da cui si è originata la variazione. E’ nell’ambito di questa variabilità che, con tutta probabilità si crea la nuova qualità,
5 -la dimensione della forza prodotta da ogni componente è legata alla sua posizione nella struttura. La forza massimasi realizza nell’elemento collocato nella posizione baricentrica.

Tornando al problema dello sviluppo dell’orda primigenia, osserviamo che il processo evolutivo procede attraverso incollamenti successivi fra le molecole portanti l’informazione genetica (DNA) che la selezione abbia posto in posizione di sinergia con riguardo ad una funzione svolta da un gene. Ciò comporta il rafforzamento delle interazioni esercitate da questo gene nonché lo svolgimento di operazioni di riequilibratura in tutti gli altri componenti che possono dar luogo alla nascita di nuove qualità nonché a retroazioni regolative sul gene da cui la variazione si è originata.
Dunque, la presenza di un elemento che premi, in termini di sopravvivenza all’azione selettiva proveniente dall’esterno, deve necessariamente esistere perché si inneschi il processo evolutivo anche qualora il vantaggio iniziale sia estremamente piccolo.
In questo senso gli elementi da cui può essere partito il processo evolutivo sono:
1 -la presenza di una grande dimensione della paura, il cui prolungamento nel tempo ha consentito di mantenere attivo il processo evolutivo,
2 – La presnza di impulsi “empatici”, cioè donatari, quali l’impulso genitoriale e l’impulso sessuale sia omo che etero. Da notare però che l’incremento della dimensione di questi impulsi trovò un limite compatibile con una dimensione assai piccola dell’orda, quale quella di una grande famiglia. In una condizione di estrema tensione della lotta della sopravvivenza la quantità di energia che poteva essere consumata dall’orda per la protezione dei più deboli, in particolare dei bambini, aveva un limite critico oltre il quale veniva compromessa la sopravvivenza dell’intera orda.
3 – la presenza di una capacità associativa del cervello. Questa facoltà permetteva di realizzare legai empatici anche sul piano ontologico, così che il suo sviluppo genetico determinò un progresso anche in tale possibilità di formazione ontologica.

Il più importante sviluppo determinato dal processo evolutivo fu come detto, la permanenza della paura che consentì per conseguenza la continuazione del processo evolutivo. L’impulso così prodotto, trovando scarico nella partecipazione sociale, si caratterizzò come bisogno sociale che assunse, con il progredire del processo evolutivo, una dimensione pari a quella dell’impulso di conservazione individuale con cui in alcuni caratteri si identificava o che addirittura sopravanzava. La permanenza ed il perfezionamento organizzativo dell’orda comportò infatti, che la sua formazione non fosse più un fatto episodico, dovuto alla presenza immanente del pericolo, ma venisse assunta a livello genetico. Nella maggior parte degli animali un tale sviluppo comporterebbe la fissazione rigida di determinati comportamenti, come avviene per le api o per le formiche, ma in alcuni animali, particolarmente nei mammiferi, viene lasciata una certa area di libertà nel comportamento, area che viene coperta dalla intelligenza che porta alla scelta del comportamento più idoneo alle circostanze. In genere negli altri animali l’elemento situazionale che richiede un intervento intellettivo è abbastanza semplice, quale, ad esempio, lo sviluppo di paura di fronte ad un determinato pericolo, che da luogo alla fuga o alla estroflessione della paura in attività aggressiva, alternative per le quali sono sufficienti pochi bit che rappresentano l’intelligenza dell’animale.  Nell’uomo invece l’area di libertà del comportamento divenne molto più estesa per effetto dello sviluppo della capacità di commutazione che offrì al gruppo sociale una molteplicità di programmi operativi alternativi e che rappresentò l’arma vincente sviluppata dall’evoluzione, una volta che il meccanismo era stato innescato dalle necessità di avvistamento e aveva cominciato a migliorare le condizioni di sopravvivenza che la progressiva riduzione della foresta rendevano sempre più critiche.

Nell’orda, in definitiva, il comportamento aveva una flessibilità che ne consentiva un esteso adeguamento alle necessità ontologiche di un animale privo di armi naturali. Tuttavia occorreva ovviamente che sussistessero comunque dei vincoli genetici che, seppure non irrigidissero in poche alternative il comportamento, ne assicurassero lo svolgersi nella semantica della sopravvivenza.  L’evoluzione ha perciò premiato quella organizzazione sociale in cui la paura, che aveva determinato l’innesco del processo aggregativo ancestrale, sussisteva anche quando il pericolo non sussisteva, così da ripetere il suo effetto aggregativo sul piano ontologico, ma dando luogo a elementi organizzativi e comportamentali che potevano variare in relazione ai valori assunti da una serie di variabili ambientali in essere nei vari momenti evolutivi. È a questa paura, che sussiste anche in assenza di alcun pericolo, quindi incomprensibile se non ci si rifà al particolare processo evolutivo umano, che viene dato il nome di angoscia esistenziale, cioè connessa al semplice fatto di esistere. Poiché essa viene portata a scarico dalla integrazione nel sistema, ne possiamo concludere che essa esprime un bisogno di protezione che trova scarico in questa integrazione, esprime cioè un bisogno sociale, la cui frustrazione dà luogo all’angoscia, che esprime quindi l’insuccesso del processo integrativo.

Naturalmente, la condizione di aggregazione è solo una prima basilare condizione organizzativa; l’elaborazione della attività comportamentale del gruppo, l’estrinsecazione di quella intelligenza che risulterà l’arma vincente implica altre ed importanti stratificazioni organizzative che danno luogo a livelli crescenti di efficienza nella attività produttiva della sopravvivenza. Alla eterogeneità distribuzionale delle forze sociali, che esprime l’organizzazione del sistema, che le convoglia verso un determinato obiettivo, deve perciò corrispondere una eterogeneità della struttura psicologica degli individui e particolarmente della dimensione assunta dal bisogno di integrazione. È difficile stabilire se questa eterogeneità preesistesse all’aggregazione o sia uno sviluppo evolutivo ad essa connesso, rimane il fatto che si tratta di una condizione fondamentale perché la semplice aggregazione evolva verso forme organizzative più complesse. Pertanto il bisogno di integrazione non ha la stessa forza in tutti gli uomini, ma sopratutto non ha la stessa caratteristica di coniugazione attiva o passiva che definisce quindi due classi fondamentali, quella maggioritaria, delle masse, in cui l’impulso si esprime in termini di bisogno di protezione da parte della potenza del gruppo e quella minoritaria del potere, in cui l’impulso si esprime in termini di acquisizione della potenza del gruppo, che definiamo impulso dominativo o volontà di potenza. Possiamo anche indicare le due tipologie psicologiche come quella dei deboli e quella dei forti oppure, con Jung, degli introversi e degli estroversi ed è inoltre indifferente in questo contesto rilevare che le modalità comportamentali di questi impulsi sono soggette ad un certo livello di relativismo, nel senso che un individuo può comportarsi da debole nei confronti del più forte e da forte nei confronti del più debole.

Ora, il bisogno di integrazione delle masse esprime un impulso fissato rigidamente in termini genetici e, se non frustrato, dà luogo ad un tipo di aggregazione di particolare forza che, in altri settori, è stato denominato “incollamento” o “sintesi” e comporta la messa in sintonia dei flussi di energia dei componenti, così da formare una unità in cui i componenti perdono la loro individualità. Tale sintonia riguarda ovviamente, nel nostro caso, l’ambito psicologico, cioè l’ambito dei rapporti interpersonali, determinando una “dipendenza psicologica” che investe gli impulsi ed in particolare l’intelligenza, che ne è la propaggine ultima. Essa comporta il bisogno di ricevere “disposizioni”, senza le quali la massa è incapace di prendere qualsiasi decisione che non sia la sottomissione o la fuga, disposizioni che non sente come costrizione ma come risposta funzionale alla domanda di protezione. Ciò ci permette di dedurne che il bisogno sociale esprime qualcosa di più di una semplice richiesta di protezione, ma sia una richiesta di identificazione totale che permette di definirlo un “bisogno di amore”.

Ciò comporta, che l’ambito operativo lasciato all’intelligenza viene, nelle masse, ridimensionato, portando ad una rigidità del pensiero e del comportamento indotti dalla società e particolarmente dal potere. L’esigenza evolutiva che ha dato luogo a questo risultato è ovvia; la necessità di una unità di comando e quindi di un pensiero prevalente, unica alternativa, in condizioni di pericolo, all’ immobilismo o al caos. Gli individui forti del gruppo, invece, non sono sottoposti ai vincoli limitativi della intelligenza che impongono, come richiedeva Mussolini, di “credere, obbedire, combattere” e ciò ha l’importante conseguenza che, se noi escludiamo la piccola minoranza di uomini dotati di impulsi empatici, il loro comportamento, guidato da impulsi esclusivamente egoistici, può avere una assai più ampia variabilità in relazione ai valori assunti dalle variabili esterne al sistema.

Si può osservare che nell’orda non sussisteva un solo uomo forte, cosicché la condizione di indecidibilità sarebbe dovuta permanere per effetto della molteplicità dei loro giudizi, ma tale eventualità era scongiurata dalla concentrazione della dipendenza psicologica della massa in un solo uomo, il capo, condizione che non è solo dell’orda, ma è tipica di tutti i branchi cacciatori. Tale concentrazione ebbe una importanza estrema come elemento organizzatore e regolatore delle interazioni fra i componenti dell’orda, e dotava il capo di un grandissimo potere anche nei confronti degli uomini forti del gruppo. Quindi anche se potevano esistere, nell’ambito delle stratificazioni caratteriali, uomini dotati di libero pensiero, il potere decisionale ultimo apparteneva esclusivamente al capo.

Tuttavia, sarebbe errato ritenere che gli uomini forti del gruppo fossero ad esso legati solo per una comunanza di utilità acquisita esclusivamente sul piano razionale, senza alcun coinvolgimento emotivo. La continua presenza di un gravissimo pericolo costrinse infatti i nostri progenitori a non sprecare le energie disponibili nelle dispute interne e a concentrarle tutte sul pericolo esterno; portò cioè di necessità ad un alleggerimento degli impulsi dominativi interni, nonché gradualmente ad un coordinamento dell’iniziale parallelismo comportamentale dovuto alla comunione del pericolo, condizioni che portarono ad una completa integrazione nel sistema e alla completa scomparsa delle manifestazioni di dominio delle strutture di comando. L’unica differenza era costituita dal fatto che nelle strutture di potere la permanenza della condizione di coordinamento era legata alla permanenza del pericolo mentre nella massa aveva una origine genetica, indifferente alla presenza o mano del pericolo esterno.

Ho mostrato, in un precedente post, come la comunanza del pericolo determini, a livello della struttura reticolare del cervello, la comunanza delle memorie di allarme e di rassicurazione e come ciò comporti la trasmissione, da un partner all’altro, di tutta la struttura dei vincoli comportamentali di formazione ontologica. In tali condizioni si sviluppa un processo di identificazione, cioè di incorporazione in un unico “soggetto” che esclude qualsiasi manifestazione di dominio che può solo svolgersi fra un soggetto ed un “oggetto”. Ciò non significa che non si sviluppi una gerarchia nell’ambito del gruppo così formato, ma l’ordine che il più forte rivolge al più debole viene vissuto da quest’ultimo come una indicazione comportamentale che risponde alla sua domanda di protezione, come un elemento funzionale che indica la via per raggiungere l’obiettivo; in sostanza come una manifestazione di amore.

Perché il processo si svolga in questo modo, dando cioè luogo ad un processo di identificazione totale, quindi ad un rapporto di amore, non è sufficiente l’esistenza del pericolo esterno; occorre l’intervento di ulteriori campi di forza che si produce nell’ambito di un processo complesso che si svolge nell’infanzia fra genitori e figli in cui gioca un ruolo fondamentale l’impulso genitoriale. Fra i figli invece, il rapporto che si creava era di incollamento parziale, il che implica che il rapporto di integrazione che ne scaturiva era di un tipo dialettico, che implicava un equilibrio dei rapporti fra il dare e l’avere, cioè dei rapporti di scambio, dovuto alla comunanza del pericolo e all’azione regolatoria svolta dal padre. Ad eccezione quindi di particolari rapporti di amicizia che potevano essere mediati dall’impulso sessuale, sia etero che omo, essi non raggiungevano quella profondità di identificazione che costituisce il rapporto di amore, nell’ambito del quale il dolore dell’uno è il dolore dell’altro, il piacere dell’uno è il piacere dell’altro e non esiste competitività, non esiste confronto. Questa condizione di amore veniva invece realizzata da tutti nei confronti del capo, del grande padre, come aveva per primo intuito Freud.

Cionondimeno, la competitività fra i membri del gruppo, non costituì per l’orda un fardello che ne minasse l’efficienza, tutt’altro, in quanto veniva mediata dai risultati ottenuti nella guerra esterna per la sopravvivenza, di cui quindi costituiva elemento di incremento della produttività. Alla abilità mostrata nella caccia doveva quindi corrispondere un aumento di importanza che si manifestava con l’acquisizione del premio più ambito, la soddisfazione sessuale. Il desiderio sessuale doveva pertanto essere necessariamente e continuamente stimolato da nuovi oggetti, specialmente se essi erano desiderati dagli altri (terzismo sociale del desiderio). Ciò per determinare la sua strutturale perenne insoddisfazione che preservava la funzione di stimolare l’attività produttiva. Corrispondentemente la forma assunta dall’impulso sessuale femminile doveva concorrere a realizzare questi obiettivi. Nelle femmine infatti l’impulso sessuale confluì integralmente in quello sociale, così che l’uomo di successo nella caccia divenne l’oggetto privilegiato del desiderio femminile.

Quindi nell’ambito dell’orda doveva sussistere una estrema mobilità dei rapporti sessuali che manteneva viva una intensa competitività, condizione che, pur realizzando l’obiettivo della massima efficienza produttiva del branco, non doveva portare a modificazioni del livello di importanza, vale a dire del livello di integrazione, tale da ledere la condizione di incollamento dei soccombenti. Occorreva perciò che, pur essendo sentite appassionatamente dai membri dell’orda, le variazioni dei livelli di importanza conseguenti alla competitività mediata non potessero risvegliare l’angoscia esistenziale che trovava sfogo nel rapporto sociale. In definitiva, lo scarico dell’ansia esistenziale non era messo in gioco, se non marginalmente, dagli accadimenti sessuali, come invece accade oggi in cui l’angoscia esistenziale trova il suo scarico in un rapporto individuale e rinasce quindi violentemente alla sua rottura.

Da quanto abbiamo fin qui illustrato, emerge l’importanza centrale della figura del padre e del rapporto di amore che lo legava all’insieme dei figli, cioè dei membri dell’orda, conseguenza della presenza dell’impulso genitoriale. A differenza di quanto avveniva fra i figli, la comunanza di un oggetto del desiderio non comportava la competizione nella soddisfazione, ma la comunanza anche in quest’ultima. Quindi, pur nell’ambito di una indubbia prevalenza possessoria di tutte le femmine dell’orda, era assente nel capo la richiesta di esclusività e la gelosia per la formazione di legami delle femmine con altri membri del gruppo, ma anzi il governo di tali rapporti rappresentava un esercizio di potere da cui traeva soddisfazione e che poteva venire esercitato in termini di stimolo dell’impegno di tutti i componenti dell’orda nella attività di caccia.

L’introiezione dell’impulso sociale era influenzato dal fatto che l’esercizio del potere comportava non solo la protezione nei confronti del pericolo esterno, ma anche contro la sopraffazione interna. Tale azione regolatoria si manifestava anche nell’ambito sessuale in virtù del fatto che il capo era la fonte di attrazione massima non solo per le femmine, ma anche per i maschi, anche se, ovviamente, sul piano dominante dell’incollamento sociale. Egli era perciò, con i termini di Girard, il mediatore ultimo del desiderio.

Niccolò Machiavelli, commentando le ricostruzioni storiche di Tito Livio ed in particolare gli avvenimenti che diedero luogo in Roma alla nascita del tribunale del popolo, faceva risalire all’ accordo di solidarietà fra il potere e la massa con esso raggiunto, unico esempio nella storia, l’origine della potenza di Roma. Si trattava comunque dell’instaurazione di un rapporto di integrazione di tipo dialettico, poca cosa rispetto alle conseguenze della connessione psicologica di identificazione con il capo. È qui il segreto della enorme potenza infine raggiunta dall’orda. Immaginate quest’orda che agisce mobilitando tutte le sue forze come fosse un solo animale dotato di centinaia di mani, ognuno sapendo con precisione cosa doveva fare, con una sicura linea di comando, organizzazione che più perfetta non poteva essere, perché è in questo incollamento profondo, in cui tutti i flussi di energia sono sintonizzati pur essendo gerarchizzati che l’organizzazione assume la sua massima potenza.

Ho già avuto modo di mostrare, in altro post, come questa stupenda struttura si sia sfaldata in seguito allo sviluppo della tecnologia che ha comportato la fine del pericolo esterno, facendo mancare l’azione selettiva e arrestando quindi il processo evolutivo. Tale condizione liberò innanzi tutto gli uomini “liberi”, cioè già per natura esenti dai vincoli genetici del bisogno d’amore, anche dai vincoli ontologici imposti dal pericolo esterno e successivamente determinò anche, in seguito all’aumento della popolazione conseguente alla disponibilità del cibo, la sterilizzazione della possibilità di regolazione svolta dal capo, di cui conosciamo la estensione limitata.

La rottura del rapporto padre-figlio rappresentò un vulnus irrimediabile al sistema innescando una condizione perenne di angoscia e quindi di dolore nella massa. La contemporanea sostituzione dell’elemento costrittivo a quello funzionale nell’ambito dei rapporti fra le stratificazioni gerarchiche, dovuto alla liberazione dai vincoli ontologici della volontà di potenza, rese difficile la formazione di gruppi ribelli che non fossero espressione della competitività interna al potere,perché l’organizzazione richiede la presenza del forte, senza di esso la massa rappresenta una materia amorfa in preda alla paura, incapace di una azione unitaria. La massa ha bisogno del suo nemico, come meravigliosamente espresse Petrarca:

Passa la nave mia, colma d’oblio/ per aspro mare, a mezza notte, il verno/ enfra Scilla e Cariddi; ed al governo/ siede il signore, anzi il nemico mio./ La vela rompe un vento umido, eterno,/ di sospir, di speranze e di desio,/ pioggia di lacrimar, nebbia di sdegni/ bagna e rallenta le già stanche sarte/ che son d’error, con ignoranza attorto.

In tale contesto fu di particolare interesse del potere non consentire, la ricostituzione del rapporto genitoriale e degli altri rapporti empatici di amicizia, nella forma assunta nell’orda, nell’ambito dei piccoli nuclei familiari che costituirono le cellule elementari della struttura sociale che sostituì l’orda. Ciò per la loro grande capacità di superare qualsiasi ostacolo all’aggregazione e quindi di ricostituire gruppi oppositivi al potere sopraffattore, cioè per la loro enorme potenzialità rivoluzionaria. L’operazione fu facilitata dal fatto che in tali piccoli nuclei familiari il padre naturale era con la massima frequenza un uomo debole, quindi succube dei comandi del potere e che poteva trovare soddisfazione dalla piccola sfera di dominio che gli era riservata in tali piccoli nuclei familiari, condizione inesistente nel capo dell’orda che si trovava in una condizione aprioristica di superiorità.

L’approfondimento di questo argomento, assai complesso e che coinvolge importanti mutamenti degli equilibri istintuali, non è possibile in questa panoramica complessiva del rapporto fra l’esplosione della violenza e la frustrazione del bisogno di amore [2]. Particolarmente complesso e costituente il nucleo centrale della struttura repressiva quindi indotta fu l’inserimento di una componente dominativa nel rapporto fra il padre e il figlio. L’impulso genitoriale nasce infatti già con una aprioristica condizione di identificazione nel figlio ed ha già in se stesso gli elementi regolatori del rapporto che impediscono che sia produttivo di qualsiasi danno. Fu pertanto necessario trasformare in nocivi al figlio certi elementi di contatto invece necessari al perfezionamento del rapporto, indurre la necessità di imposizioni limitative della libertà per proteggerlo dalla violenza determinatasi al di fuori della famiglia, investire il padre della caratteristica di educatore che in sostanza comportava l’induzione all’ ubbidienza alle regole indotte dal potere, per raggiungere l’obiettivo dell’inserimento della componente dominativa anche nel rapporto genitoriale, condizione che indusse una lesione nel rapporto e ne distrusse la capacità rivoluzionaria.

Dunque, come conseguenza della crisi dell’orda, il potere venne assunto dagli uomini liberi dai condizionamenti identificativi da cui nascono le istanze empatiche o etiche, uomini dunque per i quali quindi l’altro è un oggetto. Essi esibiscono un comportamento egoistico non piegato, come nelle masse, dalla paura e dal bisogno di protezione ed incarnano la figura di Zarathustra che così si autodescriverebbe: Ignoro quanto atroci siano i battiti cupi della paura. E quanto spossante possa essere la tenerezza e lo stringersi smarrito del cuore nel momento della pietà. Momenti inutili, contorti dell’uomo che piange.

La volontà di potenza di questi uomini è stimolata da qualsiasi oggetto esterno che solleciti un campo di forze costituito dal riconoscimento di specie, quindi da qualsiasi uomo che si frapponga alla loro smania dominativa allo stesso modo in cui un grave non può evitare di essere attratto da un altro grave e di precipitarvisi contro se non esiste un terzo grave che devi la traiettoria e che nel caso dell’impulso dominativo è costituito dal pericolo esterno. La volontà di potenza quindi non ha limiti, tende al potere assoluto su tutti i suoi oggetti.

Secondo  certi  pensatori,  è  il  capitalismo  che  realizza   questa condizione. Dovendo infatti l’impresa realizzare il  massimo profitto in condizioni di competitività estrema, suoi eventuali comportamenti etici  equivarrebbero   alla   sua  fine,  così  che essa è in un certo senso obbligata ad adottare un comportamento   egoistico. Da qui alcuni  pensatori  (Marx, Engels)  hanno  tratto la conseguenza che l’abolizione  del  capitalismo  e della proprietà privata che ne è alla base indurrebbe ad un mondo più pacifico e giusto. Si tratta di una visione assai errata, come è stato mostrato  dalla storia, visto che la guerra intraspecifica affligge l’umanità dai più antichi tempi assai prima della nascita del capitalismo. È il potere in qualsiasi forma che ricerca il suo massimo profitto e in condizioni  di  competitività estrema,  così che  chi  si  pone  dei  limiti  è  esposto ad essere eliminato.  Certamente  il  potere  economico  ne rappresenta una forma  nuova, più subdola, perché la individuazione  dei  centri  di potere  è  evanescente  e perché  assume, attraverso la moneta,  una  forma  liquida  e  frammentabile, che le permette di infiltrarsi dovunque,  con  una conseguente capacità di corruzione che la fa assomigliare ad una droga dalla cui dipendenza non può sottrarsi né  la  massa  che  vi  trova elementi di sicurezza, di sostituto del padre, né  gli  uomini  di  potere che ne valutano la potenza che è capace di attribuire ai suoi possessori.

Consideriamo adesso il destino della massa dei deboli, della stirpe serva  di  Abele.  Anche nella  massa  l’impulso   fondamentale   è egoistico, ma si manifesta  in  una  forma  passiva, di bisogno dell’ altro.  E’ un impulso fortissimo, senza  la  cui  soddisfazione l’uomo non  può  vivere,  come  non  può vivere  senza  respirare.   E  si concentra  sull’ uomo  forte  che  non può essere sostituito, se non debolmente, da un   debole.   Naturalmente,   in   condizioni   di frustrazione   del   bisogno   d’ amore,  i singoli  individui  possono cercare  di  ottenere  la soddisfazione del loro bisogno da parte di un   altro   uomo,  trasferimento  della   dipendenza  che  in  effetti costituisce, come ben rilevò Jung,  l’elemento  più importante della cura psicanalitica, ove assunse la denominazione di  transfert.  Ma quando  ci  si  riferisce all’intera massa, la soluzione in  realtà non esiste se non in via provvisoria, per chi si lascia sedurre dal canto delle sirene sostituite, nella fattispecie, dagli uomini forti in cerca di seguaci per le loro battaglie, cui seguirà poi la disillusione,  perché il  distacco   fra   il  potere  e  la  massa  è   la   conseguenza  del mutamento strutturale del sistema che ha comportato la rottura del legame di solidarietà che li univa.

Ovviamente, la indipendenza del potere dalla massa è conseguenza del fatto che la produzione dei beni poté essere realizzata da una quota assai piccola di lavoratori estratti dalla massa e che ciò malgrado, per lo sviluppo della popolazione, la quantità dei beni risultò insufficiente a coprirne i bisogni. Ciò determinò una condizione di concorrenza per l’acquisizione del posto di lavoro, concorrenza che ne abbassò il tasso di remunerazione lasciando così agli uomini forti il potere di distribuire le risorse lungo una scala gerarchica (in primis nella forza militare) che divenne così una gerarchia di incollamento al potere, struttura portante della loro potenza. E’ però evidente che in ambiti di popolazione limitati, quali certi paesi in cui lo sviluppo economico ha portato ad un certo livello di reddito tutta la popolazione, l’ulteriore aumento della produzione dei beni deve essere necessariamente assorbito dai lavoratori, non sussistendo la concorrenza della massa dei disoccupati e ne consegue un ridimensionamento del potere distribuzionale del capitale. E’ per questo motivo che il capitalismo richiede gli ampi spazi, la globalizzazione, cioè la liberalizzazione dei movimenti di capitali e materiali per tutto il mondo, che permette di fare entrare nel gioco centinaia di milioni di disoccupati e sottoccupati che rappresentano per le masse dei paesi sviluppati uno tsunami devastante l’industria ivi localizzata, fonte della loro ricchezza.

Tornando a considerare gli effetti nella massa della rottura del rapporto simbiotico con il potere, occorre innanzi tutto rilevare che, data la complessità della struttura stratificata del sistema, a sua volta connessa alla variabilità caratteriale estrema degli individui, gli effetti furono molteplici ed interagenti, dotati cioè essi stessi di una notevole complessità. Il ripetersi della frustrazione nei confronti del potere, dovuto al fallimento ripetuto del transfert, portò allo sviluppo di un transfert metafisico, cioè alla identificazione del capo in una entità posta al di là del mondo fisico, in Dio, concetto la cui nascita era certamente pre-esistente alla crisi dell’orda, ma che in quella occasione assunse un rilievo ed una importanza del tutto particolare. Questo transfert ha caratteristiche particolari di resistenza, in vista della proiezione metafisica anche della gratificazione promessa, ma non escludeva la presenza di un mediatore umano che trasmettesse i comandamenti del Dio condizionanti il premio, giacché è in questa funzione che si sostanzia la necessità del capo. Senza ordini la massa è come l’equipaggio di una nave senza nocchiero, incapace di definire la rotta; la figura del Dio, padre e capo, priva di qualsiasi elemento di comunicazione, sarebbe priva di senso e di conseguenze. Ma la mediazione era ancora una condizione di potere che poté utilizzare la maggior forza connessa al supporto metafisico per indurre una rivoluzione nella struttura degli impulsi, realizzando, come già accennato, la proibizione di quegli elementi di comunicazione che permettevano l’estrinsecarsi degli impulsi empatici, così inibendo la loro capacità di dar luogo a raggruppamenti alternativi, quindi rivoluzionari, in quanto coinvolgenti anche uomini forti, dotati della capacità di comando, su cui poteva convergere il transfert.

La struttura degli impulsi che fu così ottenuta rese più difficile la realizzazione del transfert della dipendenza di parte della massa da un uomo forte all’altro e consentì quindi una diminuzione dei conseguenti conflitti interni che dovettero rendere ben triste la vita dell’orda nei tempi immediatamente successivi alla sua crisi, così che la condizione raggiunta dovette sembrare una liberazione anche se implicava un rafforzamento ed uno stabilizzarsi della sopraffazione esercitata dal potere.

L’inserimento di una componente di dominio nel rapporto padre-figlio all’interno della famiglia cellula, a cui abbiamo già accennato, costituisce un caso particolare di un processo più generale, dove la particolarità è dovuta alle caratteristiche empatiche genetiche dell’impulso genitoriale che sono donatarie. escludono cioè la componente dominativa. In questo caso, come abbiamo già visto, si richiese un mutamento della struttura dei valori attraverso cui l’azione dominativa risultasse necessaria per l’integrazione dei figli. Ho anche già accennato a tale processo più generale in cui l’inserimento avviene nell’ambito di tutti i rapporti sociali e adesso desidero riprenderlo dal punto di vista della componente sociale soccombente, cioè della massa e sopratutto nei confronti del rapporto che la massa instaura con il capo.

La crisi dell’orda comportò la sostituzione, ad un processo di unificazione consistente nel coordinamento, cioè nell’assegnazione di una eguale direzione di movimento a tutti i flussi di energia, un processo dialettico, in cui esistono, in ciascun compnente el gruppo, due flussi di energia agenti in direzioni contrastanti che possono essere rappresentati in termini di dare/avere, dove per l’individuo debole il dare è costituito dall’accettazione del dominio mentre l’avere è costituito dalla ricezione della protezione. Il processo dialettico consiste in una attività di scambio resa possibile dal fatto che entrambi i flussi agiscono su uno stesso capo di forza dolore-piacere in cui gli effetti delle due forze sono sommabili algebricamente. Tale processo è influenzato dall’esistenza dell’illusione cioè dalla modificazione della percezione della realtà nonché dalla speranza che è una modificazione della probabilità di un evento futuro. Si tratta di soddisfazioni autoctone dell’impulso di amore che danno luogo ad un aumento della soddisfazione connessa al flusso protettivo. Fintanto quindi che quest’ultimo, sia pure sopravalutato per effetto dell’illusione, non viene azzerato, il suo effetto di riduzione dell’angoscia risulta superiore alla sofferenza indotta dalla sottomissione al dominio, così da dare un risultato complessivo di piacere e quindi permettere la associazione. Se la differenza supera una certa dimensione critica, si verifica il fenomeno detto del cedimento plastico secondo cui il dominio non viene semplicemente sopportato in virtù del beneficio protettivo (come invece avviene nel cedimento elastico) ma, in quanto strumento di raggiungimento del piacere, diviene esso stesso produttore di piacere.

Diciamo che la sottomissione è introiettata nell’impulso sociale e che le manifestazioni di questo impulso non differiscono dalla condizione di sottomissione che si sviluppa nei confronti del padre nella condizione di incollamento profondo. Tuttavia, una differenza sussiste in quanto, malgrado la sottomissione sia vissuta come una produzione psicologica propria, nell’impulso creato dal processo dialettico è incorporata anche la paura della disobbedienza che farebbe perdere la protezione, condizione che invece non sussiste  nell’impulso che dà luogo alla identificazione dove il figlio si sente accettato per quello che è, senza condizioni. Ciò è sufficiente per indurre un timore del padre che, seppure vissuto sul piano subliminale, rompe l’unità simbiotica del rapporto fra genitori e figli.

Dunque, fintanto che da parte del potere sussisté un interesse al rapporto con la massa, sia pure non così estremo come nelle fasi più delicate della vita dell’orda, il bisogno sociale delle masse poté trovare soddisfazione, sia pure con il contributo dell’illusione e del cedimento plastico che permisero di non avvertire la componente costrittiva del rapporto, ma con la formazione di una condizione di timore che, pur manifestandosi suun piano subliminale, distrusse l’unità granitica dell’orda.

Ritengo che una condizione del genere si sia verificata già nella vita dell’orda per la necessità, in cui può essersi trovata, di aumentare la sua dimensione ben oltre la dimensione sostenibile dall’impulso genitoriale, cosicché nell’ambito della affettività rivolta a tutti i componenti dell’orda, abbia giocato un suo ruolo l’illusione. Una condizione del genere si è poi certamente verificata nell’ambito della organizzazione tribale che fece seguito alla rivoluzione metallurgica che, con il perfezionamento estremo delle armi, rese la caccia assai più agevole che nell’orda. Tuttavia, nella condizione pre-agricola la caccia costituiva ancora una rappresentazione corale del gruppo, in cui la gerarchia coincideva con la bravura nella produzione dei beni e, data la dimensione ancora contenuta, potevano svolgere un ruolo importante gli impulsi empatici. Infine, una condizione del genere si verifica ancora oggi, nell’ambito delle stratificazioni sociali più prossime al potere centrale, ove l’interesse di quest’ultimo è legato al fatto che queste strutture, in particolare l’apparato militare, sono un indispensabile strumento per il mantenimento del dominio.

Consideriamo adesso cosa succede se l’interesse del potere al mantenimento del rapporto di solidarietà con la massa cessa del tutto. Un esempio che illustra bene tale condizione è quello di una multinazionale  che, inseguendo il suo massimo profitto sposta la produzione nei paesi a basso costo della manodopera lasciando privi di reddito i lavoratori della fabbrica che viene chiusa. Onde valutarne le conseguenze occorre fare una premessa. Ogni membro della massa non è ovviamente in grado di comprendere quanta parte della sua struttura istintuale, dei suoi valori, dei suoi convincimenti, sia in lui travasata dal suo intorno sociale, in cui è nato o in cui si è posto per effetto di transfert. E non può neanche ovviamente avvertire quanta parte del suo sentire sia dovuto all’illusione o al cedimento plastico. Questa impossibilità è stata sostenuta da molti pensatori ed è addirittura contenuta nelle prime scritture che si conoscano, nei versi dei Veda, libri sacri dell’induismo, che risalgono a diverse migliaia di anni prima di Cristo. E anche Cristo riteneva che fosse più facile discernere il fuscello nell’occhio altrui che la trave nel proprio. Oggi questa impossibilità costituisce un principio fisico fondamentale, il principio di relatività che esclude la possibilità di una autoreferenzialità, cioè della percezione della propria condizione di stato. Tuttavia ciò che un uomo non può vedere in se stesso, può vederlo in un altro uomo se quest’ultimo lo possiede in più alto grado.

Vi sono individui che, in risposta all’aumento della sopraffazione giungono alla negazione completa della realtà, in una condizione che viene considerata una malattia mentale, la paranoia. L’individuo appartenente alla massa identifica questa condizione estrema perché assume aspetti diversi dalla sua condizione, senza rendersi conto che tutta la sua vita è imbrigliata in una fitta rete di illusioni e di inganni. Allo stesso modo vi sono individui che, all’aumentare della sopraffazione, parossisticamente continuano a trovare godimento nella sottomissione, condizioni che la massa identifica in coloro che superano determinati livelli di cedimento come una perversione, il “masochismo” ma che non avverte in se stessa anche se tutta la vita sociale odierna è basata sulla diseguaglianza del dare-avere nei rapporti di scambio. In realtà, illusione e cedimento sono aspetti di uno stesso fenomeno; nel rapporto di scambio l’illusione amplifica la sensazione di protezione  e giustifica quindi soggettivamente una contropartita di sottomissione di un livello che ad uno osservatore esterno appare sproporzionata, cioè masochistica.

Paradossalmente, l’ambito sessuale, dove con più evidenza viene riconosciuto il masochismo, è quello in cui questo può effettivamente raggiungere l’obiettivo di creazione di un legame perché in tale ambito esiste certamente, se il rapporto si innesca, un interesse del dominante a che in dominio sia desiderato dal dominato, perché in tal modo fornisce alla parte sadica quel ritorno del desiderio che in altra occasione ho mostrato essere fondamentale per determinare lo scarico nel rapporto di amore. Purtroppo l’attrazione sessuale è soggetta a decadimento e ciò può spingere i partner ad innalzare il livello della violenza per cercare di ritrovare il piacere perduto. Il gioco diviene allora estremamente pericoloso.

In linea generale agli alti livelli di frustrazione del bisogno sociale si determina l’emergenza della grande paura, dell’angoscia, che ne è il motore, il che porterebbe allo sviluppo di una condizione depressiva, espressione dell’opzione di default della paura, la fuga che in questo caso è fuga dalla vita, se non si verificasse lo scontro con l’impulso di conservazione individuale. In ogni modo, che in casi estremi tale condizione porti alla morte, sia direttamente, come suicidio che indirettamente, tramite le innervazioni psicosomatiche, particolarmente attraverso la depressione del sistema immunitario, non sembra che si possa oggi mettere in dubbio. Il mantenimento dell’angoscia non è però sopportabile da una molteplicità di caratteri che imboccano la strada  della distorsione dei termini dello scambio attraverso le manifestazioni paranoidi dell’illusione e del masochismo. In questi casi il passaggio per la fase depressiva è addirittura virtuale perché esiste una “paura di provare paura” che agisce a livello subliminale, quindi non avvertibile a livello di coscienza.

La esaltazione della illusione e del masochismo per dar luogo allo scarico dell’angoscia esistenziale, che può giungere fino all’esaltazione appassionata della schiavitù, è però tipica delle stratificazioni più deboli della massa ed è quindi particolarmente sviluppata nella componente femminile. Nella maggior parte degli uomini, oltre un certo livello di frustrazione del bisogno di amore, si realizza una condizione di “cedimento elastico” in cui al cedimento, che comporta l’accettazione della sottomissione, si accompagna la formazione di energia reattiva nei confronti del mondo esterno e particolarmente del padre-capo. Come sappiamo, la frustrazione del bisogno di amore si traduce nella formazione di una grande paura, che abbiamo definito angoscia e la paura ha come comportamento di default la fuga che, se impedita, si trasforma in aggressività, processo che vine definito “estroflessione della paura”. Tale energia reattiva viene mantenuta a livello potenziale dalla paura che il gruppo comunque esercita.

Questa violenza nei confronti dell’intero sistema, mantenuta a livello potenziale dalla paura, si manifesta però nell’ambito dei singoli rapporti interpersonali ogniqualvolta la condizione di superiorità libera dalla paura, inasprendo la competitività. L’esercizio di questa violenza richiede inoltre che l’azione violenta si manifesti fuori del controllo del gruppo che, sviluppando la paura, bloccherebbe l’aggressività. A questo proposito occorre però ricordare cosa comporta il diagramma del gradiente all’avvicinamento dell’impulso di rifiuto, quindi della paura, ottenuto dagli studiosi americani Dollard e Miller.[3]. All’allontanarsi della fonte della paura, questa diminuisce con grande rapidità e questo, ricordiamo è qualcosa che agisce sull’impulso non sull’intelligenza. Se un individuo si astenesse dal commettere un reato per la considerazione della punizione cui va incontro, se ne asterrebbe in ogni caso se fosse sicuro della scoperta, ma se ciò che lo ferma è un fatto istintuale, non razionale, quale la paura, una volta che il controllo del gruppo è fisicamente lontano, diminuisce la paura e con essa il freno inibitore. È questo il motivo per cui la frequenza di certi delitti “passionali” è indifferente alla dimensione della pena. Vi sono anche individui in cui l’aggressività potenziale in cui si trasforma l’angoscia esistenziale esplode eludendo o superando la paura del gruppo, ma si tratta di casi rari che la massa fa rientrare nella follia, come avviene per l’eccesso di illusione nella paranoia e l’eccesso della componente del dare nel masochismo. Ma quando la frustrazione del bisogno sociale raggiunge valori estremi, l’aggressività accumulata può esplodere. Occorre a tal fine che la massa ottenga quello che strutturalmente le manca, cioè un capo che rappresenti l’acciarino che innesca l’esplosione. In questo caso trova facilmente ciò che cerca perché il suo bisogno di scarico del rancore può coincidere con la volontà di potenza di un uomo forte.

La reazione è quindi sempre soggetta ad una operazione di transfert ad un nuovo capo. Questi dovrà mediare la rabbia della massa e indicare la direzione di sfogo. Questa non può essere, ovviamente, quella del suicidio, anche se ciò in qualche caso è avvenuto (vedi il caso del predicatore americano Jim Jones, fondatore della comunità religiosa “Tempio del Popolo”), ma che richiede una pre-selezione di individui caratterialmente predisposti a questa soluzione.

Il capo può indicare un individuo o una minoranza estratti dalla popolazione, ma la soluzione che più si attaglia a soddisfare la volontà di potenza del capo è quella di indicare un nemico esterno, di non facile eliminazione. Tale soluzione ha anche il vantaggio di ricreare una sinergia comportamentale che ricrea il patto di solidarietà interno ed elimina, sia pure con la collaborazione dell’illusione nel ricevere e del masochismo nel dare, almeno parzialmente la frustrazione del bisogno di integrazione.

Ma la situazione in un certo senso più interessante ai fini analitici si verifica quando viene indicato un individuo “estratto” dalla popolazione, la cosiddetta “vittima sacrificale” come l’oggetto dello scarico della violenza, sopratutto quando viene associato più strettamente alla figura del padre, punto centrale, baricentrico, di tutto il processo connesso alla frustrazione del bisogno d’amore che viene, sia pure in via subliminale, inconscia, vissuta come l’abbandono da parte del padre, oggetto centrale di tale bisogno.

Ricordo, infatti, che il bisogno sociale non costituisce una semplice richiesta di protezione, ma vi è associato un bisogno di amore che solo dal genitore può provenire. Pertanto, anche se la rabbia associata alla frustrazione del bisogno sociale può superare la componente affettiva di tale bisogno e portare all’uccisione del padre o della vittima sacrificale che ne è l’avatar, una volta che questo viene distrutto (ma secondo Freud è anche sufficiente che il padre muoia per cause naturali) si fa risentire il vuoto affettivo e con esso la nostalgia ed il rimpianto.

In alcune tribù africane situate fra l’Egitto faraonico e lo Swaziland, studiate da René Girard, l’attività produttiva, anziché sul piano agricolo, si indirizzò sull’allevamento degli animali, quindi senza realizzare quella dimensione della produzione e della popolazione che permise la separazione della società in classi, il patto di solidarietà nella classe dominante, la istituzione della schiavitù, condizioni tipiche del villaggio agricolo, mentre la condizione di isolamento impediva anche la possibilità di scarico nella guerra alle tribù vicine della violenza accumulata nel sistema.

In queste tribù l’uccisione del re veniva realizzata periodicamente, ritualizzata come atto di liberazione dell’aggressività accumulata dall’intero corpo sociale.Ciò evidentemente comportava che la figura del re fosse soltanto simbolica, non dotata di reali poteri, fosse cioè la vittima sacrificale, la cui uccisione fosse la ripetizione rituale di più antichi avvenimenti, una traslocazione paranoica, cioè illusoria resa possibile dal fatto che l’obiettivo reale della aggressività era coperto da una grande paura cui contribuiva l’esperienza traumatica del massacro.

È assai interessante considerare il fatto, su cui si sofferma Girard, che la vittima oggetto della aggressione è anche sacra, il che mostra che il sacrificio estrinseca l’ambiguità della figura dell’autorità, contemporaneamente oggetto di amore e di odio, anche se ciò viene mascherato nell’impulso di sintesi. È come se il sacrificio del padre, scaricando il rancore per l’amore negato, riaprisse le porte a questo amore, svelandone il feroce desiderio. È pure interessante rilevare che anche il Cristianesimo ha il suo nucleo centrale in un sacrificio, quello del figlio di Dio, ripetuto ritualmente nella più importante cerimonia religiosa, su cui poggia paradossalmente il messaggio di amore che porta alla riappacificazione, alla ricucitura di una immaginaria ferita dovuta ad un originario peccato. La soddisfazione connessa al sacrificio è quindi complessa, perché in esso vengono soddisfatti, come nel mito di Edipo, impulsi fortissimi e contrastanti che solo la particolare condizione del sacrificio rende sinergici, impulsi centrali nella formazione della nostra cultura.

Dunque, vi sono nel mondo uomini che giocano fra di loro una partita competitiva e che usano a tal fine le masse come i bambini giocano con i soldatini di piombo; le portano al massacro allo stesso modo di come gli allevatori portano le mandrie al mattatoio, ma con la differenza che le masse vi si recano cantando e ballando come i topi seguirono nel fiume il pifferaio magico. Perché la massa non lo avverte, ma è schiava di questa razza padrona che ne possiede anche l’anima; la sua libertà, come già ha osservato Marcuse,[4] è solo quella di potere cambiare padrone. Perché l’appartenente alla massa riceve sempre dal suo contesto sociale, quello del sottogruppo in cui sia più alto, sia pure su un piano illusorio, il livello di gratificazione, la struttura della sua cultura, le cose cui deve credere, i comandi cui deve obbedire. Vi sono molte fedi, fra le più importanti, che non richiedono alcuna giustificazione; sono quelle indotte nella fase infantile di imprinting. Di altre si dà una pseudo-giustificazione (quella che Freud chiama razionalizzazione secondaria) che ha la sola funzione di inquadramento della fede o del comando in un ambito psicologico in cui l’uomo deve sentire come produzione del suo cervello ciò che invece gli proviene dagli impulsi e dall’interazione con la struttura sociale. Ma la capacità critica è interamente bloccata; qualsiasi baggianata può giustificare qualsiasi comando. Ad esempio si può dire che la differenza nel costo dei fattori della produzione fra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, può essere compensata da una maggiore produttività. Chi se intende di queste cose si rende conto in primo luogo che l’ordine di grandezza delle due cose non è confrontabile, in secondo luogo che non c’è alcun motivo perché la produttività debba essere una proprietà esclusiva dei paesi sviluppati. E gli operai si renderanno conto che, quando la produzione dei beni sarà stata trasferita in altri paesi, non vi saranno più i beni per pagare i loro stipendi e non rimarrà che elemosinarli dai nuovi padroni.

La repressione di un impulso comporta l’impedimento allo stimolo di raggiungere la coscienza e per tal via il centro di scarico, operazione che Freud denominò “censura” e che la teoria dell’organizzazione riconduce ad una “paura di risvegliare la grande paura”, agente a livello subliminale. In tali condizioni l’impulso è come inesistente e la reale condizione di stato è inavvertibile per il principio di relatività. Ma l’arte è in grado di ingannare la censura mediante delle immagini così mascherate da sfuggire alla possibilità di intercettazione della censura, ma non a quella del centro di scarico ove la connessione con il lato mascherato è inscritta indelebilmente nel gene. Il piacere provocato dall’arte, non è aperto a tutti gli uomini, occorre che la censura abbia qualche falla ed è possibile che l’origine del piacere indotto ricada sotto gli effetti della censura e non arrivi alla coscienza. Ma per chi sa gustare l’arte il piacere vi arriva certamente anche se la causa resta ignota ed ha un sapore, un profumo speciale. Vorrei perciò, a chiusura di questo mio scritto, farvi vedere un filmato di grande bellezza, perché sono sicuro che esso parlerà a molti più di qualsiasi argomentazione scientifica.

Si tratta della scena finale del film “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?” di Ettore Scola, film tutto sommato non eccezionale, malgrado i bellissimi panorami che mostra e la partecipazione di quel mostro di bravura che fu Alberto Sordi; film inoltre banale nel suo principale obiettivo, di irridere al provincialismo arrogante di certi italiani danarosi. Ma è nel finale, che vede l’intervento di Nino Manfredi, che il film, per così dire, cambia registro. In questo finale l’amico ritrovato, divenuto stregone di una tribù, malgrado il desiderio di ritornare in patria, non riesce ad abbandonare la sua tribù, superando l’amore che ormai lo lega ad essa. Nella immagine della tribù che, schierata sul bordo della spiaggia del lago, vede allontanarsi il barcone che porta via il suo stregone e in coro invoca di non essere abbandonata, che sembra che dica : “Titti non ci lasciare”, vi è tutto quanto si possa dire sul bisogno d’amore, ma è la interpretazione di Manfredi, da grandissimo attore, che aggiunge a questa scena profondità e bellezza. Si vede sorgere lentamente la commozione, la tenerezza, il dolore del distacco nello sguardo nostalgico e intenso rivolto alla riva e che infine determina l’esplosione dell’amore, il salto con cui si butta in acqua e ritorna a nuoto verso coloro che ormai possiamo chiamare i suoi figli.

Tutti noi uomini, forti o deboli, parte del potere o della massa, siamo schiavi dei nostri impulsi e delle forme che essi assumono nella realtà sociale, delle fedi e dei pre-giudizi, infine delle illusioni e delle speranze che ci impongono. E per primo fu un poeta a comprendere che per molti uomini un attimo solo di felicità è concesso, l’attimo in cui dura l’illusione d’amore. E ad esso si rivolse implorando: “attimo fermati! Sei bello! [5]. Perciò, malgrado la scienza ci avverta della piccolezza del cuore dell’uomo, non possiamo non sognare che vi siano uomini che sentano come proprio il dolore degli altri, che si buttino a nuoto nel mare della vita per raggiungerli.

 

 

Riferimenti

[1]-Firrao S. Il processo di associazione stimolo-risposta nelle reti stratificate. Relazione tenuta al 5° meeting sulla neuroriabilitazione, Clinica Neurologica della 2a facoltà di medicina, Napoli, 6 ottobre 1989
[2]-Firrao S. La repressione degli impulsi in Il potere e la paura, ISBN 978-1-4716-1821-5
[3]-Hall Calvin S.Lindzey G.La teoria dello stimolo-risposta, in Teorie della personalità, Cap.11, Boringhieri, Torino, 1970
[4]-Marcuse H. L’uomo ad una dimensione, Einaudi, Torino, 1968
[5]-Goethe J.W. Faust. Feltrinelli. Milano, 2005.

Sull’impossibilità di autorganizzazione dei sistemi isolati non macroscopici

Nel risveglio culturale del rinascimento e particolarmente nel secolo dei lumi, i successi riportati con il metodo scientifico avevano fatto nascere l’illusione che la forza della ragione avrebbe portato all’avvento di una civiltà più giusta, in cui tutti gli uomini sarebbero vissuti in condizioni di libertà, eguaglianza e fratellanza, nonché ovviamente di benessere economico. Questa fede sulla potenza della ragione e sul suo contenuto etico, cioè del suo indirizzarsi verso il bene comune, poggiava pur sempre su considerazioni filosofiche, giacché la scienza non era ancora in grado di aggredire lo studio dei sistemi complessi, nel cui ambito rientra la struttura delle interazioni umane.

Potevano pertanto permanere in tale ambito concetti ormai affermati da una lunga tradizione culturale secondo cui il pensiero apparterrebbe ad una sostanza spirituale, metafisica, ben distinta dalla sostanza fisica alle cui leggi non sarebbe quindi legata. Ancora Cartesio, l’inventore delle coordinate, riteneva esistesse una “res cogitans” accanto ad una “res extensa” ed ancora Leibnitz, secondo cui gli elementi fondamentali della materie erano le monadi, ne riconosceva l’esistenza di speciali, responsabili delle attività di pensiero ed infine persino Kant, nato 128 anni dopo Cartesio, pur riconoscendo l’impossibilità della conoscenza del noumeno, cioè della metafisica, faceva dipendere direttamente da essa certe componenti psicologiche, ad esempio la legge morale che riconosceva in se stesso. Su questi presupposti non diveniva irragionevole il ritenere che la ragione fosse in grado di coartare la struttura degli impulsi dell’uomo e di avere un fine etico, imposto dalla sua appartenenza ad una struttura spirituale, quale l’anima.

L’avanzamento della scienza e particolarmente il suo recente sviluppo nell’ambito dei sistemi complessi ha distrutto questo insieme di eredità culturali riportando innanzi tutto attraverso la cibernetica il pensiero all’interno del sistema fisico e ponendolo al servizio degli impulsi. Esso appare infatti come un flusso di energia che determina la variazione della rappresentazione simulativa della realtà in un certo ambito determinato da una serie di vincoli limitativi, dati dagli impulsi, senza i quali essa rappresenterebbe una variazione puramente casuale. Si tratta di una rivoluzione culturale di enorme importanza, una rivoluzione copernicana in campo psicologico. I vincoli che indirizzano il pensiero comprendono anche le connessioni logiche, acquisite come vincolo esterno sul piano genetico, ma ciò condiziona le strade da percorrere, non modifica l’indirizzo finale. Questo risultato è stato raggiunto anche sul piano della logica matematica con quello che è ormai il famoso teorema di Gödel, dal quale segue che la logica non può essere produttiva di valori, che gli debbono essere presupposti dall’esterno; si dice che essa esprime la sintassi, mentre la fissazione aprioristica dei valori, la semantica, nel nostro caso è data dalla struttura degli impulsi.

Trattandosi quindi di uno strumento che opera a livello individuale, l’intelligenza potrebbe tendere al bene comune solo se a tale obiettivo tendesse la struttura degli impulsi di tutti o di una parte prevalente della popolazione. Ma gli impulsi che soddisfano a questa condizione altruistica, definiti “empatici”, sussistono invece in una parte assai limitata della popolazione, con estensione dell’oggetto dell’impulso ad una altrettanto limitata dimensione di popolazione e con una intensità, cioè capacità di sopraffare l’impulso egoistico, altrettanto limitata. Non esiste, in definitiva, una intelligenza collettiva di tipo empatico, quale veniva presupposta dagli illuministi.

La scienza dei sistemi complessi ha poi mostrato che un sistema isolato, cioè che non scambi né materia né energia con l’esterno, non è in grado di auto-organizzarsi, cioè di modificare la struttura delle forze che agiscono nel suo interno. L’autorganizzazione può solo realizzarsi nell’ambito di sistemi isolati macroscopici, a livello astronomico [1], [2], [3], e da essa può successivamente estendersi ai sottosistemi.

Ciò dunque comporta che il progresso organizzativo di un sistema richiede una interazione con l’esterno, come in effetti aveva già intuito Darwin. Ciò non significa, ovviamente, che l’evoluzione del sistema sia un processo puramente passivo di adeguamento alle condizioni imposte dall’esterno. L’evoluzione non è costituita dal semplice sviluppo selettivo del più adatto, nel qual caso si avrebbe la proliferazione di quest’ultimo, ma non la creazione di una nuova struttura. L’azione esterna invece modifica gli equilibri interni ed innesca un processo di riequilibratura, o riorganizzazione, interno da cui fuoriesce la nuova struttura.

Tuttavia, per innescare il processo organizzativo l’azione esterna deve avere certe caratteristiche di direzionalità, dimensione, capacità di penetrazione, persistenza nel tempo e tali caratteristiche variano in relazione ad altre caratteristiche corrispondenti del sistema ricevente che, nei casi più complessi, esprime, oltre alla reazione interna organizzativa, anche una reazione esterna (strutture dissipative). Tale reazione non ha la sola funzione di dissipare parte dell’energia entrante per evitare l’innalzamento dell’energia interna che è distruttiva dell’ordine, ma anche quello di interagire con la forza esterna, con ciò trasformando il processo in un continuo colloquio fra il sistema ed il resto del mondo [4].

Al raggiungimento di un certo livello di organizzazione, questa permane anche al cessare della forza esterna (legge di organizzazione dei sistemi aperti di Prigogine) ed il sistema si pone in una condizione che viene definita di massima entropia compatibile con i vincoli interni [5]. Se si tratta di una struttura dissipativa, la permanenza dell’ordine implica che le variazioni dei flussi in entrata e in uscita non diano luogo ad un aumento dell’energia interna. Supponiamo invece che la modifica degli equilibri fra le due forze implichi un certo aumento della energia interna (ad esempio per una riduzione del flusso dissipativo) e si abbia, per conseguenza un degrado, sia pure parziale, dell’ordine raggiunto nella precedente condizione di equilibrio. In virtù della struttura stratificata, cioè della sua composizione a strati di differente rigidità, del sistema complesso, il degrado coinvolge la parte più debole della struttura, arrestandosi ad una certa stratificazione di rigidità, in funzione della dimensione raggiunta dall’energia interna. Ovviamente, vi è un certo livello dell’energia interna, una temperatura, a cui nessun sistema complesso può resistere.

L’assunzione della caratteristica di rigidità, cioè di resistenza anche al cessare dell’azione esterna, da parte delle strutture ordinate prodotte sotto l’azione esterna è dovuta alla presenza di componenti del sistema passibili del cosiddetto “incollamento”, cioè di sviluppare forze di aggregazione di particolare forza se sussistono determinate condizioni indotte dall’azione esterna, dette di parallelismo o anche di “sinergia”. Lo sviluppo di tali forze aggregative viene ricondotto alla sovrapposizione di campi di forza che tale condizione di parallelismo permette nei componenti passibili di incollamento. Ad esempio, nel caso di un sistema gravitazionale composto da molecole di cui una parte sotto forma di ioni, il parallelismo motorio indotto dall’azione esterna comporta una riduzione della interazione cinetica fra componenti in moto parallelo e permette quindi l’accostamento e per conseguenza non solo il rafforzamento dell’attrazione gravitazionale, ma anche lo sviluppo di una ulteriore forte azione attrattiva da parte del campo elettromagnetico degli ioni.

E’ evidente per conseguenza che la presenza di questi componenti passibili di incollamento, se l’ordine residuo permette dei vincoli direzionali che rendano più frequenti condizioni di parallelismo motorio, determina un processo continuo di distruzioni e ricostruzioni di aggregati e quindi della struttura dei vincoli del sistema. Le dimensioni di questi aggregati in condizioni di moto disordinato saranno determinate dalla frequenza dei componenti che sviluppano le forze di incollamento, nonché dal fatto che, con l’aumentare della dimensione e quindi della massa anche la forza di attrazione gravitazionale cresce e ciò favorisce lo sviluppo di una maggiore dimensione degli aggregati. Il surplus di energia interna sarà allora in parte assorbito come energia potenziale disgregativa nell’ambito delle giunzioni di questi più grandi aggregati, ma il vantaggio viene in parte perduto perché gli aggregati così formati saranno più fragili degli aggregati che si formavano precedentemente all’aumento dell’energia interna e gli scontri saranno più violenti. A questo punto, se al cessare dell’azione esterna il sistema diviene isolato, cioè privo di scambi di energia e materia con l’esterno, il sistema permane al livello di entropia in cui lo ha portato l’aumento dell’energia interna, mentre il processo organizzativo non può più essere ripreso.

Sulla base del principio fondamentale che tutto quanto esiste è governato dalle stesse leggi organizzative, per trasferire questi risultati sul piano sociologico dobbiamo innanzi tutto tradurre i termini fisici in termini sociologici. Entropia allora vuol dire disordine e poiché l’ordine è caratterizzato dall’assenza di scontri, la dimensione dell’ entropia misura la frequenza di scontri che convogliano una certa quantità di energia interna ossia di violenza. La quantità di violenza trasmessa con gli scontri può assumere diversi livelli di intensità o di temperatura a seconda della quantità di violenza trasmessa in ogni singolo scontro. Al parallelismo motorio del sistema meccanico corrisponde il parallelismo comportamentale dovuto alla comunanza dell’obiettivo del comportamento.

Le forze di interazione intraspecifica  che il processo evolutivo ha indotto nell’uomo assumono più forme che agiscono su frazioni differenti della popolazione. Suddividendole in modo assai grossolano per esigenza di semplicità espositiva, diremo che la più importante frazione è quella delle masse che sono animate da un impulso, che denominiamo sociale, che assume la forma di un bisogno e conseguente richiesta di protezione volta al gruppo sociale; essa è rivolta quindi particolarmente agli uomini che governano la potenza del gruppo, che dispongono del potere, concentrandosi in termini particolari sul capo. In termini fisici tale impulso produce  le forze di incollamento Nel linguaggio corrente esistono una molteplicità di termini che stanno ad indicare le varie gradazioni di intensità in cui si articola questo impulso, quali bisogno di integrazione, di importanza, di affetto, di amore, ecc. Una seconda frazione è costituita dagli uomini che ambiscono a governare direttamente la struttura di potere, piuttosto che essere protetti da quelli che la governano, sono cioè animati dalla volontà di potenza. La frequenza di questa frazione è assai minore di quella delle masse.  In entrambe queste frazioni può sussistere un sottogruppo, estremamente minoritario, di uomini spinti da impulsi altruistici, denominati “empatici”. A ciascuna tipologia umana corrisponde una diversa struttura psicologica, una diversa rigidità e quindi un diverso modo di reagire all’allentamento della condizione di parallelismo.

L’uomo costituisce un sistema dissipativo speciale in cui l’energia entrante soddisfa le necessità dell’ organismo, ma l’energia che viene trasferita all’esterno proviene da serbatoi interni che vengono attivati o meno dagli impulsi a seconda delle necessità operative. Pertanto, la diminuzione dell’energia in uscita destinata alla lotta per la sopravvivenza, determinata dall’avanzamento tecnologico (rivoluzioni metallurgica e agricola) dovrebbe comportare una minore richiesta di energia dai serbatoi senza riflettersi in alcun modo sulle condizioni di organizzazione del sistema. In realtà, invece, la cessazione della richiesta di energia per l’obiettivo esterno comune determina la cessazione della condizione di parallelismo comportamentale e per conseguenza dell’incollamento nell’ambito di certe strutture di un certo grado di rigidità, peraltro estremamente importanti sul piano sociale.

Per comprendere bene la meccanica della risposta interna alla riduzione dello sforzo esterno per la sopravvivenza, alla conseguente riduzione del parallelismo comportamentale e al conseguente allentamento della condizione di incollamento con un altro individuo, consideriamo una condizione estrema in cui il parallelismo scompaia del tutto, pur in presenza di un campo attrattivo fondamentale di interazione intraspecifica, dovuto al riconoscimento di specie.

Il processo di interazione di due corpi rigidi in un campo gravitazionale, studiato da Newton, può essere utilizzato come paradigmatico di tale tipo di interazione. Al fine di avere un paradigma della più ampia generalità, noi interpretiamo il cambio direzionale in corrispondenza dell’urto, da avvicinamento ad allontanamento, come dovuto all’azione di un campo repulsivo che operi con tale rapidità da far apparire la trasformazione come istantanea. Ciò nel mentre non modifica per nulla il modello di interazione newtoniano, permette un raccordo con situazioni fisiche in cui la presenza del campo repulsivo è fondamentale, quali sono quelle che interessano i fenomeni psicologici.

Infatti, la natura del campo attrattivo gravitazionale e del campo repulsivo che opera in corrispondenza dello scontro di due gravi è diversa dalla natura dei campi attrattivo e repulsivo che governano gli impulsi. La differenza giace nel modo con cui la loro intensità varia in funzione delle coordinate del sistema. Nella interazione umana l’impulso repulsivo, la paura, opera ben prima dello scontro (vedasi il diagramma del gradiente all’avvicinamento dell’impulso di rifiuto in Dollard e Miller [6]). Identica è però la tipologia delle operazioni organizzative cui l’interazione dà luogo.

Nella modificazione Einsteiniana dello schema di Newton, durante la fase di allontanamento l’energia cinetica dei gravi segue la direzione indotta dal campo repulsivo ma viene gradualmente logorata nella sua dimensione dalla decelerazione indotta dal passaggio attraverso il campo attrattivo. L’energia che scompare dal moto non scompare dal quadro fisico; essa persiste nella forma di un aumento della massa, vi è cioè una continua trasformazione da energia cinetica in massa. Alla fine della fase di allontanamento l’energia è stata tutta trasformata in aumento della massa; cosicché si inizia il movimento inverso determinato dalla attrazione gravitazionale. L’energia cinetica di avvicinamento viene gradualmente incrementata durante il percorso per l’accelerazione indotta dal passaggio attraverso il campo attrattivo. Essa quindi si trasforma in energia potenziale di rifiuto e quindi in energia cinetica di allontanamento nel breve tratto in cui passa attraverso il campo repulsivo e queste trasformazioni, che costituiscono l’urto, avvengono così rapidamente da apparire istantanee.

Analogamente, tornando alle interazioni sociali, l’allentamento della condizione di parallelismo, fa emergere la componente del comportamento in direzione ortogonale alla direzione di parallelismo che, in quanto conducente allo scontro, può essere individuata nel campo psicologico come impulso dominativo, negli individui dotati di volontà di potenza di cui quindi stimola la conflittualità. Ciò determina il sorgere di un impulso di rifiuto negli uomini in cui prevale il bisogno di protezione, nella forma di energia potenziale aggressiva. in ciò coinvolgendo anche l’impulso sessuale che viene trascinato dall’impulso sociale e che acquisisce per conseguenza componenti di violenza sia nella concorrenza fra concorrenti che nel rapporto fra partners.

In queste condizioni può verificarsi lo spostamento, da parte delle masse, della condizione di dipendenza psicologica dall’uno all’altro degli uomini di potere nella ricerca della condizione di incollamento. Ma ove questo spostamento risulti impedito, l’impulso sociale, che appare, dopo l’impulso di conservazione individuale e talvolta superandolo, il più forte impulso dell’uomo, permane nel comportamento malgrado il rifiuto del gruppo e malgrado la formazione, come energia potenziale di un impulso di rifiuto che, essendo impedita qualsiasi alternativa di fuga, può assumere, in determinate circostanze, caratteristiche aggressive estreme, di odio (estroflessione della paura)..

Questa convivenza schizoide, nello stesso individuo, di due impulsi completamente opposti, amore-odio, in generale non giunge alla coscienza dell’individuo in cui la condizione unitaria del comportamento costituisce una condizione esistenziale basilare, salvo eccezioni, quale quella del poeta latino Catullo che si poneva esplicitamente la questione (Odi et amo, Quare id faciam?), e in tal caso appariva come un fatto paradossale, inspiegabile. Freud si pose la questione e pose l’impulso evidente nella coscienza e quello nascosto nell’inconscio, condizione che darebbe luogo  alla nevrosi, mentre l’alternanza nel comportamento costituirebbe una condizione patologica più grave, la schizofrenia. Noi, seguendo lo schema Newtoniano, di una energia che si manifesta nel moto e una energia potenziale, parliamo di un impulso che si manifesta nel comportamento e di un impulso che permane allo stato potenziale, ritenendo l’alternarsi del comportamento dovuto ad un altissimo livello della tensione che determina il rapido sviluppo dell’intero ciclo oscillatorio. La visione di Einstein, che sostituì l’energia potenziale Newtoniana con la massa è ancora più aderente alla meccanica psicologica perché implica che il corpo che si allontana da un altro mentre produce l’aumento di massa e quindi l’aumento dell’attrazione al ritorno, già interagisce con gli altri corpi in termini di attrazione con la massa accumulata. Trasferendo tale risultato al campo psicologico avremo che l’individuo, nel mentre continua ad avere il desiderio di incollamento con il gruppo nel suo insieme o con il capo, già inasprisce i rapporti interpersonali individuali. Evidentemente, il fisico non può meravigliarsi della presenza di due energie in opposizione nello stesso individuo, né preoccuparsi di porre le due entità in differenti luoghi fisici, una volta che la vede realizzata in qualsiasi corpo attraverso l’interazione di energie che provengono da differenti campi di forza. Ma addirittura, nella visione di Einstein, questa dialettica diviene una componente dell’essere giacché, in estrema sintesi, la teoria della relatività generale consiste nel doversi considerare, in ogni fenomeno fisico un contributo della derivata seconda nei confronti delle coordinate spazio-temporali. Quindi la dialettica è già insita nei componenti elementari della materia che sono sempre sottoposti a campi di forza bipolari, attrazione-rifiuto. Se poi consideriamo che, sempre secondo la teoria della relatività ciò determina delle trasformazioni massa-energia nei due sensi, condizione che determina il cambio di segno della seconda derivata, ciò comporta una generalizzazione della condizione oscillatoria che può essere descritta dalle relazioni reciproche di Onsager, che appaiono quindi come leggi fondamentali dell’organizzazione [7].

Nell’ambito della struttura psichica il processo evolutivo ha inserito, oltre al riconoscimento della necessità di un certo livello strutturale della gerarchia definibile nell’ambito di un complesso concetto di giustizia (vedasi i post “La fisica dell’amore” e “il ritorno del desiderio”), meccanismi di attenuazione degli effetti della mancata risposta dei poteri al desiderio di integrazione delle masse. Il più importante è costituito dall’illusione che comporta una distorsione nel modo di percepire la realtà; l’illusione sul proprio livello di integrazione sociale in certe strutture psicologiche può giungere fino alla completa negazione della realtà, divenire cioè paranoia. L’illusione è dunque negazione della realtà con cui l’uomo inganna se stesso (affermazione che fu già di Aristotele) e a ciò corrisponde l’ipocrisia del potere che di ciò si avvantaggia. La perdita del parallelismo comportamentale ha quindi intriso i rapporti sociali di falsità, dii inganno ed ipocrisia.  Anche illusione è la realizzazione di un transfert ad una entità metafisica, che sostituisce il capo, quale la religione, ma che può anche consistere in una qualsiasi ideologia come Girard ha mostrato nella sua analisi critica delle opere di Cervantes, Flaubert, Dostoevskij, Proust, ecc.

Un attimo solo di felicità ci è concesso, un attimo breve, come di una stella cadente, l’illusione d’amore. O un attimo lungo, come di una vita, l’illusione di Dio.

Anche se forme semplici di religione dovevano certamente sussistere già nelle più antiche forme di organizzazione umana, come risposte a richieste, relative alla vita e alla morte, che non potevano essere date dal capo, la sua dimensione, come importanza nella vita dell’uomo crebbe enormemente in occasione della crisi dell’orda come transfert metafisico di una dipendenza psicologica che non poteva più sussistere con il capo per la rottura del parallelismo comportamentale. Essa permise l’accettazione, anzi l’introiezione come comandi del Dio, di precetti repressivi volti alla conservazione del dominio dei forti. Ricordate la lettera di Paolo di Tarso “schiavo obbedisci al tuo padrone nella carne come obbediresti a Cristo”.

Non mi è possibile in questa sede entrare nel dettaglio di questo importante processo di regolazione degli equilibri istintuali [8]. L’obiettivo fondamentale fu quello di isolare l’individuo impedendo così che la paura che mantiene al livello potenziale la rivolta, venga scaricata dalla realizzazione di una condizione di parallelismo e quindi di sinergia fra i deboli. In fin dei conti questo processo ebbe l’effetto positivo, nel passaggio dall’orda alla tribù, di assicurare una stabilità del sistema altrimenti impedita dal fatto che ogni rivolta si risolveva comunque nella ricostituzione di una nuova gerarchia e nell’instaurazione di un nuovo dominio. Si cambiavano i padroni, non si ripristinava il padre antico, sempre sognato, da cui si riceveva amore e protezione.

Lo sviluppo delle religioni non fu però in grado di sostituire il rapporto di incollamento che si istituiva con il gruppo e particolarmente con il capo prima che le mutate condizioni di interazione con l’ambiente cancellassero il parallelismo comportamentale  che implicava la comunanza di interessi vitali. Non riuscì ad impedire  ed anzi In certi casi fu elemento amplificatore di un altro meccanismo che determina l’alleggerimento della tensione interna ai gruppi anche se inasprisce la conflittualità fra i gruppi, cioè della guerra. Fra la massa ed il capo, in cui si concentra il bisogno di incollamento della massa, si inserisce un meccanismo di retroazione positiva, meccanismo che trasferisce al potere le caratteristiche di stupidità paranoide delle masse, ove l’espressione “stupidità paranoide” non implica una deficienza mentale, ma una subordinazione del comportamento agli impulsi che scavalca il ragionamento, il quale fornisce una giustificazione a posteriori in quella che Freud  chiamò “razionalizzazione secondaria”.

Usando i termini di Dupuy [9], per Freud il capo costituisce un “punto fisso esogeno”, ossia produttore ed organizzatore della massa. Secondo Girard, invece, egli è un elemento endogeno “prodotto dalla massa, mentre questa immagina di essere prodotta da lui”. Secondo la teoria dell’organizzazione, invece, il capo è un mediatore esterno, prodotto dalla massa ma che agisce sulla massa, così che entrambe le asserzioni sono parzialmente corrette in quanto il meccanismo che è in gioco è un meccanismo dialettico di interazione reciproca, o feedback, che è tipico dei sistemi complessi. Il capo è un catalizzatore dei bisogni della massa, nel senso che li fa emergere dallo stato potenziale indicando la direzione di sfogo e, come tale, è un prodotto dei bisogni della massa. 

Perché un gruppo di uomini possa agire come una unità, vi deve essere una necessità comune da soddisfare, condizione che li pone in uno stato di parallelismo comportamentale e quindi di sinergia che incrementa la forza dei singoli componenti. Se il sistema è in condizioni di incollamento, quindi di scarico dell’angoscia, esiste una condizione di solidarietà nei rapporti interni che limita la competitività residua, dovuta all’impulso sessuale e al desiderio di crescita di importanza, rendendola un gioco innocuo ai fini della tenuta del sistema. La necessità comune riguarderà la lotta esterna per la sopravvivenza e il mantenimento di una condizione interna di giustizia. La scelta del capo cadrà quindi in chi eccelle nell’organizzare l’attività produttiva e mostra un forte impulso empatico di tipo genitoriale. 

Ma se nel sistema la massa è in condizioni di frustrazione del bisogno di integrazione, questo si trasforma in aggressività potenziale e si manifesta in una ostilità che permea le relazioni interpersonali, ostilità bloccata dalla paura della reazione del gruppo. Il bisogno comune è allora costituito dallo scarico di questa aggressività e quindi ove la folla abbia la possibilità di scegliersi un capo, questi interpreterà questo bisogno. Al momento in cui la folla giunge alla identificazione del capo si verifica una diminuzione della paura, diminuzione dovuta al senso di protezione e di maggior forza che dà la partecipazione ad un gruppo, alla condizione di parallelismo, si ha cioè un mutamento della struttura psicologica della folla in cui l’aggressività prima compressa subisce una emersione ed una amplificazione per effetto della diminuzione della paura. Il capo avverte il mutamento della folla, la sua maggiore volontà di potenza, il suo consenso e ne è eccitato, subendo a sua volta una amplificazione della propria volontà di potenza.

Il capo quindi, come mediatore, deve indicare una direzione di sfogo della violenza accumulata e deve essere una direzione comune e quindi non può essere interna, deve essere necessariamente nella guerra. Si realizza così la estroversione della aggressività su un oggetto esterno al gruppo, estroversione che definiamo paranoica, in quanto appare ad un osservatore esterno assolutamente priva di razionalità, allo stesso modo come appare priva di razionalità la chiusura del paranoico nella illusione.

A parte la considerazione del fatto che le sofferenze indotte dalla guerra possono essere assai più gravi di quelle che la hanno determinata, si potrebbe infatti anche pensare che il problema non sia realmente risolto, perché l’annientamento di un oggetto esterno non sembra capace di eliminare le cause della inimicizia interna, ma ciò non è vero. Dobbiamo riconoscere invece che la guerra esterna riduce i conflitti interni, ricostituendo il parallelismo comportamentale, sia pure fintanto che la inimicizia, dopo la guerra, non si riforma.

Al cessare della azione esterna, per effetto del conseguente aumento dell’energia interna dovuto alla riduzione o all’allentamento dell’ incollamento, si verifica dunque un processo continuo di distruzione per effetto degli scontri, ma anche di ricostruzione degli aggregati per effetto di transfert. In conseguenza dell’altissimo numero percentuale di componenti dotati dell’impulso di incollamento (bisogno di protezione) i componenti elementari sviluppati in seguito agli scontri tendono ad aggregarsi alla massa più grande dando luogo ad aggregati di grandi dimensioni fino a quando, raggiunta una certa dimensione critica, le forze attrattive sviluppate da centri di attrazione periferici superano quella sviluppata dal baricentro del sistema. In queste condizioni si verifica la immobilizzazione dei componenti incorporati in queste più ampie strutture per effetto dell’aumentata capacità di dominio dovuto alla massa del sistema e alla sua più ampia stratificazione di potere cui corrisponde però la formazione di una condizione perenne di energia potenziale aggressiva, di scontento, in alcune stratificazioni. La conflittualità permane quindi fra queste più grosse entità organizzative.

In definitiva, la impossibilità di autorganizzazione dei sistemi applicata al sistema sociale implica che esso non è in grado di auto-organizzarsi, cioè di progredire sul piano della sua organizzazione, senza l’intervento di una azione esterna a cui reagisce, esso è cioè un sistema stimolo-risposta sia sul piano che potremmo definire ontologico, di breve termine, che sul piano evolutivo, di più lungo termine per la modificazione delle componenti strutturali più rigide. La struttura degli impulsi geneticamente ereditata è tale che la cessazione del lavoro eseguito sulle forze esterne provoca la rottura di equilibri interni che determinano il degrado della struttura organizzativa, l’aumento dell’entropia e della energia interna e anche questo risultato è la conseguenza di leggi fisiche universali.

Naturalmente, ove il sistema sociale, una volta cessato o ridimensionato lo sforzo collettivo per la sopravvivenza, che ha strutturato evolutivamente l’elemento motore costituito dagli impulsi, divenisse un sistema isolato, qualsiasi uscita dalla condizione di degrado così ottenuta sarebbe impossibile. Ma il sistema sociale ha invece una molteplicità di interazioni con il resto del mondo e anche la sua stessa struttura organizzativa può subire mutamenti indipendentemente dalla perdita di funzionalità nella produzione dell’obbiettivo di sopravvivenza, come elemento di un mondo che non è sotto controllo del sistema, cosicché ciò che avviene nel resto del mondo può aprire nuove vie e riavviare il processo organizzativo, ma può anche portare la specie all’estinzione

Il ridimensionamento del lavoro esterno per la sopravvivenza ha comportato l’eliminazione dell’ incollamento che si formava fra gli uomini sul piano ontologico, ha portato ud un nuovo modo di equilibrio degli impulsi ed alla formazione di una certa energia potenziale aggressiva che può svilupparsi oltre che nella manifestazione di una maggiore asprezza dei rapporti personali, anche, se si determinano certe condizioni di sinergia, nel suo trasferimento sul piano cinetico, anziché potenziale, dando luogo o ad una rivolta interna o ad una guerra esterna, che è pur sempre interna alla specie. Continuano a sussistere quelle componenti istintuali che l’evoluzione ha strutturato in forma rigida, quali gli impulsi empatici che operano verso l’interno ma per la loro scarsa frequenza non sono in grado di ridurre il degrado del sistema e l’impulso sessuale entrambi sottoposti a repressione sotto l’effetto della frustrazione del bisogno sociale e dell’emergere della volontà di potenza. Vi è però un impulso che sfugge alla repressione connessa alla rottura degli equilibri: il piacere della conoscenza e la sua traduzione in avanzamento tecnologico che costituisce un canale di interazione con il mondo esterno, ma non è detto che ciò porti a risultati positivi nei termini di riduzione dell’entropia  e della energia interna del sistema.

Lo sviluppo del pensiero, in tutte le sue forme, ha realizzato l’obiettivo di realizzare una maggiore potenza nella lotta per la sopravvivenza, è un’arma estremamente potente, capace di produrre altre armi, anche se ha avuto pure delle ricadute sulla qualità della vita. Il proseguimento dello sviluppo della scienza e della tecnologia, che si traduce in un progresso nella produzione di armi, può quindi modificare una condizione stabile di guerra intraspecifica che, malgrado i ricorrenti massacri e il dolore di cui permea l’umanità, potrebbe durare per molti millenni, in un processo che può terminare con l’estinzione della specie in tempi molto più brevi.

L’importanza del risultato ottenuto, circa l’impossibilità di un processo organizzativo che prescinda dal contributo esterno è comunque enorme perché mostra che qualsiasi problema di crescita organizzativa va inquadrato nell’ambito della considerazione della situazione relazionale con l’esterno del sistema. A titolo di esempio, se noi applichiamo questi concetti al processo di integrazione dell’Europa che implica la ristrutturazione di tutte le strutture di potere cioè degli elementi vincolari interni, dobbiamo dire che tale processo è impossibile senza che esista una azione esterna che la solleciti. Ma non qualunque azione esterna è adeguata a sollecitare la reazione organizzativa del sistema; l’azione esterna deve avere caratteristiche direzionali, dimensionali, di penetrazione e di permanenza adeguate alle condizioni di rigidità delle strutture da modificare. Inoltre, tenendo conto del rapido affievolimento con la distanza deve avere corrispondenti livelli di immanenza.

Perciò, nel caso della integrazione europea, la resistenza opposta dalle strutture di potere che andrebbero ridimensionate è tale da richiedere, per superarla, un pericolo molto grande ed immanente cui le stesse strutture di potere andrebbero sottoposte se non provvedessero a riorganizzarsi. In tali condizioni erano le strutture di potere dei paesi europei prima della disgregazione dell’impero sovietico, che occupava gran parte dell’Europa orientale, con un esercito dopo quello degli Stati Uniti forse il più potente del mondo, con gli stati dell’Europa occidentale in condizioni di estrema debolezza, così che l’unione apparve necessaria per la sopravvivenza. Ma dopo la disgregazione dell’impero sovietico e la riunificazione della Germania che ne ha ricostituito la potenza, il pericolo si è ridimensionato ed allontanato e ciò ha reso obsoleta l’idea. Certamente vi sono coloro che ne vedono ancora la necessità in vista di un futuro in cui emergeranno potenze a livello continentale nei cui confronti i singoli stati dell’Europa saranno in condizioni di estrema debolezza, ma il pericolo viene percepito come lontano, ancora evanescente e scompare dalla coscienza.

Il mondo esterno può però proporre nuove sfide il cui superamento può stimolare una risposta organizzativa. Si può immaginare che le condizioni di inquinamento ambientale, l’aumento delle temperature per l’effetto serra, l’esaurimento delle risorse, l’aumento della popolazione, possa portare la civiltà assai prossima al collasso finale e ciò possa indurre ad una maggior grado di integrazione le nazioni del mondo, ma ciò non per lo sviluppo di una civiltà empatica come profetizza Jeremy Rifkin, riprendendo il sogno che fu di Gesù Cristo, ma semplicemente perché coinciderebbero gli obiettivi e si realizzerebbe un parallelismo comportamentale che porterebbe alla fusione. Tuttavia la tendenza a minimizzare il pericolo finché è lontano potrà far si che la presa di coscienza della gravità del pericolo possa avvenire quando ormai sarà troppo tardi per potere intervenire con efficacia. Ma anche qualora si riuscisse ad intervenire in tempo, la fusione avverrebbe fra le strutture di potere dei vari stati. Il problema fondamentale che rimarrebbe comunque da risolvere è stabilire quali potrebbero essere le condizioni esterne che possano stimolare la ricostituzione di quel patto di solidarietà fra il potere e la massa, che fu all’origine della nascita della organizzazione sociale primigenia. Non si tratta di vincere una guerra, che elimini una delle due componenti del sistema, perché il dualismo è iscritto nel gene e la struttura del potere si ricostituisce immediatamente. I greci lo avevano capito rappresentando il potere come l’idra dalle cento teste che rinasce continuamente dal suo stesso sangue, così che non può essere distrutta.

Nella guerra di tutti contro tutti non sussiste più una evoluzione che possa premiare la crescita degli impulsi empatici, cioè degli impulsi di amore; al contrario, per la legge del più forte premia la crescita dell’aggressività, il possesso dell’arma più letale. Anche l’equilibrio del terrore, cui lo sviluppo della lotta intraspecifica può indurre, costituisce una condizione di equilibrio instabile che un atomo di follia può distruggere, così che il destino di estinzione non sembra evitabile.

Riferimenti bibliografici

[1] – Firrao S: “Sui fondamenti della fisica dei sistemi complessi”, in Studi sui sistemi complessi, ISBN 978-1-4476-3406-5 Lulu.com, capitolo 1

[2] – Firrao S.: “Lo sviluppo di processi oscillatori nei sistemi isolati ad altaenergia”, in Studi sui sistemi complessi, ISBN 978-1-4476-3406-5 Lulu.com, capitolo 4

[3] –Firrao S.: “La formazione dell’ordine nelle Galassie”, in Studi sui sistemi complessi, ISBN 978-1-4476-3406-5 Lulu.com, capitolo 5

[4] – Prigogine I., Nicolis G.: Le strutture dissipative, Sansoni, Firenze, 1982

[5] – Jaynes E.T.:  “Where do we stand on maximum entropy?”   in  The maximum  entropy formalism, Levine & Tribus ed. MIT Press, 1978

[6] - Hall Calvin S., Lindzey G.:” La teoria dello stimolo-risposta”,in Teorie della personalità, Cap. 11, Boringhieri, Torino, ristampa del 1970

[7] -Firrao S.:”Stratification of feedback circuits in evolutive structures”in Quaderni di Cibernetica, n.8, 1991

[8]- Firrao S.: “La repressione degli impulsi”in Il potere e la paura, ISBN 978-1-4716-1821-5, Lulu.com, 2012

[9] – Dupuy J.P.: Introduction aux sciences sociales, Ecole Polytechnique, Paris, 1992

La dipendenza paranoica delle masse

Nell’ambito della fisica il sistema viene definito come una struttura stratificata di vincoli che crea dei campi di forza interni che governano i flussi di energia che la attraversano. Non può esistere un sistema in condizioni di omogeneità della struttura delle forze interne. In quanto sistema, la psiche è dunque una struttura stratificata di vincoli posti all’attività operativa e di pensiero, vincoli che indirizzano l’attività del sistema verso le condizioni che l’evoluzione ha mostrato essere di sopravvivenza.

Se poi spostiamo la nostra attenzione al sistema sociale anziché al singolo individuo, dovremo anche in esso rilevare una variabilità stratificata dei vincoli, sopratutto di quelli che governano le attività volte alla sopravvivenza del gruppo, vale a dire nell’ambito della intelligenza. Ciò esprime una condizione necessaria al funzionamento del sistema sociale che sarebbe distrutto da una omogeneità della capacità intellettiva, libera da vincoli, che non significa eguaglianza del pensiero prodotto che avrebbe al contrario una variabilità casuale estrema e indurrebbe per conseguenza al caos.

In questo ambito, riservato all’organizzazione del lavoro collettivo per la sopravvivenza, la massima libertà di pensiero è dunque riservata al capo che esprime il baricentro del sistema e ciò realizza l’unità di comando impedendo così la disgregazione del sistema che seguirebbe all’inesistenza di un pensiero prevalente. Al di fuori di questi ambiti i vincoli tendono a ridursi così che è possibile incontrare individui che mostrano un’acquiescenza totale ai valori e alle verità indotte dal contesto sociale ed esistenziale, ma una intelligenza elevatissima nell’ambito di attività operative.

Ciò è ancora conforme alle necessità di efficienza del sistema indotte dal processo evolutivo perché una volta stabilito il programma di azione, la sua realizzazione si frammenta in una molteplicità di azioni individuali che devono essere eseguite con la massima intelligenza. Ciò impone che il pensiero del capo sia condiviso pienamente e ciecamente dalla massa, così che una volta posta di fronte all’azione individuale non vengano a mancare le linee di guida, che devono però essere poi articolate secondo la necessità del momento con intelligenza oltre che con passione.

Noi definiamo stupidità la parziale atrofia dell’attività critica dell’intelletto, ma la definiamo paranoide quando l’accettazione supina di linee di guida del comportamento e del giudizio si manifesta esclusivamente in alcuni ambiti inerenti la relazionalità sociale e che, come la paranoia, trova la sua origine profonda in un bisogno di affermazione dell’io, affermazione che coincide con il livello di integrazione sociale. Questo bisogno è di tale entità da determinare il bloccaggio della intelligenza ed anche, con l’illusione, la modificazione dell’attività sensoria. I contenuti imposti dai vincoli prelogici non vengono allora avvertiti come imposizioni dall’esterno ma come componenti essenziali, anzi coincidenti con l’io, talché la loro negazione equivale alla distruzione dell’io, alla sua morte. L’uomo, come già avvertiva Aristotele, è un animale sociale.

Questo incorporamento dei vincoli nell’io è forse più facilmente comprensibile se si fa riferimento al meccanismo generale dei “richiami”. Noi abbiamo mostrato, nella descrizione del meccanismo dell’amore, come ad esso corrisponda il connettersi direttamente ai centri del piacere-dolore di certe rappresentazioni sensorie. Esso però appare alla coscienza come uno stato dell’io, assolutamente indipendente, originario, “libero”. La sua dipendenza da una condizione “meccanica”, quale l’apertura di un interruttore elettrico in una macchina, non appare alla coscienza.

Ciò è mostrato chiaramente da certe situazioni che mostrano la saggezza del detto “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” che, malgrado abbia assunto, per la frequenza della sua citazione, l’aspetto di un detto popolare è in realtà una frase di Seneca. E’ visibile nella parabola del figliol prodigo. Un padre, offeso dal comportamento e dall’abbandono in cui viene lasciato dal figlio, pensa di averlo scacciato dal suo cuore, ma quando il figlio ritorna sconfitto e vede il dolore nella sua espressione, avverte un dolore profondo, che niente ha a che fare con la sua volontà e la sua intelligenza, perché l’interruttore non attiva alcunché finché non lo accendi, ma quando l’accendi il suo effetto può essere dirompente. Perciò il padre del figliol prodigo ordina che si festeggi, che si uccida il vitello più grasso, perché ricompaia il sorriso del figlio e con esso scompaia il dolore del padre. .

Uocchie de suonno, nire, appassionate,
ca de lu mmele la ducezza avite ,  
pecché cu sti guardate ca facite  
vuie nu vrasiero mpietto m’appicciate? (Di Giacomo)

 

Vi sono però anche delle situazioni, in cui la valutazione sociale si può imporre non solo nei confronti di considerazioni razionali, ma anche nei confronti di impulsi di origine genetica, perché ad essa condiziona la soddisfazione dell’impulso sociale, di cui ciò dimostra la enorme forza.

Noi abbiamo già descritto, in altro lavoro, la estrema forza che può avere questo bisogno di integrazione sociale, tale che la sua frustrazione, derivante dal disprezzo del corpo sociale, può indurre alla morte, ma non abbiamo mostrato la possibile dipendenza del disprezzo dalla non condivisione dei valori sociali e per conseguenza la enorme forza inibitrice che esso esercita sul giudizio non convenzionale.

La frustrazione del bisogno sociale determina nella massa una grande paura, definita angoscia. Nel processo di inibizione dei giudizi contrari alla valutazione sociale opera un meccanismo subliminale, quindi inconscio, che abbiamo definito “la paura di provare paura”. Ciò significa che non avviene la materializzazione di un pensiero che poi venga respinto dalla paura, ma che il pensiero non venga neanche materializzato per la paura inconscia di suscitare l’angoscia.

Il corpo sociale ha dei meccanismi molto semplici per indurre questi effetti, Il giudizio positivo viene accompagnato da un grande rispetto, quasi da una sacralità così che l’individuo sente perfettamente, subliminalmente, che la sua contraddizione lo porterebbe a subire il disprezzo del corpo sociale che è qualcosa di ancora più feroce della emarginazione.

Un esempio tipico attuale è come sia stata imposta la globalizzazione, come qualcosa che trascende la volontà umana, una manifestazione incoercibile delle leggi dell’economia, laddove si tratta della manifestazione incoercibile della volontà di potenza del grande capitale, che ha avuto la conseguenza di importare molta miseria e dolore nei paesi economicamente sviluppati. Ne viene anche teorizzata la irreversibilità, che sarebbe un’altra grande baggianata a meno che tale irreversibilità non venga riferita alla invincibilità delle forze capitalistiche che hanno generato la globalizzazione. Non è mancata, in questo caso, la nascita di un movimento minoritario di opposizione, cosiddetto dei “no global” che si è sviluppato sopratutto fra i giovani studenti, meno sensibili alla stupefacente forza di convincimento del denaro, in cui oggi si concentra il potere. La sua infiltrazione da parte dei black bloc ne ha permesso la criminalizzazione e la conseguente liquidazione. .

Non mi piace il mercato globale
che è il paradiso di ogni multinazionale
e un domani state pur tranquilli
ci saranno sempre più poveri e più ricchi
ma tutti più imbecilli.(Gaber)

 

Il giudizio negativo è invece espresso mediante parole che incorporano direttamente il disprezzo e l’aggressione sociale, perché vengono adoperate come offesa, quali frocio, puttana, cornuto, ecc. Ciò comporta che il solo pensiero di potere essere omosessuale, ad esempio, susciti angoscia e venga respinto in via subliminale prima della sua formazione.

Ma il consenso delle masse non si limita all’accettazione supina dei valori del gruppo, esso può acquistare, una forma aggressiva, appassionata, che si esprime nella assunzione fanatica dei valori del gruppo. Avevo un cugino, Franco Firrao, anche lui ingegnere, che aveva iniziato una carriera di costruttore, quando scoppiò la seconda guerra mondiale. Ne ricordo le frasi fanatiche, appassionate con cui condivideva le scelte fatte dal potere. Volle fare la guerra nella maniera più pericolosa, fu direttore di macchine del sommergibile comandato da Fecia di Cossato e vi trovò la morte. E’ medaglia d’oro al valore militare. Un mio zio materno, Arturo Massara, era anche lui, durante la guerra, ufficiale di marina. La sua nave fu silurata ma mio zio si salvò riportando delle ferite e venne alla ripresa del servizio, impiegato a terra, nella base della Maddalena, ma egli chiese al comando che gli fosse restituito il suo posto in prima linea, in battaglia. Fu accontentato e venne silurato una seconda volta, questa volta vi lasciò la vita.

Mio fratello è un conquistatore
Il popolo nostro ha bisogno
di spazio. E prendersi terre su terre
da noi, è un vecchio sogno
E lo spazio che si è conquistato
è sui monti del Guadarramat.
E’ lungo un metro e ottanta
e di profondità uno e cinquanta.…(Brecht)

 

Il bisogno sociale, assume varie denominazioni, a seconda della intensità che esso raggiunge nelle differenti stratificazioni sociali, desiderio di sicurezza, di protezione, di successo, di amore, da parte della struttura protettiva sociale nelle stratificazioni deboli che costituiscono la massa e desiderio del dominio della struttura protettiva sociale, nelle stratificazioni forti che costituiscono il potere. Poiché dunque la formazione dei contenuti istintuali di formazione ontologica che vincolano l’intelligenza è dovuta al bisogno sociale, tali contenuti saranno variabili a seconda della dimensione di questo bisogno sociale ed alla angoscia che la sua frustrazione produce.

Questa conclusione potrebbe anche trasferirsi nella conseguente capacità di critica razionale che dovrebbe essere maggiormente inibita nelle stratificazioni deboli rispetto alle stratificazioni forti,  ma ciò non è vero.Al capo è richiesta una sicurezza e rapidità di risposta che sarebbero inibite dal dubbio che supporta l’attività critica.. Il capo quindi dispone solo del potere di scelta nell’ambito delle variabili che il processo evolutivo nonché il processo ontologico di adeguamento degli impulsi non ha bloccato e con la sua scelta induce un ulteriore vincolo all’attività razionale delle masse.

Vi sono tuttavia, nell’ambito della variabilità caratteriale umana anche uomini in cui il pensiero critico può sussistere, in quanto superi le barriere inibitrici sociali, ma rimanere non operativo, perché sovrastato dall’impulso. Può anche sussistere nell’ambito di certe stratificazioni del sistema sociale di media rigidità ed in presenza di modificazioni della struttura delle sollecitazioni provenienti dall’esterno. Il processo chiama in causa una certa energia che amplifica gli impulsi insoddisfatti nella rappresentazione simulata del pensiero e impone una diversa situazione di equilibrio. Anche in questo caso esso può rimanere non operativo ed essere completamente ignorato se non incontra il consenso di strutture dotate del potere “mediatico”. In questa poesia di Catullo è mostrato come la disistima razionale possa coesistere con l’impulso di amore.

Dicebas quondam solum te nosse Catullum,
Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem
Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,
sed pater ut gnatos diligit et generos.
Nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,
multo mi tamen es vilior et levior.
 Qui potis est”, inquis? Quod amantem iniuria talis
 cogit amare magis, sed bene velle minus.

 

Ora, noi abbiamo mostrato, in un post precedente, come il bisogno di amore, trovi la sua soddisfazione nel ritorno del desiderio, condizione nella quale il legame sociale raggiunge la sua massima forza. Secondo la teoria dell’organizzazione, non vi è alcun dubbio che ciò fosse realizzato nella prima organizzazione sociale umana, l’orda primigenia di Darwin e di Freud, che poté così raggiungere la massima efficienza possibile nella lotta per la sopravvivenza. La soddisfazione del bisogno sociale era realizzato per una serie di fattori concomitanti, tutti però legati alla piccola dimensione che l’orda aveva mantenuto per qualche milione di anni, simile a quella di una grande famiglia. Li elenchiamo brevemente, senza pretesa di esaustività.

Innanzi tutto la presenza di impulsi genitoriali di origine genetici ed altri impulsi empatici che si erano sviluppati rispetto alla condizione familiare, anche se la loro estensione rimase limitata alla piccola dimensione dell’orda, talché l’ampliamento di quest’ultima ne lese la funzionalità.

In secondo luogo la concentrazione della dipendenza psicologica della massa dal capo che, oltre a determinare, come abbiamo visto, l’unità del sistema e la possibilità di azione coordinata, costituiva protezione dalla possibilità di congiura da parte degli altri uomini forti del gruppo. La conseguente convenienza della protezione dei deboli da parte del capo costituiva un importante rafforzamento dell’impulso genitoriale del capo, determinando così una situazione di scambio di reciproco vantaggio, una comunanza di memorie di rassicurazione.

In terzo luogo, l’importanza obiettiva di ogni individuo per la sopravvivenza del gruppo in quanto elemento necessario al successo dell’attività di caccia in un gruppo la cui dimensione poteva spaziare entro limiti molti ristretti al di sopra o al di sotto dei quali perdeva di efficienza operativa. Ciò comportava ovviamente un corrispondente ritorno dell’apprezzamento sociale.

In quarto luogo, le condizioni che portavano alla individuazione del capo, incentrate sulla capacità di condurre l’azione di caccia e sulla evidenza del suo impulso genitoriale, di tipo empatico.

In quinto luogo il forte controllo sociale esercitato dal gruppo su ogni individuo in dipendenza del fatto che la vita del gruppo si svolgeva sempre in comune, ciascuno sempre in vista dell’altro. Per tempi molto lunghi l’allontanamento dal gruppo poteva significare una morte quasi sicura.

Infine il rapporto sinergico sviluppato con l’impulso sessuale, premio al successo nell’attività di caccia. Per il dettaglio di questi aspetti devo necessariamente rimandare al capitolo “La formazione dell’orda primigenia” di “Il potere e la paura”.

L’elemento che portò alla crisi dell’orda fu l’avanzamento tecnologico con la rivoluzione metallurgica che portò ad un grande perfezionamento delle armi e nella successiva rivoluzione agricola che permise di ottenere, con il lavoro di pochi uomini i mezzi di sostentamento di un numero assai più elevato di persone. Tutta una serie di fattori fondamentali per il successo dell’orda persero la loro forza nella nuova dimensione assunta dalla popolazione. L’elemento obiettivo di importanza di ogni individuo per la produzione del reddito scomparve per effetto della sua fungibilità e dell’esubero della quantità di manodopera disponibile. L’azione protettiva svolta dall’impulso genitoriale, di cui abbiamo già evidenziato la limitata estensione, poté ancora sussistere fintanto che la tribù, cui diede luogo la crisi dell’orda, mantenne una dimensione limitata, ma andò decrescendo sia per l’aumento della popolazione, sia per il cambiamento delle caratteristiche del capo conseguente alla variazione dei fattori che determinavano la gerarchia.

In definitiva il risultato fu lo sviluppo di un condizione di estesa frustrazione del bisogno sociale della massa degli uomini deboli esposti alla sopraffazione dei più forti, il che portò alla diffusione di una condizione di depressione e di paura, cioè una condizione di angoscia. Secondo la teoria dell’organizzazione, questa situazione ha la sua linea principale di sbocco nell’apertura ad alternative di raggruppamento che offrano una maggiore soddisfazione del bisogno sociale, operazione che ha assunto, nella sua prima evidenziazione nell’ambito della teoria psicanalitica, il nome di transfert.

Nella ipotesi che questa possibilità non sia disponibile si sviluppa una forma diversa dei rapporti di dare e avere che invece che essere costituita da dazioni vissute come gratuite, in quanto fonti di piacere anche per il donatore, (comunione delle memorie di rassicurazione) si articola in termini di scambio fra componenti sia di dolore che di piacere in ciascuno dei componenti dello scambio.

La condizione di equilibrio comporta in ciascuno dei partner lo scambio fra quantità ceduta e acquisita, quantità che devono essere equivalenti per poter dar luogo all’ equilibrio. I rapporti di equivalenza sono però determinati da condizioni soggettive, dal rapporto dei bisogni dei partner del rapporto, bisogni che sono quantità variabili fra gli individui. Al raggiungimento di tale equivalenza coopera una condizione psicologica interna, l’illusione, che abbiamo già introdotto e che, in quanto modificazione di origine interna della realtà del rapporto, ne aumenta le caratteristiche paranoiche.

Fintanto che la quantità di dolore, connesso alla sottomissione, con cui l’uomo debole paga la protezione del forte, è di piccola entità, rispetto alla gratificazione connessa alla protezione, essa non viene avvertita e si trasforma anzi in attività ludica (cedimento plastico). Il rapporto di interdipendenza si stabilisce egualmente senza molte modifiche, rispetto all’incollamento profondo, all’amore. Ma, quando il ritorno del desiderio diminuisce ulteriormente e quando si traduce addirittura in sopraffazione e sfruttamento, si verifica un fenomeno detto “estroflessione della angoscia” che implica, in misura maggiore o minore, la trasformazione dell’impulso sociale,  in impulso aggressivo. Il rapporto di interdipendenza si instaura egualmente (cedimento elastico) ma diviene allora ambiguo in quanto da una parte il soggetto continua a far parte della organizzazione sociale nell’ambito della quale la sua aggressività viene bloccata dalla paura che il gruppo sociale incute; dall’altra si determina l’accumulo di tale aggressività nella psiche come energia potenziale, che si manifesta in un inasprimento dei rapporti interpersonali. Ciò fintanto che non si verifichi una occasione di esplosione, che può essere costituita o dal ritrovarsi in un gruppo sociale che la legittima o dal confrontarsi con un individuo più debole in assenza dell’azione inibitrice del gruppo sociale. È opportuno a tal proposito ricordare il diagramma del gradiente all’avvicinamento dell’impulso di rifiuto, opera dei psicologi americani Dollard e Miller, che mostra come l’impulso cresce in maniera assai rapida all’avvicinamento dell’oggetto che determina il rifiuto ed ovviamente decresce altrettanto rapidamente all’allontanamento. Ne consegue che in un rapporto ravvicinato con l’oggetto dell’aggressività, ma distante dal controllo sociale, l’aggressività scoppia e si tratta di un fenomeno comandato assolutamente dagli impulsi, fuori da ogni razionalità, quindi ancora di tipo paranoide. Così come scoppia quando l’individuo si trova in un gruppo di individui che incorporano la stessa aggressività (Freud) che può allora essere indirizzata verso un elemento terzo, il nemico, quale viene indicato dal mediatore dell’indirizzamento, il capo (Girard).

A parte lo sbocco di trasfert, che è comune a tutte le psicologie, sia pure con variazioni nell’entità del dolore che si richiede per la sua realizzazione, tutti gli altri sbocchi della frustrazione del bisogno sociale possono raggiungere valori estremi in adatti caratteri psichici. Così vi sono individui in cui la soluzione illusoria raggiunge livelli estremi, senza alcun passaggio per fasi di cedimento plastico o elastico, (sbocco paranoico). Vi sono poi individui in cui invece è il cedimento plastico in cui la sofferenza della sottomissione viene trasformata in sensazione ludica che raggiunge valori estremi, portando così, visto che la componente di “avere” dello scambio è spesso puramente illusoria, alla semplice accettazione appassionata della schiavitù (sbocco masochistico). Vi sono infine individui in cui il cedimento elastico sbocca in un odio feroce, sadico, verso l’intero raggruppamento sociale e che può generare i più feroci serial killer. Nella media della popolazione sussistono in un certo rapporto variabile, tutti gli esiti conseguenti alla rottura del legame di simbiosi esistente nella orda primigenia che ha determinato l’ingresso di una ingente quantità di violenza nel sistema.

Da notare che il transfert non può essere la soluzione definitiva del problema. La rottura del rapporto di copertura reciproca fra la massa ed il capo, quale si verificò per effetto della rivoluzione agricola e metallurgica lasciò liberi gli uomini forti di sviluppare una competizione per il potere e di diventare nel contempo oggetti del transfert delle masse.

La presenza di alternative determinò un rapido spostamento nel nuovo gruppo comandato da un ribelle di larga parte della massa, perché sussisteva un evidente interesse del nuovo capo a dare affettività ad ogni nuovo adepto e perché molti riconoscimenti erano rimandati al futuro, a quando il potere sarebbe stato conquistato e ciò permetteva scarichi illusori dell’angoscia esistenziale (vedi il ruolo della speranza come consenso all’innamoramento, che è un transfert, nell’opera di Stendhal “Dell’Amore”). Ciò portò allo sviluppo di una conflittualità interna, che oltre ad essere una conclusione inevitabile della teoria dell’ organizzazione, è una conclusione degli studi di Freud sulle organizzazioni tribali degli aborigeni australiani, studi riportati nel volume “Totem e Tabù”. Ma il raggiungimento della vittoria fu sempre seguito subito dopo, ricostituitasi l’assenza di ostacoli all’esercizio degli impulsi dominativi dei nuovi capi, da una cocente disillusione nelle stratificazioni deboli del gruppo, cioè nelle masse, condizione che portava sistematicamente a nuovi massacri.

La presenza di un grande bisogno d’amore consente comunque l’alternarsi nelle masse di fasi di illusione e di disillusione ed il permanere di una ambiguità della figura del capo, contemporaneamente signore e nemico, come in queste parole del Petrarca:

Passa la nave mia colma d’oblio
per aspro mare, a mezza notte, il verno,
enfra Scilla e Cariddi; ed al governo
siede ‘l signore, anzi ‘l nimico mio, 
…………………………………………..
la vela rompe un vento umido, eterno
di sospir’, di speranze e di desio
pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni
bagna e rallenta le già stanche sarte
che son d’error con ignoranza attorto.

 

Secondo la teoria dell’organizzazione, una tale situazione è durata a livello ordale o tribale, molti anni, specialmente fino allo realizzazione della civiltà agricola, dove l’instaurazione di un accordo di solidarietà fra gli uomini forti del gruppo ha bloccato il processo di transfert interno al sistema e consegnate le masse al dominio dei capi, trasferendo nella guerra verso l’esterno il processo di scarico dell’aggressività accumulata, situazione che non è più cessata. La massa è stata così lasciata in preda all’angoscia, alla aggressività dei capi, all’aggressività reciproca, alle sofferenze della guerra e all’illusione, che consente alla massa di non sentire dolore, anzi di scendere nel gorgo ballando e cantando.

Il campo di forze gravitazionale determina l’attrazione fra due gravi, ma il risultato può essere di scontro o di aggregazione. Lo stesso avviene nelle relazioni interpersonali, sia individuali, come nel caso della sessualità, sia sociali, dove il potere è il centro di attrazione delle masse. Amore e odio sono le forme estreme, di aggregazione e disgregazione in cui si traduce l’attrazione fra gli uomini.

La crisi dell’orda, con il conseguente aumento dell’energia interna del sistema ha determinato una situazione in cui le due componenti si mescolano in un processo continuo di aggregazione e disgregazione. Noi diciamo che il sistema ha importato un certo quantitativo di entropia la cui dimensione è influenzata dallo spazio che la realtà esterna lascia all’illusione.

L’ illusione riveste dunque una importanza immensa nel determinare un effetto tranquillante e così ridurre le probabilità di esplosione del sistema. Ma, poiché essa costituisce una falsificazione della realtà, rende falsi ed ambigui i rapporti fra le componenti della società. Mentre le masse tendono ad identificare il potente nella figura del padre, quindi operante per effetto di amore, quasi un missionario, il potente persegue esclusivamente il suo interesse personale e il suo desiderio di potenza.

Nel periodo intercorso fra la crisi dell’orda, la formazione della tribù ed infine la nascita del villaggio agricolo si sono verificate importanti modificazioni dell’assetto istintuale, ovviamente non sul piano generico, ma sul piano degli equilibri di formazione ontologica che sotto l’effetto della paura hanno determinato la repressione di importanti istinti, cosa che ha lasciato una impronte profonda di scontento, cosciente o non cosciente, nell’animo umano. L’argomento è troppo vasto per poterne sintetizzare anche solo le linee più importanti in questa sede, cosicché mi limiterò a sottolinearne la semantica fondamentale che presiede a tutto il processo di adattamento della struttura degli equilibri istintuali alle nuove condizioni della realtà.

Si è trattato fondamentalmente del rinculo della affettività all’elemento centrale aggregativo pre-esistente alla formazione dell’orda, cioè ad un assetto familiare minuscolo nell’ambito del quale potesse essere assorbita una certa parte dell”angoscia esistenziale. Ma la fammiglia, con la nascita dei figli ha un potenziale di crescita enorme e può dar luogo per conseguenza alla ricostituzione di gruppi autonomi ribelli. Ciò è stato impedito attraverso la rottura del legame simbiotico di amore fra padre e figli, che si riflettè poi per conseguenza nella relazione fra il capo ed i membri dell’orda, rafforzando l’elemento dialettico, di dominio, nella funzione paterna e rendendo così ambivalente il fondamentale rapporto formativo dell’orda.

La condizione di scontento, sia pure vissuta spesso in termini inconsci, subliminali, viene ovviamente addebitata dalla massa al potere, da cui provengono i comandamenti repressivi e per conseguenza, nella sua illusione di affettività proveniente dal potere, si aspetta che i potenti siano soggetti anch’essi e in maniera esemplare a queste repressioni, giacché altrimenti l’inganno sarebbe troppo ovvio. Anche questa aspettativa è dunque manifestazione della stupidità della massa. Naturalmente, i potenti non hanno mai fatto gran che conto  di questa esigenza della massa, tuttavia hanno spesso nascosto gli aspetti della loro vita che la contraddicono, rendendosi conto della grande importanza demagogica che la sua soddisfazione riveste. Perché demagogia significa far leva sulla stupidità della massa.

Si richiede dunque all’uomo di potere un codice di comportamento ben più rigoroso di quello cui è vincolato l’uomo comune. Egli deve essere sempre serio e responsabile, ieratico, con una vita sessuale rigorosamente limitata alla famiglia monogamica indissolubile e svolgentesi secondo i canoni prescritti, non deve essere omosessuale, deve lasciare assai poco spazio agli aspetti ludici della vita, non deve inseguire l’interesse personale, tutta la sua energia deve essere spesa nella cura degli interessi dei cittadini

Non è da sottovalutare l’importanza della disillusione cui va incontro la massa sulla esistenza di tale comunanza con il potere dei vincoli repressivi, particolarmente se non è compensata da un reale maggior apporto di gratificazione protettiva. Essa può determinare un aumento sensibile della insoddisfazione e quindi della componente aggressiva dell’impulso sociale. In alcune tribù africane situate fra l’Egitto faraonici e lo Swaziland l’attività produttiva, anziché sul piano agricolo, si indirizzò esclusivamente sull’allevamento degli animali, quindi senza realizzare quella dimensione  della produzione e della popolazione che permise la separazione della società in classi, il patto di solidarietà nella classe dominante, la istituzione della schiavitù, mentre le condizioni ambientali rendevano anche difficile lo scarico dell’aggressività attraverso la guerra. In queste tribù veniva realizzata periodicamente l’uccisione del re, ritualizzata come atto di liberazione  dell’aggressività accumulata dal corpo sociale. Ciò è importante perché mostra che lo scarico della violenza può essere realizzato concentrandolo su un solo uomo, il capo, e ripetendo l’operazione periodicamente, se ciò può essere fatto senza dar luogo ogni volta ad un massacro. La realizzazione di tale obiettivo comporta che in realtà la figura del capo sia soltanto simbolica, non dotata di reali poteri, sia cioè la vittima sacrificale (Girard: La violenza ed il sacro), la cui uccisione permette però lo scarico dell’aggressività accumulata nel gruppo. Si trattava di una traslocazione paranoica , cioè illusoria, resa possibile dal fatto che l’obiettivo reale dell’aggressività era coperto da una grande paura, cui contribuiva l’esperienza traumatica del massacro e la cui estroversione rinforzava l’aggressività

Il punto che è per noi interessante in questo momento è che la concentrazione dell’aggressività sulla vittima sacrificale è preparata attraverso la dimostrazione della sua ricusazione dei tabù e della violazione  delle repressioni in uso nella tribù. Il re è costretto, da coloro che detengono il potere reale, a commettere un incesto effettivo o simbolico  nonché as unirsi con tutte le donne che le regole matrimoniali in uso gli proibiscono formalmente, madre, sorella, figlia, nipote, cugina. Deve rendersi colpevole di ogni trasgressione come mangiare cibi proibiti, commettere atti di violenza, . Gli si fanno fare bagni nel sangue, gli si fanno ingerire droghe. Il re in sostanza non è chiamato a trasgredire a un divieto particolare, ma a tutti i divieti possibili e immaginabili. Il re deve quindi incarnare il personaggio del trasgressore per eccellenza, dell’essere che non rispetta alcuna regola, così da attrarre a sé l’odio della massa.

Ovviamente, nella piccola dimensione della tribù queste trasgressioni devono effettivamente realizzarsi perché il controllo reciproco dovuto alla piccola dimensione del gruppo impedisce che ne venga semplicemente diffusa la notizia, come invece può avvenire nella dimensione attuale della civiltà, dove la notizia può anche essere inventata e dove esiste un sistema giudiziario che può distruggere la “reputazione” di qualsiasi uomo attraverso imputazioni su semplici sospetti.

Da quanto abbiamo fin qui esposto si ricavano anche delle ovvie conclusi in merito al sistema di governo democratico. La semantica di tale sistema non è nella restituzione al popolo della possibilità di decidere del proprio destino, perché questa possibilità l’avrebbe sempre avuta se non fosse costretto dai vincoli interni dell’incollamento indotto, in tempi lontani, dalla grande paura che lo porta ad essere oggetto di plagio che esso stesso cerca, in preda al binomio dialettico fra il disperato bisogno di amore e la grande rabbia per la sua frustrazione, che lo porta ad uccidere. E questi vincoli, che implicano una stupidità paranoide, il voto non li toglie. Ciò a parte la stupidità intrinseca nel porre quesiti complessi a gente per la massima parte non in grado di dare una risposta autonoma, che non sia il prodotto fanatico dell’intorno culturale in cui la ha portato il transfert della dipendenza paterna.

D’altra parte è anche da considerare  che le mutate condizione di interazione fra il capo e le masse hanno determinato il mutamento altresì delle caratteristiche distintive del capo. Usando i termini di Dupuy, per Freud il capo della folla costituisce un “punto fisso esogeno”, ossia produttore ed organizzatore della folla. Secondo Girard e secondo la teoria dell’organizzazione, invece, egli è un elemento endogeno “prodotto dalla folla,   pur se agisce sulla folla. Il meccanismo che è in gioco è un meccanismo dialettico di interazione reciproca, o feedback, che è tipico dei sistemi. Il capo è un catalizzatore dei bisogni della folla, nel senso che li fa emergere dallo stato potenziale indicando la direzione di sfogo e, come tale, è un prodotto dei bisogni della folla. 

Al momento in cui la folla giunge alla identificazione del capo si verifica una diminuzione della paura dovuta al senso di protezione e di maggior forza che dà la partecipazione ad un gruppo, si ha cioè un mutamento della struttura psicologica della folla in cui l’aggressività prima compressa subisce una emersione ed una amplificazione per effetto della diminuzione della paura. Il capo avverte il mutamento della folla, la sua maggiore volontà di potenza, il suo consenso e ne è eccitato, subendo a sua volta una amplificazione della propria volontà di potenza. Il capo quindi, come mediatore, deve indicare una direzione di sfogo della violenza accumulata e deve essere una direzione comune e quindi non può essere interna, deve essere necessariamente nella guerra.

A parte il contributo che la democrazia può dare all’illusione di contare qualcosa, il valore della democrazia potrebbe consistere nella articolazione complessa dei poteri (ben lontana dal simulacro fin oggi realizzato in tutte le democrazie del mondo) che potrebbe permettere  e che purtroppo la massa non può comprendere nelle sue necessità di differenziazioni e di garanzie e sopratutto di appoggio da parte della componente più libera della massa stessa che dovrebbe esprimerne la forza. Ora, noi abbiamo visto come la molteplicità delle linee di potere riduca la capacità operativa del sistema. Cionondimeno, nella attuale civiltà, in cui il potere centrale è divenuto sopraffattore ed espressione di una paranoica volontà di potenza, tale condizione, sia pure nell’ambito di una certa struttura costituzionale, si impone come necessaria per ridurre la quantità complessiva di dolore del sistema.

La massa è invece sempre alla ricerca del padre-padrone che la domini e la liberi dalla angoscia  attraverso  lo  scarico  dell’aggressività  in guerra e in questo comportamento irrazionale,   paranoico,  si  avverte  l’emergere,  a  livello  subliminale,  di  un   impulso autodistruttivo in cui si è trasformata la frustrazione del bisogno di amore.

Già Freud aveva indicato, come origine della guerra l’estroversione di un impulso autodistruttivo, fondamentale, strutturale, di origine genetica, impulso di morte, che si contrappone all’impulso di amore nel binomio Eros-Tanatos. La teoria dell’organizzazione ha criticato questa impostazione che riconduce l’aggressività intraspecifica dell’uomo ad un impulso strutturale, di origine genetica, in quanto ha mostrato come in certe fasi dello sviluppo evolutivo dell’uomo esso avrebbe impedito la sopravvivenza della specie ma, alla fine delle sue elaborazioni, ne ritrova l’esistenza, sul piano ontologico, come trasformazione dell’impulso sociale di amore in conseguenza della sua frustrazione che induce una grande paura priva di oggetto specifico, l’angoscia.

La paura è un impulso introverso, di fuga, che nelle sue fasi estreme depressive diviene fuga dalla vita, autodistruttivo. In queste condizioni l’impulso sociale, divenuto impulso di morte, si contrappone all’ impulso di conservazione individuale e l’effetto della composizione dei due impulsi è in generale, la sua estroversione cioè l’indirizzamento delle energie aggressive verso l’esterno del sistema. Si verifica cioè quella che la nostra teoria chiama estroversione della paura; essa distrugge qualsiasi vincolo empatico nell’odio più feroce che neanche la morte del nemico può eliminare.

La condizione di guerra permette però di realizzare quella condizione di comunione di memorie di rassicurazione con i commilitoni che permette di introiettare anche la condizione di sopraffazione della gerarchia, realizza cioè, di fronte al grande pericolo esterno, la condizione di integrazione che porta allo scarico l’angoscia e ciò spiega la grande forza dirompente degli eserciti nei confronti della organizzazione sociale,quando si sviluppino separatamente da essa, quale ad esempio fu mostrata dagli eserciti romani che posero fine all’organizzazione repubblicana dell’antica Roma. L’effetto, naturalmente, è provvisorio e viene distrutto da un lungo periodo di pace. Di qui la necessità,teorizzata da alcuni pensatori, di un ripetersi periodico della guerra. “Voi dovreste amare la pace come un mezzo per nuove guerre. E la pace breve più di quella lunga” (Nietzsche:F. Della Guerra e dei Guerrieri).

Ovviamente, non è di poca importanza la diversità fra la teoria freudiana e la teoria  dell’ organizzazione nella determinazione dell’origine dell’impulso di morte, ma la coincidenza del  risultato  finale  non  può  non suscitare ammirazione per le capacità intuitive di quel grande pensatore che è stato Freud.

Amore e Morte
Tu mi guardi e non mi vedi
e la mia anima muore.
Perché nei tuoi occhi
é racchiuso il mio mondo.
Perciò devo impormi
per amore o per forza
nella realtà o nel sogno
o vivrò senz’anima
nel gelo della solitudine
e, folle di paura,
bramerò l’ultima fuga.
Ma se altra paura l’impedirà
brucerò nell’odio 
e combatterò mille battaglie,
con l’enorme coraggio
in cui il desiderio di morte
può trasformare la paura.. 

 

 

Riferimenti

Firrao S.: Il potere e la paura, www.lulu.com  ISBN:  978-1-4716-1821-5, 2012  in cui è possibile trovare più ampi riferimenti bibliografici

Hall Calvin S., Lindzey G.: La teoria dello stimolo-risposta, in Teorie della personalità, Capitolo 11, Boringhieri, Torino, 1970

Stendhal:Dell’Amore, Einaudi, Torino, 1975

Freud S.: Totem e Tabù, Boringhieri, Torino 1969.- Osservazioni psicoanalitiche su di un caso di paranoia descritto autobiograficamente, in Opere, vol. 6, Boringhieri, Torino, 1974, in cui si descrive la persistenza di una elevata intelligenza in un paranoico .- Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Opere, vol.9, Boringhieri, Torino, in cui documenta  il mutamento dei vincoli sociali dovuto all’inserimento in una folla- Inibizione, Sintomo e Angoscia, in Opere, vol.10, Boringhieri, Torino, 1978 – Il disagio nella civiltà, in Opere, vol.8, Boringhieri, Torino, 1978, Al di là del principio del piacere, Opere, vol.9, Boringhieri, Torino, 1977, in cui si introduce l’impulso di morte

Girard R:: La violenza ed il sacro, Adelphi,Milano, 1980,ISBN 978-88459-0947-4

Nietzsche: Della Guerra e dei Guerrieri, in Così Parlò Zarathustra, Milano, Mondadori, 2000

 

 

 

 

                                                                                                                                                                      

 

Il ritorno del desiderio

Questo articolo fa seguito alla mia precedente memoria che ha come titolo “La fisica dell’amore” ed ha lo scopo di approfondire alcuni aspetti fondamentali dello sviluppo di questo sentimento che nel lavoro precedente sono rimasti alquanto in ombra, per la necessità di graduare l’impatto conoscitivo, che ne sarebbe reso altrimenti di assai più difficile acquisizione. Nella esposizione dei sistemi complessi occorre infatti seguire la struttura stratificata del sistema, passando da un livello di base della massima semplicità a livelli che divengono sempre più complessi per effetto dell’aggiunta di nuove variabili.
E’ evidente che, dal punto di vista della rappresentazione della realtà, i modelli intermedi sono facilmente falsificabili, perchè comportano l’azzeramento di variabili che sono invece indispensabili per il funzionamento del sistema o addirittura l’introduzione, sia pure provvisoria, di entità inesistenti commettendo così un fondamentale errore epistemologico, la disobbedienza al precetto “entia non sunt multiplicanda preater necessitatem”.
Il passaggio per il sistema semplificato, oltre ad essere di per sé di più facile acquisizione, offre inoltre l’opportunità che sia lo stesso discente ad individuare le carenze del sistema semplice, rendendosi così direttamente conto della necessità di introdurre nuove variabili o della necessità di modificare quelle già introdotte, condizione questa importantissima ai fini della appropriazione profonda della conoscenza, che diviene una creazione propria del discente. Ciò apparve già necessario a Platone, la cui opera filosofica è rappresentata da dialoghi che egli immaginava avvenissero fra il suo maestro, Socrate, e diversi interlocutori. In uno di questi dialoghi egli paragona questa maniera di insegnare all’opera della levatrice che aiuta un processo che deve svolgersi al di fuori di lei. Questo processo di falsificazione delle teorie, applicato non già ai modelli intermedi dell’attività didattica, ma alle teorie scientifiche, costituisce una parte centrale del pensiero di Karl Popper, secondo cui questo sviluppo della critica è fondamentale per l’avanzamento della scienza.
Questa condizione dialettica Platone dovette fingerla, nella considerazione che anche l’ascolto delle opposte linee di pensiero sia di aiuto per l’ascoltatore; non esisteva allora il blog, in cui la condizione dialettica può invece essere effettivamente realizzata; cionondimeno fintanto che le posizioni dialettiche non mi vengono presentate nei commenti, dovrò procedere anch’io senza il ritorno, ma comunque con una introduzione graduale della complessità che consente, in teoria, lo sviluppo della condizione dialettica.
Come già avvertito nell’articolo precedente, questo lavoro si rivolge particolarmente ad una mia amica che lamentava l’emarginazione dalla conoscenza di importanti avanzamenti del pensiero scientifico cui è soggetto chi non ha svolto determinati studi specialistici. Ove l’ignoranza riguardi il bosone di Higgs, pazienza, ma ove si tratti di chiarire l’azione delle forze che governano i rapporti interpersonali, si tocca il cuore dei nostri interessi affettivi e l’ignoranza diviene intollerabile.

                                  *                              *                           *

Nel precedente articolo abbiamo avuto modo di rilevare come la comunione delle memorie di riconoscimento possa essere legata al verificarsi di una certa situazione particolare di sinergia a cui rimanga quindi limitata. La connessione in tal caso nasce con carattere di labilità, cosicché può rapidamente cessare al mutare anche di aspetti marginali. Perché la connessione interpersonale assuma un aspetto più generalizzato, cosicché la connessione istintuale fra due individui involva l’intera struttura delle memorie riconoscitive, occorre che il processo implichi condizioni di grande livello tensionale e si verifichi nella fase infantile di imprinting, così da divenire un impulso notevolmente rigido e costituire un canale preferenziale di flusso così profondo da rappresentare elemento di indirizzamento in tutte le condizioni di sollecitazione del sistema. Ciò quindi comporta che la figura umana non assuma particolare rilievo solo in determinate circostanze casuali, ma abbia un contenuto emozionale strutturale e quindi un area di ridondanza così grande da interagire in maniera importante con gli impulsi fondamentali. Abbiamo già accennato, nel precedente post, come ciò imponga di necessità l’esistenza di un altro impulso di origine genetica che si caratterizza come bisogno sociale e la cui frustrazione induce un allarme così alto da superare il livello che definisce la paura che nel caso specifico viene indicata come angoscia.
Come avviene anche per l’impulso della fame esso si manifesta inizialmente come sviluppo di una condizione tensionale indeterminata che viene guidata verso l’oggetto mediatore dello scarico da particolari richiami, cioè combinazione di elementi sensori che guidano il comportamento perché direttamente legati ai centri di produzione di dolore-piacere. Ciò che provoca lo scarico della condizione tensionale del bisogno sociale una volta determinato l’elemento mediatore nella figura umana è il “ritorno del desiderio” costituito dal riconoscimento della condivisione con il mediatore di una memoria di rassicurazione.

Nella primissima fase infantile di imprinting, quella legata al rapporto con la madre, esso è costituito dal riconoscimento della condivisione della memoria di rassicurazione fondamentale per la sopravvivenza, quella legata all’impulso della fame. Conviene che esaminiamo più in dettaglio tale processo perché si manifesta in questo caso in una forma più semplice e quindi più facilmente comprensibile. Si svolge infatti in una certa condizione di “anestesia” delle funzioni psichiche che equivale ad escludere dal quadro tutta una serie di variabili che lo complicherebbero e renderebbero più difficile il rintracciare il bandolo di questa intricatissima matassa che alloggia nel nostro cervello.
L’esigenza di semplificazione del quadro delle interazioni si è posto infatti anche in fase evolutiva; l’importanza di questo fondamentale rapporto interpersonale per la sopravvivenza della specie ha infatti richiesto che la sua formazione sia esente da errori e pertanto sia accompagnata da vincoli che limitino i gradi di libertà del processo dovute ad altre cause di variabilità a livelli trascurabili, almeno a livello di specie. Questa condizione è raggiunta fissando le informazioni sensorie contemporanee allo stato tensionale indotto dalla fame in assenza di rumore e così esenti da distorsioni. L’assenza di rumore è ottenuta dalla limitazione della attività psichica alla sola funzione nutrizionale e dalla presenza di un solo mezzo di soddisfazione delle necessità nutrizionali, mezzo che involve necessariamente l’immagine umana.
La stimolazione dell’impulso della fame, come sappiamo, è di origine interna e non può quindi essere soddisfatto dall’ allontanamento, ma richiede l’avvicinamento ed un comportamento con caratteristiche aggressive. Naturalmente, essendo il bambino privo di qualsiasi potere, l’espressione “comportamento aggressivo” va inteso come l’attivazione disordinata e caotica degli organi operativi, ivi compresi quelli che danno luogo al pianto, a cui il termine aggressivo sembrerebbe, di primo acchito, non confacente. Tale comportamento viene definito comunque aggressivo in quanto diretto verso l’oggetto individuato come fonte della sofferenza, perché unica rappresentazione sensoriale con essa concomitante per effetto della limitazione esistente nella attività psichica e quindi naturalmente diretto alla sua eliminazione, Ma tale comportamento viene rapidamente modificato in un comportamento che ha caratteristiche di svuotamento o di sfruttamento, caratterizzandosi quindi come impulso dominativo, con caratteristiche conservative anziché distruttive. Tale modificazione è così immediata da rendere la divisione nelle due fasi del comportamento quasi solo un esercizio analitico; essa è il risultato dell’azione orientativa svolta dalla sensibilizzazione labiale, che crea l’impulso orale di suzione che è quindi la prima manifestazione di richiamo che in questa prima fase di sviluppo del sistema assume prevalentemente la forma di una sensibilizzazione tattile.

La piena disponibilità della madre a soddisfare la fame e quindi l’impulso dominativo del bambino costituisce un comportamento donatario che è l’opposto del comportamento aggressivo e ciò comporta che non compaia nel bambino la paura che è, come sappiamo, reazione repulsiva all’aggressività del partner, modo con cui il bambino potrebbe vivere la comparsa, parallela a quella della figura materna, della fame lasciata priva di soddisfazione. Per conseguenza la madre diviene l’oggetto dell’ulteriore bisogno di sicurezza espresso dall’angoscia esistenziale, che costituisce una domanda supplementare a quella di soddisfazione della fame. E’ come se il bambino volesse essere rassicurato che la soddisfazione della fame non costituisce un fatto casuale, episodico, ma che effettivamente egli ne abbia il dominio, perché a sua volta oggetto del desiderio materno. Di qui l’estrema sensibilità alle modificazioni del rapporto con la madre dovute al fatto che non sempre la fame del bambino coincide con la disponibilità della madre e ciò rafforza il dubbio sulla solidità del suo dominio e lo sviluppo conseguente di una attività volta a prevenire la paura rafforzando quella che appare la fonte della rassicurazione, cioè la condizione di soddisfazione della madre. L’impulso dominativo si trasforma così in un impulso attrattivo privo di aggressività, volto all’aggregazione.
Tale trasformazione implica una interazione bilaterale, un colloquio che valorizza la volontà dell’oggetto e comporta un processo di scambio, quindi un “dare” oltre che un “avere”. Questo obiettivo, di possedere la volontà del partner, di essere cioè nell’anima, di essere amato, può trovare infatti soddisfazione in un certo colloquio che può stabilirsi, e in genere si stabilisce, fra il bambino e la madre. Tale particolare rapporto si basa ancora su un richiamo che, invece che sul bambino agisce sulla madre, costituito dal fatto che al piacere del bambino nella suzione corrisponde un piacere della mamma nell’allattare, piacere che può essere di notevole entità e determinare una dipendenza dal bambino, rendendo così quasi automatici processi di identificazione ed attaccamento.
Ma anche il bambino “sente” il piacere della madre attraverso opportuni segnali che avverte subliminalmente. E’ assai interessante, in questo senso, rilevare come anche Jung, che di sistemi complessi non aveva conoscenza (né poteva averne, perché i più importanti sviluppi dello studio dei sistemi complessi sono a lui successivi) sostiene, come sua semplice constatazione, senza darne la spiegazione strutturale, riduzionistica, l’esistenza di comunicazioni inconsce, subliminali, fra l’inconscio della madre e quello del bambino.
Si realizza così in definitiva la coincidenza nella stessa azione del piacere di entrambi i partner, cioè la comunanza della memoria di rassicurazione, e quindi il “ritorno del desiderio”, il che vuol dire che al desiderio del bambino corrisponde il desiderio della madre. Si instaura così in definitiva il rapporto di amore di cui quindi il ritorno del desiderio è una condizione necessaria, vincolante, per la sua formazione..
Come sappiamo, le informazioni sensorie contigue ad una condizione di piacere assumono la capacità autonoma di dare piacere, e quindi, in virtù della comune dipendenza dalla stessa memoria di rassicurazione, quelle che danno piacere al figlio inducono piacere anche alla madre e viceversa quelle che danno piacere alla madre inducono piacere anche al figlio. Si verifica così, ovviamente in fasi più avanzate dello sviluppo psichico, terminata la limitazione iniziali delle funzioni psichiche, una “copiatura” della struttura degli impulsi dall’ uno all’altro partner, che trova riscontro nella “teoria mimetica del desiderio” di René Girard.

Naturalmente, nelle fasi successive dello sviluppo psichico, quando la dipendenza psicologica si trasferisce dalla madre al padre, la funzione di guida è svolta da richiami differenti coerenti alla nuova situazione esistenziale determinatasi. La comunione delle memorie di carico e scarico dei partner è realizzata mediante un gioco reso possibile dalla sensibilizzazione di certe aree del corpo che Freud denominò “zone erogene”, nome quanto mai indovinato, giacché eros in greco vuol dire amore e quindi erogene vuol dire generatrici di amore. In realtà però egli le considerò come strutture di formazione dell’impulso sessuale ed in ciò il quadro formato mediante la teoria dell’organizzazione dei sistemi complessi dissente. In realtà anche l’impulso sessuale si avvale della sensibilizzazione di certe zone del corpo per indurre comportamenti coerenti con l’obiettivo copulativo, ma ciò non significa che tutte le sensibilizzazioni abbiano questo obiettivo; abbiamo visto che la sensibilizzazione labiale, ad esempio, ha la sua funzione fondamentale nel deviare l’aggressività del bambino dalla forma incorporativa a quella di suzione anche se poi tale sensibilizzazione svolge una importante funzione anche nel processo di accostamento sessuale.
Nel processo di formazione del collegamento con il padre, per esempio, la funzione che nel rapporto con la madre è esercitata dalla sensibilizzazione del seno è svolta da richiami “infantili” (che sussistono anche nella madre che, per brevità, abbiamo omesso di trattare). Tali richiami hanno un contenuto visivo prevalente e sono di enorme potenza talché agiscono anche in campo intraspecifico, nel senso di bellezza e di tenerezza cui danno luogo i cuccioli anche di altri animali. E’ stato mostrato che in certi casi operano anche sui più crudeli criminali. Un bambino sopravvissuto allo stermimio effettuato in Norvegia da Breivik ha raccontato che il carnefice lo aveva sotto tiro ed ha evitato, dopo un tentennamento, di ucciderlo.
Nel processo di trasferimento dell’informazione, permesso dalla comunione delle memorie riconoscitive, che costituisce una struttura di decodificazione sulla base della comunanza che così si stabilisce del significato di ogni struttura sensoria in termini di piacere-dolore, il rapporto fra i partner non è egualitario sul piano quantitativo; vi è trasferimento prevalente dal genitore al figlio. Tuttavia, il rapporto gerarchico, di ubbidienza che così si costituisce, non è avvertito dal figlio, perché è la conseguenza di un desiderio intenso del figlio di intervento rassicurativo del genitore a cui esso risponde in fase formativa strutturando così un impulso rigido che permane anche nell’età adulta. Esso nasce, in sostanza, come necessità funzionale del sistema. Girard direbbe che opera una funzione “mimetica”, che il partner è il “mediatore mimetico del desiderio”.

                          *                        *                         *
Cara amica, è difficilissimo dare una rappresentazione descrittiva del sistema complesso. perché è sufficiente trascurare o semplicemente sottovalutare nella sua importanza una variabile perché il quadro che si presenta si ribalti e muti completamente la sua forma. Ciò accade per tutte la forme che la struttura delle interazioni umane assume per effetto della variabilità delle condizioni esterne e interne al sistema psichico.
Il proseguire seguendo tutti i percorsi alternativi che i flussi di interazione possono seguire nel sistema, a parte la dimensione che una tale descrizione, sia pure in termini semplificativi ed ovviamente limitatamente a quello che sulle basi delle attuali conoscenze noi possiamo dire, comporterebbe un lavoro troppo oneroso per le mie attuali, modeste forze. Poiché però è mio desiderio agganciare il discorso al significato che in questo contesto ha l’arte, ed in particolare la poesia e poiché ciò non è possibile senza introdurre alcune forme assunte dalla struttura delle interazioni, vorrei chiederti di seguirmi nello sviluppo di alcuni di questi aspetti senza richiedermi descrizioni dettagliate o addirittura lo sviluppo di tutte le connessioni logiche che hanno portato a questi risultati.
Il desiderio di amore è tipico di questa mutabilità degli assetti psichici, di cui è elemento centrale. Intanto ha una struttura stratificata, nel senso che varia enormemente nell’ambito della popolazione; vi è una minoranza di uomini in cui l’impulso si ferma all’assetto dominativo, ma la grande maggioranza degli uomini è affetta da questo bisogno, più che desiderio, di scarico dell’angoscia esistenziale attraverso il ritorno del desiderio, cioè attraverso l’amore. Esso subisce una successione di operazioni di transfert, attestandosi in definitiva nella forma di richiesta al corpo sociale che ha il suo punto focale, il suo baricentro nel leader, che assume nelle primigenie organizzazioni sociali, come già aveva intuito Freud, la funzione del padre. La sua frustrazione (anzi il comparire della sopraffazione anziché dell’amore), quale si verifica ormai fin dalle rivoluzioni tecnologiche metallurgica ed agricola, ha avuto importantissime conseguenze.
La prima conseguenza è il porsi dell’impulso di amore in contraddizione con l’impulso di conservazione individuale, cioè in quella struttura che Freud denominò l’io. L’impulso sociale si è sviluppato infatti evolutivamente in una condizione ambientale in cui l’appartenenza al gruppo era condizione necessaria di sopravvivenza non solo dell’individuo, ma anche del gruppo che aveva bisogno della partecipazione di tutti i componenti, in un numero che poteva spaziare entro limiti molto ristretti. L’avanzamento tecnologico con la facilità di approvigionamento del cibo che ne è conseguita, ha distrutto questa condizione di affettività forzata (che agiva anche sugli individui in cui il bisogno dell’altro si manifestava solo in termini dominativi) ed ha portato all’importazione di aggressività e violenza all’interno del gruppo. Ciò ha portato ad una rimozione parziale, al disconoscimento del bisogno di amore, il che ha reso ancora più misteriosa l’angoscia che appare priva di qualsiasi elemento mediatore, oltre che priva di qualsiasi motivo. L’uomo in sostanza si “vergogna” di questa sua debolezza e la rimuove e la trasforma in bisogno di integrazione, bisogno di importanza o bisogno di successo e di potere, a seconda della sua struttura caratteriale. Se ne sottovaluta così l’importanza che è enorme potendo sopraffare l’impulso di conservazione individuale portando alla depressione, alla follia e al suicidio.
L’arte è costituita dalla realizzazione di rappresentazioni che attivano certe memorie direttamente collegate con i centri del piacere e quando si tratta di opere letterarie questi impulsi possono essere accettati o rifiutati dalla coscienza, nel senso che nel primo caso costituiscono una amplificazione “romantica” dei contenuti gratificanti (la menzogna romantica di Girard) mentre nel secondo caso sollecitano impulsi che sono oggetto di rimozione (la verità romanzesca di Girard) ed è assai importante rilevare che sono questi ultimi che danno agli autori la fama di grandi. Essi provocano un piacere sentito subliminalmente, un vibrare profondo dell’anima, di cui però non si riconosce l’origine perché il suo accesso alla coscienza è sottoposto a rimozione, ma se ne gusta il sapore nuovo, se ne avverte la profondità. Il linguaggio poetico può raggiungere una estrema sinteticità dovuta al fatto che scavalca la necessità della giustificazione razionale, facendo invece appello alla “risonanza” che certe connessioni suscitano nell’anima. Restando sempre nell’ambito del ritorno del desiderio, il massimo della sinteticità è raggiungo da Dante “amor che a nullo amato amar perdona“. Ma io mi permetto di rilevare che quel “nullo amato” è troppo categorico e che l’apparente neutralità può nascondere una rimozione, può essere solo una preventiva difesa.

Ecco come io rappresenterei il ritorno del desiderio nel linguaggio sintetico della poesia:

IL RITORNO DEL DESIDERIO
Ho racchiuso la mia anima
come una larva
entro una fitta rete
di illusioni e di inganni.
Dall’interno di questo bozzolo
che mi protegge
come una corazza
io posso anche sorridere
del mio desiderio di te.

Ma se i tuoi occhi
mi guardano
se la tua bocca
mi dice che mi ami
se sento proteso a me
il tuo desiderio,
oh, allora
come per un’arma misteriosa
un tremendo raggio di luce
crolla la mia fortezza
e tu vi penetri nel cuore
ove,
se il tuo fu solo un inganno
come l’ape nel cuore del fiore
puoi suggere il miele
della mia vita

ma guarda in che maniera stupenda sa dirlo Pablo Neruda, in questa poesia, letta in maniera superba da Ferruccio Amendola

E non è la bellezza anch’essa manifestazione di un desiderio d’amore, una richiesta di ritorno dell’affettività rivolta al mondo? Te lo dico ancora in versi

LA BELLEZZA
La bellezza non esiste
nelle cose del mondo.
E’ una fragile creazione dell’anima
é la misura,
nata dal dolore
dell’amabilità delle cose che permisero
in un tempo lontano
il fluire della vita

E’ il desiderio che le cose si muovano
verso la lontana spiaggia
di una irraggiungibile sicurezza
dove, come salmone alla fonte,
l’anima possa riposarsi
e morire.

E’ il desiderio che le cose ci amino,
una fame antica
che non può essere saziata
dalle cose immobili
nè dagli uomini fermi
tutti in attesa dell’amore altrui.

Tributo di morte
alla vita della nostra specie.
Gran fuoco di mezza estate
ove la bellezza è nella fiamma ardente
e noi siamo i tizzoni
e veniamo consunti
da quest’ansia assurda
che ci alberga nel cuore.

Adesso mi sovvengono i versi di una poesia molto bella, che così dice :

Al quarto pioppo il sentiero svolta
all’aia, sotto il fico
i vecchi si raccontano ieri
coi gomiti sul tavolo e il tresette.
Tra il fumo del toscano e la cima
dell’albero c’è un’innocenza primitiva
stanca di giorni e d’imbrogli.

Così, a dirla col vino, la vita sembra
meno dura. Tra un sorso e l’altro
si scordano torti e rimorsi
l’inutile noia della vecchiezza
e si nasconde la paura dietro alle foglie
quando un bicchiere si rovescia
e una sedia resta vuota.

La vita è quest’antico silenzio d’api
che ronzano il frutto,
è attesa immobile del rosso spaccato della polpa.
Ogni tanto, dal bosco, si sentono spari
il fagiano non sa che ogni volo è un addio.

Ecco, io ho 82 anni ed i miei voli sono queste esternazioni dei miei pensieri con cui combatto l’inutile noia della vecchiezza. Ma io lo so che ogni volo può essere un addio.

La fisica dell’amore

Una mia cara amica, che è fortemente interessata ai sentimenti umani ed in particolare all’amore, che ama la poesia, collegamento diretto con le profondità dell’anima, mi ha osservato, tempo fa, che il suo intenso desiderio di conoscere tutto ciò che di nuovo si scopre intorno a questi aspetti fondamentali della nostra vita, in particolare a mezzo delle nuove scienze cognitive, veniva frustrato dal richiedere tale lettura una preparazione specialistica, un tipo di cultura di cui Ella non dispone.

Non è certamente una situazione che involva solo la mia amica; è una condizione di settorialità della cultura e di assenza di adeguate comunicazioni intersettoriali che si aggiunge alla generale carenza culturale delle masse, determinando un danno sociale assai grave, se dobbiamo condividere la speranza di pensatori assai lontani nel tempo, come Platone e Madison, che è solo da un avanzamento culturale generalizzato, dall’allentamento dei vincoli che bloccano il pensiero, che può scaturire un miglioramento della nostra convivenza.

Mi sono perciò assunto il compito di cercare di spiegare, senza pretesa di rigore e al solo fine di renderlo di facile comprensione, il meccanismo di interazione che sottende ai rapporti di amore, certamente fondamentali per una specie animale che deve la sua sopravvivenza alla sua struttura associata. E lo farò come se parlassi solamente con te, mia cara amica, perché è la tua ansia, che traspare a volte improvvisa e tagliente nei tuoi componimenti, che trova un’eco dolorosa nella mia anima.

                         *                          *                    *

Il cervello può essere rappresentato come l’intreccio di una molteplicità di reti di connessione correnti fra i neuroni, reti percorse da flussi di energia la cui natura non è al momento necessario precisare, bastando tener conto della sola caratteristica costituita dal “livello” di energia, livello che caratterizza anche le reti, ciascuna delle quali può convogliare solo l’energia di un determinato livello. Per semplicità chiameremo tensione questo livello quando si riferisce al flusso di energia e rigidità quando si riferisce alla rete che lo può accogliere. I neuroni sono nodi comuni ad una molteplicità di reti e in essi il flusso di energia può passare da un nodo all’altro della stessa rete o da una rete all’altra, sono cioè degli interruttori che in virtù della molteplicità delle direzioni alternative che possono indurre possiamo anche chiamare “interruttori stellari”.

Il numero di neuroni ed il numero delle connessioni sono tali da determinare un groviglio apparentemente inestricabile, si pensi che vi sono anche neuroni in cui il numero delle sinapsi (che sono l’elemento di connessione), e quindi il numero delle direzioni alternative che essi possono indurre al flusso informativo, si misura in termini di centinaia di migliaia. Ciò non toglie che noi possiamo immaginare uno schema semplificato sia per quanto riguarda il numero degli interruttori e delle stratificazioni di rigidità sia per quanto riguarda la disposizione di questi elementi nello spazio, schema nell’ambito del quale il processo di trattamento dell’ informazione proveniente da determinati sensori diviene di più facile comprensione e valutare poi le problematiche che possono sorgere nell’estensione del quadro così fornito delle interazioni ad una situazione più complessa.

Come approccio graduale alla complessità della struttura reale, noi supporremo dunque inizialmente tre livelli di rigidità nelle connessioni, di cui uno definisce una rete di fondo (o di primo livello) costituita da connessioni nodali che si limitano a trasferire il flusso in input a tutte le direzioni di output, che operano cioè con tutti gli interruttori costantemente aperti, il secondo che definisce una rete di secondo livello (più rigida della prima) e la terza che definisce una rete di terzo livello (ancora più rigida). Ciascuna rete è composta da otto strati di eguale rigidità. Nelle reti di secondo e di terzo livello lo stato naturale degli interruttori comporta la chiusura di tutte le connessioni. Tale stato può essere modificato da un flusso di energia di adeguato livello tensionale e, una volta modificato, permane per un tempo più o meno lungo (dipendente della rigidità della rete).

Consideriamo innanzi tutto la determinazione delle linee di flusso che collegano i terminali sensori con i nodi di uno strato interno, linee che definiscono reticoli che chiameremo memorie percettive. Consideriamo cioè un primo livello di organizzazione, in cui l’elemento di guida nella formazione dei percorsi è costituito dai soli flussi di energia che provengono dai terminali sensori. Ogni informazione sensoria, che costituisce il contenuto di una “percezione”, è costituita da una determinata combinazione di terminali eccitati. Lo schema della figura rappresenta dunque una rete semplice con interruttori a due vie di input e due vie di output per ciascuna delle sottoreti di base, di secondo e di terzo livello, più due interruttori per la comunicazioni con le reti contigue di differente livello (i vari livelli vanno immaginati paralleli al piano del foglio).

Nello schema della figura i punti della linea A rappresentano i terminali sensori che si distinguono per avere una sola via di input e che ho, per comodità, esemplificato in un numero limitato di punti, che ho numerato. Le frecce incidenti su alcuni di questi terminali stanno a rappresentare il flusso energetico che, incidendo su di essi, ne determina l’eccitazione. Nello schema è cioè indicata la particolare informazione sensoria costituita dall’ eccitazione dei terminali sensori 2, 5 e 9 (dovremo però in linea generale considerare la percezione come costituita sempre dalla sollecitazione di un certo numero minimo di terminali sensori, cosi che la variabilità delle percezioni sia una variabilità distribuzionale della sollecitazione, non una variabilità del numero di terminali eccitati.

Schema di rete

Schema di memoria percettiva

Lo strato A rappresenta quindi come uno schermo in cui si proiettano, mediante una scomposizione puntuale, le informazioni sensorie. Sopra lo strato A abbiamo indicato gli strati B, C, ecc., di interruttori, o nodi, o neuroni che dir si vogliano. Ogni nodo dello strato A è collegato ai nodi adiacenti dello strato B, ogni nodo dello strato B è collegato ai nodi adiacenti dello strato C e così via. Il nodo 2 dello strato A è allora, nella nostra figura, collegato ai nodi 1 e 2 dello strato B; ora noi supponiamo che il flusso energetico uscente dal nodo 2 dello strato A si diriga sia verso il nodo 1 che verso il nodo 2 dello strato B, che cioè vengano attivate tutte le sinapsi di output della rete in questione (che fa quindi parte della rete di nodi di fondo, il cui stato implica l’apertura di tutte le connessioni). Ciò abbiamo indicato in figura attraverso l’uso di linee tratteggiate. Lo stesso dicasi per il flusso energetico incidente sui terminali 5 e 9 dello strato A. Il flusso energetico uscente dai nodi dello strato B si diffonde nella stessa maniera nei nodi dello strato C e così via, come indicato in figura.

Come si vede, ad ogni nodo di uno strato intermedio il flusso energetico può essere trasmesso da una o da due sinapsi di input. Ora noi supporremo che ad ogni passaggio si verifichi una diminuzione dell’intensità del flusso trasmesso da ogni connessione sinaptica, cosicché, oltre un certo strato il flusso trasmesso da una sola connessione sinaptica si spegne. Oltre un’ulteriore distanza (che definisce la cosiddetta area di ridondanza) il flusso si spegne anche se è trasmesso da due connessioni sinaptiche.

Tenendo conto quindi del più rapido spegnimento al contorno, il flusso energetico proveniente da un terminale sensorio si diffonde per conseguenza nel sistema di strati sovrapposti disegnando una superficie ovoidale che abbiamo per semplicità rappresentato in figura, nella sua parte inferiore, con una superficie conica.

Necessariamente, a partire da una certa stratificazione, i coni provenienti dai vari sensori si sovrapporranno e i nodi compresi nell’area di sovrapposizione saranno quindi sollecitati da una energia di livello superiore, il che porterà il flusso energetico ad imboccare la rete di secondo livello di cui vengono per conseguenza aperte le connessioni. Nello schema di figura ho indicato con linee continue i percorsi in cui fluisce l’energia a più alto livello tensionale, assumendo come paradigmatico il punto di intersezione dei coni partenti dai sensori eccitati. Il processo è iterativo nel senso che anche i coni che si formano nella rete di secondo livello si sovrapporranno in un certo strato e daranno così luogo a flussi energetici che correranno in una rete di terzo livello.

Per una esatta comprensione della figura occorre fare due precisazioni. Innanzi tutto, nella figura sono indicati a linea continua anche i percorsi della rete di base che inducono ai punti di intersezione. Ciò non significa che essi passano nella rete di secondo livello, ma solo che essi assumono una maggiore pervietà ai flussi di retroazione rispetto a percorsi alternativi. Al momento non serve che tu comprenda cosa sia la pervietà o cosa siano i flussi di retroazione. Al momento mi interessa solo che tu sappia che la linea continua in questi percorsi assume un significato diverso. In secondo luogo, appare dalla figura che mentre i flussi provenienti dai punti di ingresso 2 e 5 si estinguono al quarto strato (salvo ovviamente nel punto di intersezione), cosa indicata dall’arresto del tratteggio, il flusso proveniente dal punto 9 raggiunge l’ottavo strato. Ciò significa che certe informazioni sensorie hanno fin dall’inizio una maggiore area di ridondanza di altre e quindi un certo livello intermedio di tensione (ricordiamo che la semplificazione descrittiva ha solo tre livelli di rigidità, ma che nella realtà cerebrale il numero delle stratificazioni di rigidità è assai più elevato). Anche questo è un punto molto importante chesarà chiarito in seguito.

Ora, supponiamo che lo strato H dello schema in figura sia l’ultimo. Come si vede, il cono proveniente dalla porta di ingresso n.5, operando senza sovrapposizioni e nell’ipotesi che l’area di ridondanza lo permetta, andrebbe a sollecitare tutte le porte di uscita dalla 1 alla 8, il che viene espresso nel senso che il sistema disporrebbe di 9 gradi di libertà nello strato H. Considerando però che le linee di flusso della prima rete non abbiano un’area di ridondanza tale da permette la sollecitazione delle porte di uscita, queste ultime potrebbero essere sollecitate dal cono di secondo livello tensionale partente dal punto 3 dello strato D, (vertice dell’intersezione dei coni), dal n. 1 al n. 5. Il sistema perde cioè gradi di libertà con l’aumento del numero di terminali eccitati, che determina il numero di intersezioni e quindi di salti tensionali, a parità di stratificazioni e assume invece gradi di libertà aumentando il numero di stratificazioni.

Noi supporremo che solo i flussi che raggiungano lo strato finale delle memorie percettive con un certo livello tensionale (e quindi nell’ambito di una determinata rete) abbiano un significato ai fini della ulteriore elaborazione dell’informazione; in tal caso per raggiungere tale livello devono verificarsi un certo numero di incrementi tensionali e deve quindi sussistere l’eccitazione di un certo numero di sensori. Supporremo che siano tali da azzerare i gradi di libertà del sistema nello strato finale delle memorie percettive.

Dunque, abbiamo visto che, partendo da una determinata informazione sensoria, si determina automaticamente, in un sistema stratificato con interruttori a più vie, la formazione di linee di flusso, che portano, supponendo un determinato rapporto fra gli elementi costituenti l’informazione sensoria e gli strati di filtro, ad un determinato sbocco nodale, di un certo livello tensionale, in una certa stratificazione di nodi.

Considerato in se solo, avulso dalla rete dei flussi di energia provenienti dai terminali sensori e che in esso confluiscono, tale nodo finale non può essere considerato rappresentativo delle informazioni sensorie. Perché si abbia una “percezione”, infatti, occorre che ogni combinazione di informazioni proveniente dai terminali sensori sia nettamente distinguibile da qualsiasi altra e, a tal fine, abbia una propria indipendente rappresentazione nel cervello. Occorre cioè che i vari terminali sensori contemporaneamente eccitati vengano associati fra di loro in maniera unica, non ripetibile con un’altra combinazione di terminali sensori.

Ora, lo svolgimento del processo senza gradi di libertà implica che ad ogni informazione sensoria corrisponda un solo nodo di sbocco, ma non che viceversa ad ogni nodo di sbocco corrisponda una sola informazione sensoria. La corrispondenza biunivoca cioè non sussiste se si fa astrazione dalla rete dei flussi di energia attraverso cui si realizza la confluenza; ad ogni nodo dello strato finale possono infatti confluire i flussi energetici più diversi, cioè provenienti dalle più diverse combinazioni di informazioni sensorie. Ma se supponiamo che i percorsi in cui fluisce energia di un certo livello tensionale siano fissati in linee preferenziali di flusso, (condizione che abbiamo denominato pervietà) tale corrispondenza biunivoca può istituirsi, sia pure limitatamente al tempo di durata della fissazione delle linee di flusso. Il reticolo così strutturato potrà allora essere chiamato “memoria percettiva” della informazione sensoria ed avrà una durata pari a quella delle linee preferenziali di flusso.

La permanenza nel tempo della memoria percettiva può essere in atto o potenziale. Nel primo caso si verifica non solo la permanenza delle linee preferenziali di flusso, ma anche l’emissione, da parte del nodo in cui si realizza la confluenza, di un flusso di energia in direzione opposta a quella dell’energia ricevuta, flusso che percorre le linee preferenziali di flusso e ricostituisce, sullo schermo A, l’informazione sensoria originale. E’ questo il flusso che abbiamo chiamato di retroazione. L’immagine si ricostituisce sullo schermo A con una intensità ridotta (il che permette di distinguere le informazioni provenienti dall’esterno da quelle ricostituite partendo dalla memoria). Anche la struttura di quello che è a tutti gli effetti un ricordo differisce dalla percezione originaria nel senso che tutte le componenti che non passano ad una rete di un certo livello svaniscono nel ricordo, nel mentre le altre sbiadiscono in maniera inversamente proporzionale alla rigidità della rete. Rimangono, ovviamente, certi elementi di inquadramento generale della percezione che sono di origine genetica. Nel secondo caso, di permanenza potenziale, si verifica la sola permanenza delle linee preferenziali di flusso e l’informazione sensoria si ricostituisce sullo schermo dei terminali sensori solo in occasione di un afflusso di energia proveniente da memorie collegate alla memoria percettiva in uno o più dei suoi nodi costituenti.

E’ estremamente importante sottolineare che il reticolo del ricordo essendo costituito da linee dotate di una certa condizione di pervietà, cioè di preferenzialità rispetto a percorsi alternativi, si attiva all’ingresso di energia, quale che sia il nodo del reticolo in cui entra l’energia. Ciò è implicito nel fatto che la fusione degli elementi sensoriali per formare una unica memoria percettiva si realizza per sovrapposizione delle aree di ridondanza e ciò comporta che come possono fondersi i singoli elementi sensoriali, possono fondersi intere memorie percettive.

La fissazione della memoria percettiva, sia essa in atto o potenziale, è comunque molto labile, salvo condizioni particolari, di estrema importanza costituite dalla ripetizione della informazione sensoria, su cui avrò modo di intrattenermi in seguito. Una qualsiasi memoria percettiva può però diventare assai rigida se la sua formazione è accompagnata dall’ingresso nel sistema reticolare di una energia proveniente dall’esterno che ne rialza il livello tensionale. L’ingresso di questa energia che pervade tutte le canalizzazioni aperte fa passare la memoria percettiva in una rete più rigida cioè, nella nostra semplificazione descrittiva, in una rete di quarto livello. Le canalizzazioni di accesso alla rete di quarto livello di rigidità rimangono aperte anche quando l’energia proveniente dall’esterno non è più presente: esse vengono cioè percorse come canali preferenziali di flusso, anche in assenza dell’energia proveniente dall’esterno, dai flussi energetici che accompagnano il ripetersi dell’informazione sensoria. Tale informazione sensoria, associata alla memoria percettiva passata alla rete di quarto livello, diviene essa stessa capace di determinare, pur in assenza di alcuna sollecitazione della memoria esterna, lo sviluppo di un forte flusso di energia di attivazione del sistema (mediante il collegamento della rete al serbatoio di energia di attivazione, sui particolari del quale non è necessario soffermarci)

Pertanto, se tale energia è sviluppata da uno dei sensori che individuano le pulsioni genetiche, l’informazione sensoria contemporaneamente presente si associa stabilmente a tale pulsione e sostituisce il sensore interno nel determinare l’eccitazione (estroversione delle fonti di eccitazione). Se l’energia che entra nel sistema è sviluppata come reazione ad un danno fisico, condizione che viene detta di sollecitazione di un sensore genetico di stato (rete di sensibilità dell’organismo) l’informazione sensoria contemporaneamente presente, capace di sollecitare la reazione anche in assenza del danno fisico, viene chiamata “memoria di allarme”.

La capacità di fusione delle memorie percettive, cui abbiamo già accennato, sussiste ovviamente anche quando una delle memorie che si fondono è una memoria di allarme. Dunque, si possono formare connessioni fra memorie percettive e memorie di allarme che danno luogo a ulteriori memorie di allarme. Ovviamente, non tutte le strutture percettive contigue spazialmente o anche temporalmente (data la permanenza del ricordo) ad una memoria di allarme divengono memorie di allarme; occorre che la memoria percettiva abbia una adeguata area di ridondanza, e pertanto appartenga ad una stratificazione di rigidità contigua. Tornerò su questo argomento relativo alla selettività delle memorie percettive che si associano alle memorie di attivazione (sia pure, ben inteso, in modo non esaustivo). Accanto ai processi di formazione di memorie di attivazione legati alla formazione di connessioni fra informazioni sensorie e centri di emissione di energia si strutturano anche processi di formazione di memorie di arresto legati alla formazione di connessioni fra informazioni sensorie e centri di assorbimento di energia che si attivano inizialmente in via subordinata allo scarico esterno (cioè di quelle che vengono anche chiamate memorie di rassicurazione). Le memorie di attivazione e di arresto costituiscono le memorie di riconoscimento.

Il sistema psichico ha la possibilità di connettere diverse risposte alla stessa memoria di attivazione, ha cioè dei gradi di libertà nella risposta. Come sappiamo, ciò necessariamente implica che fra le memorie di attivazione e gli organi operativi siano interposte delle stratificazioni supplementari. Il sistema sceglie i terminali operativi da attivare sulla base di un riconoscimento determinato dallo scarico da essi indotto, condizione in pratica coincidente con la cosiddetta “ricompensa” della scuola comportamentale americana e che dà luogo ad una sensazione di piacere.

Quindi, nel nostro schema semplificato, il meccanismo è diviso in due parti: la prima che costituisce la memoria di riconoscimento, attivazione e disattivazione, in cui il flusso energetico è guidato dagli incrementi tensionali dovuti alla sommatoria delle tensioni inerenti alle componenti dell’informazione sensoria (per dar luogo alle memorie percettive) nonché dagli incrementi e decrementi tensionali dovuti alla connessione delle memorie percettive con centri di emissione o assorbimento di energia (per dar luogo alle memorie di allarme e di rassicurazione) e la seconda che costituisce la memoria comportamentale, in cui il flusso energetico è guidato dai decrementi tensionali connessi all’attivazione di un determinato organo operativo.

Essendo la memoria percettiva una rappresentazione della realtà, possiamo simulare le azioni da indurre sulla realtà attraverso corrispondenti modificazione della rappresentazione percettiva. Ciò è quanto avviene nel cervello ed io penso che tu possa accettare l’esistenza di questi legami fra le due strutture funzionali del cervello senza necessità che io approfondisca questo argomento, cosa che ci porterebbe, senza necessità, troppo lontano dal filo del nostro discorso.

Come abbiamo avuto modo di vedere, perché si abbia la ricostituzione di una percezione sullo schermo delle memorie sensorie (o su uno schermo parallelo) occorre che un flusso energetico partente dal nodo rappresentativo di tale percezione dello strato terminale delle memorie percettive raggiunga tale schermo, seguendo a ritroso i percorsi tracciati dalla informazione sensoria (cfr. i neuroni specchio). Le linee di flusso che costituiscono le memorie percettive sono cioè accompagnate da linee parallele in cui procede in senso inverso un flusso informativo di minor livello tensionale.

Abbiamo visto che lo strato dei terminali delle memorie percettive è lo strato in cui il flusso proveniente dai terminali sensori non ha gradi di libertà in conseguenza del raggiungimento di un certo numero minimo di terminali di input eccitati. Abbiamo anche visto che il flusso riflesso, partendo da un solo terminale di input, potrebbe assumere invece gradi di libertà se tale libertà non fosse impedita dall’esistenza di percorsi preferenziali indotti dal flusso diretto di formazione della memoria percettiva, disposti secondo strati a rigidità crescente passando dai terminali sensori ai terminali delle memorie percettive. E’ però sufficiente che il livello tensionale del flusso riflesso si rialzi perché il flusso, debordando dai canali preferenziali, assuma gradi di libertà che si manifestano quindi particolarmente negli strati più labili di connessioni, prossimi ai terminali sensori, che vengono chiamate “connessioni logiche” e la sua estrinsecazione, che comporta una modifica della informazione sensoria, costituisce l’attività di pensiero. La successione di tali connessioni labilissime, che comportano la stimolazione dall’interno di strutture percettive, corrisponde alla realizzazione simulata di una successione di informazioni sensorie.

Ora, sono costretto a complicare un pò il quadro espositivo. Nello schema semplificato adottato ai fini di rendere semplice il quadro di fondo delle interazioni, vedi figura, i nodi hanno cinque possibili porte, due di ingresso, due di uscita nell’ambito di una stratificazione di rigidità ed due di passaggio alle stratificazioni di rigidità contigue. In realtà i neuroni sono interruttori stellari, in cui confluiscono flussi energetici provenienti da una miriade di reti e che si traducono in forze che tendono a fare imboccare al flusso riflesso un determinato percorso reticolare. All’interno del neurone si svolgono processi di equilibratura alquanto complessi, anche per l’intervento di funzioni non ancora raggiunte anche nelle più avanzate realizzazioni cibernetiche dell’uomo, processi da cui emerge la direzione indotta nel flusso riflesso. Ciò non significa affatto che il pensiero sia completamente guidato dalle variazioni di percorso indotte dai nodi incontrate nel suo percorso; sussistono gradi di libertà residui in cui la variazione è casuale, fintanto che non venga sollecitata una risposta cui nell’attività operativa è associato uno scarico tensionale.

Ma, a questo punto, dobbiamo apportare delle modifiche anche al processo di acquisizione della informazione sensoria ed al suo ingabbiamento nella memoria. Anche in questo caso il flusso entrante viene deviato dall’intersezione con reti neurali che costituiscono campi di attrazione – rifiuto verso posizioni della stratificazione finale delle memorie percettive contigue a determinate modalità di attivazione degli organi operativi. È questo passaggio che può anche determinare l’amplificazione dell’area di ridondanza di certi elementi sensori, prodroma alla successiva fusione con una memoria di riconoscimento.

Occorre dunque ricordare che gli impulsi fondamentali di origine genetica, cioè i flussi di energia di attivazione del sistema, connessi alla conservazione individuale e della specie, cioè le memorie di stato, nutrizionale e sessuale, che si manifestano attraverso sensori interni, si associano a determinate rappresentazioni sensorie contigue (spazialmente o temporalmente), che assumono conseguentemente la capacità di sollecitare autonomamente gli impulsi (estroversione delle fonti di eccitazione) dando luogo a memorie fondamentali di allarme e rassicurazione. Le rappresentazione sensorie contigue a queste memorie fondamentali danno luogo ad ulteriori memorie di allarme e rassicurazione, cioè ad impulsi derivati per la fusione dei relativi circuiti o reticoli e per il fatto che la memoria complessiva così ottenuta può essere attivata da uno qualsiasi dei nodi che la costituiscono.

Quando due individui hanno le stesse memorie di allarme e rassicurazione, cioè memorie di riconoscimento attivate dalle stesse informazioni sensorie, si può realizzare una condizione comunicazionale, per cui l’allarme dell’uno dà luogo all’allarme dell’altro, la rassicurazione dell’uno dà luogo alla rassicurazione dell’altro indipendentemente da quali siano i contenuti sensoriali delle memorie sollecitate. Per conseguenza tutto ciò che darà dolore nell’uno lo darà anche nell’altro e tutto ciò che darà piacere nell’uno lo darà anche nell’altro. Ed il dolore o il piacere saranno avvertiti come propri perché, come abbiamo già detto, non sussiste differenza fra le memorie di riconoscimento determinate direttamente per associazione con gli impulsi fondamentali e le memorie di riconoscimento derivate dall’associazione con altre memorie di riconoscimento. Ovviamente ciò non riguarda il piacere-dolore prodotto direttamente dai sensori interni che danno luogo agli impulsi di conservazione, vale a dire lesioni fisiche e fame. Quando si realizza questa situazione fra due partner, ciascuno assume così la capacità di trasferire i propri sentimenti nell’animo dell’altro e se la cosa si verifica per ogni situazione emotiva. si ha la condizione di amore che andrebbe, in linguaggio psicologico chiamata condizione di identificazione totale, mentre nella più generale teoria dell’organizzazione prende il nome di incollamento profondo, privo di componenti dialettiche.

Ovviamente, come preannunciato, la necessità di semplificazione espositiva mi ha costretto a trascurare un gran numero di variabili, alcune delle quali assai importanti e su alcune di esse vorrei adesso soffermarmi brevemente. Innanzi tutto occorre rilevare che la condizione di comunanza del riconoscimento fra gli amanti, sia esso di allarme o di rassicurazione, può essere strettamente legata ad una certa situazione particolare di sinergia e, seppure è ovvio che si allarghi a tutte le situazioni ad essa collegate, può rimanere comunque in un ambito limitato. Perché la connessione interpersonale assuma un aspetto più generalizzato, cosicché la comunione istintuale fra due individui involva l’intera struttura delle memorie riconoscitive occorre che il processo implichi condizioni di grande livello tensionale, così da costituire un canale preferenziale di flusso così profondo da costituire elemento di indirizzamento in tutte le condizioni di sollecitazione del sistema.

Abbiamo già avuto occasione di accennare come l’aumento dell’area di ridondanza di una informazione sensoria, così da permetterne la fusione successiva con una memoria di allarme o di rassicurazione può essere dovuto all’intersezione con altre reti che, pur non determinando lo sviluppo della energia di attivazione inducono la variazione della stratificazione di rigidità. Ciò non solo per effetto della sovrapposizione dell’energia direttamente connessa alla informazione sensoria, come abbiamo mostrato nella figura semplificativa, quanto in un ambito più vasto ove la variazione delle condizioni di rigidità avviene a livelli “quasi infinitesimi” per l’apporto energetico indotto da altre reti, che sono quindi assimilabili a campi di forza attrazione rifiuto ovvero a memorie di riconoscimento che operano ad un livello energetico inferiore al livello critico che induce all’attivazione operativa. L’approfondimento di questo aspetto aprirebbe un campo di indagine vastissimo che ci porterebbe troppo lontano ma, per fortuna, tale approfondimento non è necessario ai fini che qui ci ripromettiamo.

Un ruolo estremamente importante ai fini dello sviluppo della condizione di amore è esercitato da una rete connessa ad un impulso di origine genetica che si aggiunge ai tre impulsi fondamentali di conservazione, costituito da una grande paura che costituisce amplificazione del contenuto emozionale e quindi della ridondanza connessa ad ogni rapporto interpersonale. Tale paura della solitudine si caratterizza operativamente come bisogno sociale e opera particolarmente nella fase infantile di “imprinting”, in cui si formano le più importanti connessioni di riconoscimento in una condizione di plasticità provvisoria. E’ anche importante rilevare che si tratta di una caratteristica estremamente variabile nella popolazione umana.

Un ruolo ancora estremamente importante è esercitato dalla ripetizione delle informazioni sensorie che permette di caricare di importanza (ingrandendo quindi l’area di ridondanza) le componenti sensoriali che si ripetono in concomitanza con la situazione di carico o scarico del sistema (non tutte le componenti del quadro sensoriale contigue ad una condizione di pericolo sono connesse in termini deterministici, connessione che è invece giustificata dalla ripetitività della concomitanza). Si tratta di una condizione più generalizzata che opera anche al di fuori del rapporto interpersonale, nella formazione delle memorie di riconoscimento che operano nel contesto del rapporto col mondo esterno all’individuo.

La ripetitività, come elemento determinante la associazione, comporta ovviamente che il sistema sia esposto più volte a condizioni di possibile pericolo, privo delle connessioni di difesa, proprio per valutarne l’opportunità. Considerazioni matematiche mostrano che il numero di prove necessario sarebbe così vasto da assumere caratteristiche suicide. Ciò è quindi possibile in termini evolutivi, dove il progresso evolutivo può agire per elementi infinitesimi in una condizione di protezione provvisoria gradualmente calante, dove cioè la nuova struttura protettiva si sviluppa gradualmente in sincronia con la riduzione della vecchia struttura protettiva. Nelle condizioni di formazione ontologica della struttura protettiva costituita dalla comunione delle memorie di riconoscimento occorre che le canalizzazioni preferenziali si formino in condizioni protette, di basso livello tensionale, attraverso un gioco infantile, quindi nella fase di imprinting come accade per i condizionamenti da realizzare sul piano ontologico in tempi brevi in tutti i mammiferi. Nel caso di specie le condizioni che portano a realizzare la comunione delle condizioni di carico e scarico tensionale sono realizzate mediante un gioco reso possibile da una certa sensibilizzazione, sussistente nell’infanzia, di certe aree del corpo, definite zone erotiche e individuate inizialmente da Freud. L’argomento è così vasto da non potere essere trattato qui; ne ho accennato per completezza del piano espositivo.

La condizione di identificazione che potremmo definire completa, comporta che non sussistano fra gli individui condizioni oppositive, cioè condizioni sia pure limitate di diffidenza e che non vi sia una struttura dei componenti ontologici degli impulsi, cioè delle memorie di allarme e di rassicurazione, e di tutta la cultura che ad esse si aggancia, già ben strutturata e diversificata. Ciò può realizzarsi nel bambino che può per conseguenza raggiungere una identificazione totale che permette l’assorbimento della struttura dei valori della società e una dipendenza psicologica per tutta la vita, avvertita come funzionale, non impositiva, in quanto proveniente dal suo interno, in maniera non distinguibile dall’azione di impulsi genetici. In tal caso, secondo la dicitura di Girard i due individui sarebbero l’uno per l’altro “mediatori” delle componenti ontologiche degli impulsi, quali sono appunto le memorie di allarme e di rassicurazione.

Quando invece sussistano condizioni oppositive o divergenti, la coincidenza delle rappresentazioni di carico e scarico del sistema può avvenire solo relativamente ad alcune componenti del rapporto interpersonale. Ad esempio nel rapporto sessuale vi può essere scarico di entrambi i partner nella stessa azione, ma una volta cessata l’attrazione sessuale, possono emergere divergenze che rendono intollerabile la convivenza. Oppure possono realizzarsi altri modi, estremamente importanti, di realizzazione delle relazioni interpersonali, quali i processi di equilibrio dinamico e di scambio.

A questo punto non posso che fermarmi, rimandando gli approfondimenti al mio saggio, “il potere e la paura”, acquistabile on line presso lulu.com. Non so se sono riuscito a rendere meno ostiche le modalità di avvicinamento alla fondazione fisica di certe relazioni interpersonali che sono le più importanti della nostra esistenza. Ho messo buona volontà e impegno per il raggiungimento di questo obiettivo, ma mi accorgo che la esposizione rimane ancora alquanto complessa. In ogni caso sono pronto a cercare di rispondere alle tue ulteriori domande.

Ma tutte queste cose il poeta già le sa  le racchiude in poche parole che ti parlano al cuore, perché tu lo sai che il cuore ha una connessione segreta con la parte più profonda di questo groviglio che è dunque l’anima.

Quanno schiuppa o vulio d’ammore

M’è schiuppato  mpietto nu dispiacere,
accussì all’intrasatta, pe na cosa e niente,
ma era na vita ca o tenevo in cuorpo,
pecché basta na goccia pe fa traboccare o vaso
e n’importa si o contenuto è shampagna
o merda.
Sto dispiacere è accussì strano
ca nun sape manco che vò
è comme a nu pianto che nun vò ascì.
Vurria ca quaccheruno mi vulesse bene,
ma comme dich’io, no comme dici tu,
o tu o tu o tu o tu.
Nu bene che nun vulesse dì spartenza
e nemmanco dicere sempe e no
comme quanno ero into a la panza tua, mamma.
Nu bene che mi facesse chiagnere
e accussì sciogliere stu dispiacere
e cu isso sta vita mia. sta vita mia.